Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 22 febbraio 2018, n. 8633. L’imputabilita’, quale capacita’ di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volonta’ del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi

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2. Quanto al primo motivo, basti richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 4292 del 13/05/2014, dep. 2015, Corti, Rv. 262151; nonche’ Sez. 6, n. 47379 del 13/10/2011, Dall’Oglio, Rv. 251183) secondo cui l’imputabilita’, quale capacita’ di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volonta’ del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilita’, debba essere accertata con priorita’ rispetto alla seconda, con la conseguenza che il dolo generico e’ pienamente compatibile con il vizio solo parziale di mente.

Il motivo confonde viceversa le due prospettive e, dopo aver concesso che la capacita’ d’intendere e volere dell’imputato fosse limitata ma non esclusa, contesta il riscontro giudiziale della natura dolosa dell’azione, che la Corte territoriale e’ giunta ad affermare con motivazione logica e coerente, e che appare invero del tutto evidente in base alla dinamica ed al movente dell’azione medesima.

La rinnovazione della perizia puo’ essere, del resto, disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, e in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se congruamente motivata, come e’ a dirsi nella specie, e’ incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto (v. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062).

Senza contare che l’insistenza del ricorrente nel sollecitare perizia, al fine di approfondire l’incidenza del disturbo psichico diagnosticato sull’agire doloso dell’imputato, in assenza di un’inequivoca prospettazione del vizio di mente totale, non fa altro che riproporre l’inammissibile confusione concettuale tra il piano dell’imputabilita’ e quello della colpevolezza, che contrassegna l’intero motivo.

3. La sentenza impugnata appare logicamente e coerentemente motivata anche sui punti relativi alle circostanze, al trattamento sanzionatorio ed alla misura di sicurezza, oggetto dei residui motivi secondo e terzo, congiuntamente esaminati, che si risolvono in deduzioni generiche, destituite di fondamento giuridico o nella acritica riproposizione di doglianze gia’ ineccepibilmente confutate.

3.1. Quanto alla misura di sicurezza, la Corte di merito ha ampiamente illustrato, da un lato, le ragioni per le quali e’ stata ritenuta la pericolosita’ sociale del ricorrente, non foss’altro per l’allarme indotto dal suo agire indiscriminato in luogo pubblico, e per la sua personalita’ emergente dall’accertamento peritale; mentre la rivalutazione dell’attualita’ della medesima pericolosita’ e’ riservata in sede di esecuzione al magistrato di sorveglianza (Sez. 1, n. 10442 del 24/02/2009, Tufano, Rv. 242903).

3.2. In punto di determinazione della pena, vale la regola che – quando il reato e’ continuato, ed il fatto, considerato come violazione piu’ grave, e’ circostanziato – prima si determina la pena base per la medesima violazione piu’ grave e su questa si opera (previo, se del caso, giudizio di valenza) la riduzione, o l’aumento, eventualmente conseguenti; sulla sanzione cosi’ risultante vanno applicati i singoli aumenti a titolo di continuazione (Sez. 6, Sentenza n. 12414 del 08/03/2011, V., Rv. 249646), all’esito di una valutazione di congruita’ che terra’ conto, per ciascun reato, anche delle sue forme (semplici o circostanziate) di manifestazione.

E da tale regola la Corte territoriale non risulta essersi discostata.

3.3. Puntuale ed analitica appare infine la parte della sentenza concernente le negate circostanze generiche, e la conferma della pena nella misura gia’ inflitta in primo grado, e le censure del ricorrente sul punto appaiono meramente assertive.

4. La declaratoria d’inammissibilita’ preclude alla Corte di rilevare, incidentalmente ed ex officio, l’assorbimento (su cui v. Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902) dei reati di detenzione e porto di arma comune da sparo nelle corrispondenti fattispecie riferite ad arma clandestina.

Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualita’ dell’impugnazione (Corte cost., sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in 1.000 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

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