Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 dicembre 2017, n. 57764. Messaggi o filmati postati sui social network integrino l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori

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La prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, e’ stata correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando la sua astratta idoneita’ a causare l’evento, in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimita’, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017 Rv. 269621.
1.3. Evidentemente, posto che la creazione di un profilo Facebook dai contenuti fortemente denigratori in danno della parte offesa rappresenta soltanto una delle modalita’ con cui si e’ estrinsecata la condotta persecutoria, il ritenere che si tratti o meno di una condotta idonea ad integrare il reato di cui all’art.612 bis c.p. assume scarso rilievo.
Va, comunque, osservato che la giurisprudenza ammette che messaggi o filmati postati sui social network integrino l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010 Rv. 248285) e l’attitudine dannosa di tali condotte non e’, ai fini che ci occupano, tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa.
Posto che l’imputato creo’ un profilo Facebook denominato “lapidiamo la rovina famiglie”, in cui erano postate foto, filmati e commenti con riferimenti impliciti ed espliciti alla parte offesa ed alla sua relazione con l’imputato, e’ del tutto irrilevante che la vittima potesse ignorarli semplicemente non accedendo al profilo, in quanto l’attitudine dannosa e’ riconducibile alla pubblicizzazione di quei contenuti.
2. I motivi di ricorso sono quindi, nella loro interezza, manifestamente infondati; alla declaratoria di inammissibilita’ segue, per legge (articolo 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 Rv. 237957), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000.
2.1. Va, inoltre, disposta la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in Euro 2.457 oltre accessori di legge, tenuto conto della natura della causa e dell’impegno professionale. Tale somma e’ liquidata in favore dell’Erario, poiche’ la parte civile e’ ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
2.2. La natura del reato impone particolari cautele nella diffusione del presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione, in favore dell’Erario, delle spese di parte civile che liquida in complessivi Euro 2.547 oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003.

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