Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 20 novembre 2017, n. 52743.

[….segue pagina antecedente]

I controlli e le verifiche labilmente assunti, quindi, non sono stati eseguiti ne’ dal direttore (OMISSIS), ne’ dall’ignoto “(OMISSIS)”.
5. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione della legge processuale in ragione dell’erroneo rigetto della proposta eccezione di nullita’ del decreto di citazione a giudizio, disposto con ordinanza del 17/12/2014.
Secondo il ricorrente, l’articolo 552 c.p.p., comma 1, e l’articolo 6, comma 3, CEDU esigono una informazione dettagliata e precisa della natura e dei motivi dell’accusa formulata, mentre il capo di imputazione, riportando il contenuto dell’intero articolo, non specificava le affermazioni concretamente lesive dell’onore e della reputazione della persona offesa; di qui genericita’ e indeterminazione dell’imputazione, lesive del diritto di difesa.
La doglianza e’ manifestamente infondata: il capo di imputazione trascrive buona parte dell’articolo ritenuto diffamatorio, riportando anche una serie di affermazioni e notizie preliminari, utili a calare il lettore nel contesto dell’accusa, non troppo velata, di partigiano favoritismo mossa al Consigliere (OMISSIS) per aver volutamente “censurato” il nominativo del figlio di un presidente di sezione della stessa Corte dei Conti dall’elenco dei soggetti formati e poi coinvolti nella attivita’ della banca dati interessata dalla vicenda.
La completezza (e semmai la parziale ridondanza, comunque del tutto relativa) della contestazione non puo’ risolversi in indeterminazione e genericita’ dell’addebito, per di piu’ pregiudizievole del diritto di difesa, non essendo per nulla disagevole cogliere nel complesso dell’articolo trascritto i passaggi relativi alla persona del consigliere (OMISSIS), espressamente indicati come lesivi della sua reputazione.
6. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale e in particolare dell’articolo 135 c.p. e articolo 165 c.p., comma 1, in relazione al provvedimento di subordinazione della sospensione condizionale della pena.
A suo dire, infatti, la sospensione avrebbe potuto essere condizionata alla prestazione di attivita’ non retribuita da parte dell’imputato, ma solo per un tempo non superiore all’entita’ della pena sospesa, mentre la pena pecuniaria di Euro 800,00, debitamente ragguagliata ex articolo 135 c.p., equivaleva a poco piu’ di tre giorni di pena detentiva.
Il ricorrente congettura inoltre che il Tribunale sia incorso in clamoroso abbaglio commisurando la durata della prestazione non retribuita alla conversione dell’entita’ della somma liquidata a titolo risarcitorio.
La censura e’ infondata: il parametro di conversione di cui all’articolo 135 c.p. fra pene detentive e pene pecuniarie non viene in considerazione ai fini dell’articolo 165 c.p., come modificato dalla L. 11 giugno 2004, n. 145, articolo 2, comma 1, lettera a).
Vale infatti in proposito il disposto del Regio Decreto 28 maggio 1931, n. 601, articolo 18 bis (recante Disposizioni di coordinamento e transitorie per il Codice penale), inserito nel corpo del decreto dalla L. n. 145 del 2004, articolo 5, che impone l’applicazione, ove compatibili, delle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 44, articolo 54, commi 2, 3, 4, 6 e articolo 59.
La regola di cui al novellato articolo 165 c.p., secondo cui la prestazione non retribuita non puo’ aver durata superiore alla pena sospesa, vale solo per le pene detentive e non gia’ per le pene pecuniarie, per cui operano i parametri quantitativi fissati dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 54.
E’ quindi superfluo osservare che l’accoglimento dell’infondata tesi del ricorrente porterebbe semplicemente a rendere inapplicabile la sospensione condizionale in tutti i casi in cui la pena pecuniaria e’ inferiore ai 2.500 Euro (pari alla conversione in 10 giorni di pena detentiva), visto il disposto del citato Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 54, comma 2 (per il quale il lavoro di pubblica utilita’ non puo’ essere inferiore a 10 giorni, ne’ superiore a 6 mesi), e comunque a renderla inapplicabile nel caso di specie, con il conseguente difetto di interesse ad impugnare sul punto del ricorrente.
7. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale sostanziale e processuale con riferimento agli articoli 2697, 2056 e 1226 c.c. e articolo 192 c.p.p. in relazione alla liquidazione del danno alla parte civile.
Il ricorrente puntualizza che il danno non avrebbe potuto essere accertato e liquidato in re ipsa e presupponeva l’assolvimento da parte del richiedente degli oneri di deduzione e prova in riferimento al pregiudizio patito; la parte civile nulla aveva allegato e provato e la liquidazione equitativa presupponeva a priori la prova dell’esistenza ontologica di un danno, rimasto invece indimostrato nell’an.
Il motivo e’ infondato.
Come ricorda la parte civile nella sua memoria difensiva, il Dott. (OMISSIS) non si era sottratto all’onere di allegazione del pregiudizio che gli incombeva, prospettando sia l’immediata diffusione della notizia nel suo ambiente lavorativo e professionale, sia l’impossibilita’ di ottenere una tempestiva rettifica in difetto di indicazioni di qualsiasi genere sul sito ove era stato pubblicato l’articolo incriminato.
Inoltre lo scritto diffamatorio era stato diffuso presso una serie indeterminata di soggetti, stante la sua divulgazione via Internet.
La parte civile aveva infine allegato sia lo screditamento della persona offesa, con l’accusa di parzialita’ e negligenza, sia la lesione della sua immagine sociale e professionale.
A fronte di questi elementi, puntualmente dedotti dalla parte civile e comunque desumibili dagli atti, la quantificazione del pregiudizio in termini economici e’ stata effettuata legittimamente dal giudice, avvalendosi del potere di liquidazione equitativa prevista dalla legge, per sua natura discrezionale, insindacabile in sede di legittimita’, per giunta con ricorso immediato per violazione di legge.
8. Il ricorso va quindi respinto; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento, oltre al rimborso delle spese in favore della parte civile (OMISSIS), liquidate in complessivi Euro 1.800,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1.800,00, oltre accessori come per legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *