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Inoltre, “Non sussistono i presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello qualora la riforma “in peius” della sentenza assolutoria di primo grado sia fondata non gia’ su un diverso apprezzamento in ordine all’attendibilita’ di una prova dichiarativa diversamente valutata in primo grado, ovvero su una diversa valutazione del suo contenuto e della sua portata, bensi’ su una valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi indiziari a carico (esterni alle dichiarazioni) erroneamente considerai in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice” (Sez. 2, n. 3917 del 13/09/2016, dep. 2017, Fazi, Rv. 269592. Prima delle Sezioni Unite del 28 aprile 2016, ric. Dasgupta, lo stesso principio peraltro era stato gia’ affermato, tra le altre, da Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani, Rv. 264682, secondo cui “Il giudice d’appello per procedere alla “reformatio in peius” della sentenza assolutoria di primo grado non e’ tenuto – secondo l’articolo 6 CEDU, cosi’ come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in discussione il contenuto o l’attendibilita’), valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest’ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni”; v., in termini, Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867; nello stesso senso, cfr. Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014, dep. 2015, Marziali, Rv. 263944; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843).
Facendo applicazione dei richiamati principi, si osserva che nel caso di specie la Corte territoriale ha riformato la sentenza ai soli fini civili valorizzando le stesse fonti di conoscenza gia’ valutate dal G.i.p. (il contenuto delle testimonianze di cui si e’ dato atto al punto n. 4 del “ritenuto in fatto”) ma giungendo a risultato diverso. Riscontrandosi la presenza della necessaria “motivazione rafforzata”, corretto e logico, in definitiva, risulta l’argomentare della sentenza impugnata, che offre adeguata giustificazione a tutti i temi evidenziati dalla difesa nel ricorso (elemento psicologico, nesso eziologico, causalita’ della colpa e posizione di garanzia) e, in conseguenza, non si impone come necessario il nuovo ascolto dei testimoni.
Solo suggestivo, infine, ma non probante il passaggio del ricorso relativo al mancato accertamento della causa del decesso, emergendo invece chiaramente dalle sentenza di merito che la ragione della morte sta nella precipitazione dall’alto, da ben dieci metri, di (OMISSIS), che stava svolgendo lavori nell’interesse del condominio senza alcuna cautela antinfortunistica: infatti, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nell’esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l’idoneita’ tecnico – professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi scelti in relazione ai lavori affidati (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2014, Heqimi e altri, Rv. 264975).
2. Al rigetto del ricorso consegue, per legge (articolo 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento del spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili, che si liquidano, viste le tariffe professionali, come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al rimborso delle spese di giudizio in favore delle parti civili liquidate in tremila Euro, oltre accessori come per legge.
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