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Il ricorso proposto dalla pubblica accusa e’ inammissibile.
1 – Si deve innanzitutto ricordare che, ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., puo’ proporsi ricorso in cassazione contro le decisioni del Tribunale per il riesame in tema di sequestro preventivo di beni solo per motivi che attengono alla violazione di legge. In tale nozione rientrano sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minima di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656). Sono pertanto esclusi i meri vizi della motivazione.
Non possono essere pertanto valorizzate da questa Corte le considerazioni di fatto proposte dal pubblico ministero in ordine alla valutazione del danno causato dall’indagata con le condotte a lei contestate (di avere ostacolato le attivita’ di controllo degli altri soci e di avere agito in conflitto di interesse) avendo il Tribunale fornito una motivazione non apparente in ordine al fatto che non era stato determinato alcun danno, posto che il canone locatizio comunque consentiva alla srl (OMISSIS) di ripianare i costi, smentendo cosi’, allo stato, l’ipotesi d’accusa provvisoriamente formulata nei confronti della (OMISSIS).
Vi e’ poi da aggiungere che non si sono evidenziati elementi a supporto del fatto che la (OMISSIS) fosse consapevole delle appropriazioni consumate dal padre (rispetto alle quali non le e’ stata mossa alcuna accusa) e che avesse cosi’ ostacolato il controllo del socio al fine di occultarle. Sul punto il ricorso e’ pertanto generico.
2 – Deve, infatti, rilevarsi come il danno sia un elemento essenziale in entrambe le fattispecie di reato ascritte all’indagata.
L’articolo 2625 c.c., comma 2, infatti, prevede che la condotta degli amministratori che ostacolino l’attivita’ di controllo dei soci e degli organi sociali sia di rilevanza penale quando questa cagioni un danno (non meglio precisato) ai soci stessi.
L’articolo 2634 c.c., prevede, a sua volta, che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti dall’amministratore in conflitto di interesse assumano rilievo penale solo quando abbiano cagionato un danno patrimoniale alla societa’ amministrata.
La differenza fra le due ipotesi e’ pertanto relativa ai soggetti danneggiati, i soci nel primo caso, la societa’ nel secondo, ed alla natura del danno, anche non patrimoniale nel solo delitto previsto dall’articolo 2625 c.c., ma, in entrambe le ipotesi, tale elemento va adeguatamente identificato e provato.
Era, pertanto, necessario fornirne, anche in sede cautelare, gli elementi che ne dimostravano l’esistenza. Elementi la cui sussistenza, invece, il Tribunale, con motivazione non apparente, aveva, allo stato, escluso.
Le contrarie considerazioni proposte dal pubblico ministero ricorrente sulla presenza di un non identificato lucro cessante vertono sul fatto e peccano di genericita’ e, peraltro, non chiariscono neppure la ragione per la quale, in se’, il contratto di affitto stipulato con il concorso dell’indagata doveva considerarsi foriero di danni per la societa’ che l’aveva stipulato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.
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