Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 settembre 2017, n. 43946. Molestie e la condotta persecutoria

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3. Il 04/02/2017, il difensore della (OMISSIS), costituitasi parte civile, ha curato il deposito di una memoria con la quale mira a confutare le argomentazioni sviluppate nell’interesse dell’imputato.
La difesa di parte civile, in primis, deduce l’inammissibilita’ dei motivi di ricorso attraverso i quali la controparte sembra indurre il giudice di legittimita’ ad una nuova e diversa lettura del materiale probatorio acquisito: in ogni caso, nel ritenere il (OMISSIS) responsabile di singole condotte, distinte cronologicamente da altre, il Tribunale non avrebbe affermato alcunche’ di contraddittorio, anche perche’ e’ lo stesso ricorrente a non contestare il verificarsi di episodi di molestie (salvo insistere nel volerli collocare in un periodo differente rispetto a quello ritenuto dal giudicante). Richiamate quindi le dichiarazioni del (OMISSIS) e del marito della denunciante, concordi nel segnalare che i fatti da loro narrati risalivano all’estate del 2013, il difensore della (OMISSIS) evidenzia come il Tribunale avrebbe semmai errato nel derubricare a semplici molestie quelli che erano stati realmente atti persecutori, muovendo dal pacifico presupposto che il (OMISSIS) aveva risolto pesanti “attenzioni” nei riguardi della donna, poi sfociate in vero e proprio stalking (anche in ambito lavorativo) nel momento in cui egli, invaghitosi di lei come praticamente confermato da tutti i testimoni escussi, si era sentito rifiutato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.
L’impianto motivazionale della sentenza impugnata si basa sul rilievo che la persona offesa, con riguardo alla ricostruzione offerta quanto al periodo anteriore al giugno 2013, non avrebbe superato il necessario vaglio di attendibilita’ intrinseca ed estrinseca, cui debbono essere sottoposte le dichiarazioni del soggetto passivo per poter assurgere ad elemento di prova ai fini della declaratoria di penale responsabilita’ dell’imputato. In questi termini, apertis verbis, si esprime il giudicante a pag. 13 della pronuncia oggetto di ricorso, precisando altresi’ che – sino alla data sopra indicata – il rapporto fra i due protagonisti della vicenda era stato quanto meno di amicizia corrisposta, con fisiologici “alti e bassi”.
Al contrario, con riferimento ai fatti accaduti dal giugno 2013 in poi, la deposizione della (OMISSIS) avrebbe trovato riscontro in alcuni contributi testimoniali: riscontro, in ogni caso, idoneo a ritenere dimostrato soltanto che il (OMISSIS) si rese responsabile di mere molestie, non integranti condotte persecutorie.
In un contesto peculiare come quello descritto dal Tribunale, tuttavia, appare necessario che gli elementi di riscontro abbiano caratteristiche inequivoche, stante la fragilita’ obiettivamente attribuita al narrato del soggetto cui gli stessi si reputa diano conferma: e cio’ non sembra possa registrarsi nel caso di specie. Analizzando le testimonianze rese da coloro che avrebbero offerto i riscontri anzidetti, infatti, appare evidente come il Tribunale sia incorso nel travisamento denunciato dalla difesa del ricorrente, anche e soprattutto con riguardo alle scansioni cronologiche valutate decisive dallo stesso giudice di merito. Le relative trascrizioni, allegate all’odierno atto di impugnazione, fanno rilevare che:
– la teste (OMISSIS) ricordo’, dietro contestazione, come l’episodio da lei menzionato (il rinvenimento di un bigliettino sotto il tergicristallo dell’auto della persona offesa) fosse accaduto nell’estate 2012, visto che l’anno successivo ella non aveva svolto servizi esterni;
– il teste (OMISSIS) riferi’ di passaggi continui del (OMISSIS), ma non nei pressi dell’abitazione della (OMISSIS) (dove non avrebbe avuto alcuna ragione di transitare), bensi’ nel luogo dove il dichiarante e la persona offesa stavano svolgendo la loro attivita’ di servizio: aggiunse peraltro che l’imputato, pur avendo tenuto un comportamento che gli era sembrato ossessivo, era in quel giorno il responsabile di turno, da intendersi percio’ demandato a compiti di controllo;

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