Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43452. Omicidio colposo per l’amministratore di condominio che fa lavorare operai senza misure di protezione.

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5.1. In particolare, denunzia violazione ed erronea applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 e degli articoli 192 e 530 c.p.p., e degli articoli 40, 41 e 43 c.p., e, nel contempo, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, poiche’, pur convenendosi che, in linea generale, l’amministratore di condominio possa considerarsi datore di lavoro o committente, conseguentemente tenuto, nella seconda ipotesi, a verificare l’idoneita’ tecnico-professionale dell’impresa affidataria, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi e a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90), nel caso di specie, in buona sostanza, dalle fonti dichiarative valorizzate dalla Corte di appello ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ove correttamente valutate, sia in se’ sia anche congiuntamente alle parole del fratello di (OMISSIS), (OMISSIS), secondo cui il suo congiunto era stato comandato da (OMISSIS) per eseguire i lavori in questione (aspetto gia’ valorizzato in primo grado), non si trarrebbe la sicura prova che l’incarico venne affidato proprio dal ricorrente, e cio’ tenendo in considerazione l’effettivita’ e la concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti, secondo un risalente orientamento di legittimita’ richiamato dal ricorrente.
In realta’ – si legge nell’impugnazione – “il (OMISSIS) non ordino’ ad alcuno l’inizio dei lavori, come confermato dalle dichiarazioni rese in udienza da (OMISSIS), non forni’ l’attrezzatura, ma ha posto in essere solo una primissima valutazione circa la spesa che i condomini avrebbero dovuto sopportare (…) il (OMISSIS) si occupo’ di porre al vaglio dei condomini il preventivo avuto, cosi’ come fece con l’avv. (OMISSIS), riservando ogni decisione all’esito di tale valutazione” (v. pp. 9-10 del ricorso); l’imputato avrebbe, insomma, dato inizio ad attivita’ propedeutiche all’affidamento dei lavori, prendendo contatti con (solo) due dei sette condomini affinche’ valutassero la congruita’ dei preventivi; in ogni caso, non avrebbe svolto nessuna concreta ingerenza nei lavori (v. pp. 9 e 13-14 del ricorso).
L’assenza di interesse economico dell’amministratore, non proprietario, confermerebbe l’assunto difensivo, sottolineandosi anche che sarebbe emerso positivamente – essendo gia’ stato valutato dal Tribunale nella sentenza riformata – che l’ordine di iniziare i lavori fu impartito a (OMISSIS) da (OMISSIS), condomino che doveva partecipare alla esecuzione degli stessi percependone un compenso.
La Corte avrebbe anche, erroneamente ed illegittimamente, trascurato la decisivita’ delle dichiarazioni rese nel corso dell’abbreviato da (OMISSIS) Giorgio, il quale, in sostanza, avrebbe attribuito a (OMISSIS) il ruolo di committente.
5.2. Con un ulteriore motivo di ricorso si censura, sempre denunziando violazione di legge e difetto motivazionale, avere omesso di indagare sull’elemento psicologico della colpa, sul nesso eziologico tra la colpa e l’evento, sulla causalita’ della colpa e sulla causalita’ tra l’adempimento delle regole cautelari imposte e la verificazione dell’evento, in quanto la sentenza si sarebbe limitata a porre l’addebito a carico dell’imputato sulla base della sola posizione di garanzia, addirittura senza nemmeno indagare sull’effettiva causa della caduta della vittima (al riguardo si riporta in maniera critica un passaggio tratto dalla p. 3 della decisione, ove testualmente si legge che “Rilevante ai fini della presente decisione, al di la’ del mancato accertamento della precisa causa della caduta del povero (OMISSIS), e’ verificare chi avesse affidato i lavori all’infortunato e potesse qualificarsi a tutti gli effetti committente”).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.
1.1. Mediante la proposizione del primo blocco di motivi (di cui si e’ dato atto al punto n. 5.1. del “ritenuto in fatto”), si vorrebbe trarre conseguenze di diritto (cioe’ l’illegittimita’ della decisione) da una (solo auspicata dalla difesa) ricostruzione dei fatti, che risulta in realta’ assertiva e meramente alternativa rispetto a quella operata dai Giudici di appello, che hanno ritenuto – fornendo al riguardo adeguata motivazione – che (OMISSIS) diede in effetti incarico alla vittima di svolgere lavori condominiali, che non verifico in alcun modo la formazione, le competenze e l’idoneita’ tecnico-professionale dell’operaio e che non adotto’, nonostante si trattasse di lavori sostanzialmente in quota, nessun tipo di precauzione.
1.2. I motivi di ricorso ulteriormente sviluppati (v. punto n. 5.2. del “ritenuto in fatto”) ruotano, a ben vedere, intorno all’interrogativo circa il rispetto o meno nel caso di specie dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella nota decisione del 2016, ricorrente Dasgupta, per l’evenienza di riforma della sentenza assolutoria in appello (infatti, “Il giudice di appello che riformi, ai soli effetti civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, e’ obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio”: Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta Tapas Kunar, Rv. 267489).
Ebbene, la corretta applicazione del principio di diritto richiamato non implica ineluttabilmente il riascolto, da svolgersi sempre e comunque, dei testimoni gia’ escussi in primo grado.
Infatti, e’ stato – condivisibilmente – precisato che “Non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando la deposizione e’ valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove” (Sez. 3, n. 19958 del 21709/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 269782).

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