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5. Priva di pregio e’ pure la doglianza sub 2), dato che, secondo i principi fissati da questa stessa Sezione, l’articolo 186 C.d.S. prevede anche l’obbligo della sanzione amministrativa accessoria della sospensione ovvero della revoca della patente di guida, e tale sanzione non ha natura “sostanzialmente penale”, secondo l’interpretazione dell’articolo 4 Prot. n. 7 CEDU adottata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia (v. Sez. 4, n. 23171 del 18/04/2017 Cc. – dep. 11/05/2017 – Rv. 270347). La tesi della natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa accessoria e’ frutto di un’applicazione acritica del diritto di fonte convenzionale. Non va, infatti, dimenticato che il concetto di “matiere penale” inteso in senso sostanzialistico e’ stato elaborato dalla Corte di Strasburgo al precipuo fine di estendere l’applicazione del divieto di bis in idem in conformita’ all’articolo 4 prot. n. 7 CEDU e che la liberta’ accordata alla Corte EDU e’ finalizzata unicamente all’applicazione del regime garantistico della CEDU, mentre non puo’ risolversi nell’attribuzione di un potere in grado di annullare le differenze tra le nozioni europea ed interna di sanzione penale. In proposito, la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 49 del 14 gennaio 2015) ha chiarito che, in relazione al diritto interno, l’autonomia dell’illecito amministrativo dal diritto penale attiene al piu’ ampio grado di discrezionalita’ del legislatore nel configurare gli strumenti migliori per perseguire l’effettivita’ dell’imposizione di obblighi e doveri. La Consulta ha, altresi’, sottolineato come la giurisprudenza della Corte EDU abbia elaborato suoi peculiari indici per qualificare una sanzione come pena ai sensi dell’articolo 7 CEDU al fine di scongiurare che vasti processi di decriminalizzazione possano avere l’effetto di sottrarre gli illeciti, cosi’ depenalizzati, alle garanzie sostanziali assicurate dagli articoli 6 e 7 della Convenzione EDU senza voler porre in discussione la discrezionalita’ dei legislatori nazionali nell’adottare strumenti sanzionatori ritenuti piu’ adeguati dell’illecito penale.
5.1. Non si comprende, in particolare, come tale interpretazione della materia penale in senso sostanzialistico possa essere sic et simpliciter trasposta per regolare il presente caso: qui non si discute della violazione del principio del ne bis in idem, posto che l’irrogazione di una sanzione amministrativa accessoria in un processo penale non equivale a dire che l’imputato sia sottoposto ad un procedimento amministrativo e ad un procedimento penale per il medesimo fatto, godendo egli delle garanzie del giusto processo all’interno del quale viene irrogata la stessa sanzione amministrativa. La stessa Consulta (Corte Cost. n. 49 del 14 gennaio 2015) ha sottolineato come ci si debba guardare dall’estensione dell’area del penalmente rilevante “oltre gli apprezzamenti discrezionali dei legislatori”. La capacita’ di scelta in capo al legislatore sarebbe, altrimenti, limitata dal giudice europeo tutte le volte in cui questi “attiri” una sanzione formalmente amministrativa nell’alveo della materia penale, mettendo a rischio il canone della discrezionalita’ legislativa e del principio costituzionale della sussidiarieta’ penale. E non va trascurato che l’enunciazione di principio della Corte EDU avviene sempre in ordine a casi e problemi specifici (case law): con un approccio pragmatico che non si presta a generalizzazioni concettuali oltre i limiti dell’oggetto del singolo giudizio; tant’e’ vero che non risultano affermazioni teoriche della Corte di Strasburgo nel senso della portata espansiva di singoli arresti giurisprudenziali.
5.2. Non e’, dunque, possibile affermare che dalla pronuncia della Corte EDU 4/03/2014 Grande Stevens c. Italia possa trarsi in termini assoluti ed astratti un principio di tendenziale equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale, scardinando principi come la riserva assoluta di legge per le norme penali (articolo 25 Cost.), la presunzione di non colpevolezza (pure affermata in Corte EDU 23/09/2008, Grayson e Barnham c. Regno Unito), che, interpretata in tutta la sua estensione, renderebbe illegittima la provvisoria esecutivita’ di condanne pecuniarie anche in materia extrapenale, od anche il divieto assoluto di retroattivita’ della sanzione amministrativa. Al contrario, una corretta applicazione dei principi convenzionali porta non gia’ ad un’assimilazione indifferenziata delle sanzioni amministrative alle sanzioni penali, ma ad un’attenta disamina delle peculiarita’ del caso concreto in cui tali principi sono stati enunciati cosi’ come del caso concreto in cui essi sono invocati.
5.3. Nella fattispecie in esame, la previsione di una sanzione amministrativa irrogata all’esito di un giudizio penale vanifica la stessa preoccupazione, rinvenibile in alcune enunciazioni teoriche della giurisprudenza CEDU, di una configurazione amministrativa dell’illecito al fine precipuo, se non esclusivo, di eludere le garanzie proprie del processo penale. In sostanza, la ricorrenza di alcuni caratteri comuni non comporta, di necessita’, l’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale a tutti gli effetti, tanto piu’ qualora, come nel caso che qui interessa, una serie di sanzioni (detentiva, pecuniaria, interdittiva) siano previste cumulativamente dalla normativa penale a tutela di interessi generali non omogenei, come tali non sovrapponibili. Anche ove, in ipotesi, si volesse estendere la portata applicativa dei criteri interpretativi posti dalla Corte EDU, quanto sopra va letto, in ogni caso, nell’ambito sanzionatorio penale entro il quale si configura la sanzione amministrativa di cui si tratta.
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