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Ne consegue che, pur dovendo svolgersi il procedimento per l’accertamento della fondatezza (o meno) della pretesa azionata dal detenuto nel contraddittorio necessario con l’amministrazione pubblica preposta al trattamento penitenziario (di cui si assume la violazione in termini riconducibili al mancato rispetto dei diritti soggettivi trovanti fondamento nell’articolo 3 CEDU), in quanto destinataria diretta, tra l’altro, dell’eventuale pronuncia di condanna alla corresponsione delle somme di denaro liquidate in via compensativa, il rimedio previsto dall’articolo 35-ter ord.pen. non appare riconducibile sul piano sistematico – al di la’ delle formule letterali utilizzate nei commi 1 e 2 della norma – allo statuto tipico della responsabilita’ risarcitoria da fatto illecito di matrice civilistica, cosi’ come gia’ affermato da questa Corte (vedi Sez. 1 n. 11244 del 17.11.2016, depositata il 9/03/2017, in motivazione) con orientamento che deve essere ribadito, sia per l’evidenziata rilevanza pubblicistica dello strumento riparatorio (destinato a incidere prioritariamente, e direttamente, sulla misura della pena e sulla durata) della sua esecuzione), sia per la natura indennitaria della somma liquidabile in via subordinata a titolo di compensazione monetaria, in una misura fissa predeterminata ex lege per tutte le situazioni che prescinde dall’accertamento delle concrete condizioni di detenzione del singolo soggetto, sia per l’assenza di qualsiasi accertamento della natura colposa, o comunque soggettivamente imputabile, della violazione come elemento fondante dell’effetto riparatorio.
Gli argomenti basati sulla natura di azione risarcitoria di stampo civilistico del rimedio previsto dall’articolo 35-ter, e di giudizio contenzioso a parti contrapposte poste su un piano di parita’ processuale e portatrici di interessi reciprocamente confliggenti – del procedimento ex articolo articolo 35-bis ord.pen., evocati dal ricorrente a supporto della tesi della titolarita’ della legittimazione personale dell’amministrazione penitenziaria a costituirsi e contraddire in giudizio, senza il patrocinio necessario dell’Avvocatura dello Stato, in entrambe le fasi in cui si articola il procedimento, inclusa quella di (eventuale) reclamo avverso il provvedimento di accoglimento della domanda proposta dal detenuto, si rivelano percio’, quando non infondati, comunque privi di rilevanza decisiva.
4. Questa Corte ha affermato altresi’ che il modello procedimentale rappresentato dal reclamo giurisdizionale disciplinato dall’articolo 35-bis ord.pen. (introdotto nell’ordinamento dal Decreto Legge n. 146 del 2013, convertito con modificazioni nella L. n. 10 del 2014) e’ strutturato su un doppio grado di giurisdizione di merito (Sez. 1 n. 34256 del 12/06/2015, Rv. 264237, e Sez. 1 n. 315 del 17/12/2014, depositata l’8/01/2015, Rv. 261706, che su tale presupposto hanno ritenuto applicabile il principio di conservazione sancito dall’articolo 568 c.p.p., comma 5 nel caso di erroneita’ del mezzo di impugnazione proposto): il reclamo al tribunale, che la parte soccombente nei confronti del provvedimento emesso in prima istanza dal magistrato di sorveglianza e’ legittimata a proporre ai sensi del comma 4 della norma, configura, dunque, un’impugnazione in senso proprio, soggetta alle norme generali in materia, e non una mera ripartizione di competenze interne tra organo monocratico e organo collegiale nell’ambito di un unico procedimento di sorveglianza, come prospettato dal ricorrente.
La coerenza sistematica della conclusione cosi’ raggiunta si appalesa, in modo particolare, proprio in riferimento al reclamo al Tribunale in materia di rimedio compensativo ex articolo 35-ter ord.pen., avente per oggetto non gia’ un semplice effetto esecutivo della condanna, ma l’autonomo accertamento della violazione di una specifica posizione di diritto soggettivo della persona detenuta, che giustifica la scelta legislativa di prevedere la rivalutazione giudiziale della prima decisione ad iniziativa della parte soccombente (Sez. 1 n. 11244 del 2016, sopra citata).
5. L’articolo 35-bis, comma 1, ord.pen. riconosce testualmente “all’amministrazione interessata”, vale a dire all’amministrazione penitenziaria, e dunque al Ministero della Giustizia, il diritto di partecipare e contraddire direttamente in persona dei propri funzionari, comparendo ovvero facendo pervenire osservazioni e richieste in forma cartolare, all’udienza fissata dal magistrato di sorveglianza per la trattazione del reclamo giurisdizionale proposto dalla persona detenuta che lamenti, nei confronti dell’amministrazione stessa, la lesione di una posizione di diritto soggettivo, anche riconducibile alla violazione dell’articolo 3 CEDU: tale diritto di difesa personale, che trova fondamento inequivoco nel dato testuale della norma dettata per il procedimento di prima istanza, deve ritenersi comprensivo della facolta’ di proporre qualsiasi eccezione e difesa ritenuta utile, sia essa di fatto oppure di diritto.
La ratio sottesa alla previsione di tale intervento personale nel procedimento di primo grado (che peraltro non preclude la facolta’ generale dell’amministrazione di avvalersi ab initio della rappresentanza istituzionale dell’Avvocatura dello Stato) e’ ragionevolmente individuabile nella evidenziata veste di contraddittore prioritario e diretto della pretesa fatta valere dal soggetto al cui trattamento l’amministrazione penitenziaria e’ preposta, in grado percio’ non solo di fornire in tempi celeri, e senza intermediazioni, al magistrato di sorveglianza informazioni utili alla delibazione della domanda del detenuto, ma anche di intervenire immediatamente e direttamente a far cessare o rimuovere il pregiudizio lamentato, ove sussistente, nell’ambito di un procedimento scevro da particolari formalita’ e connotato da obiettive finalita’ di urgenza, effettivita’ e adeguatezza della tutela che deve essere assicurata, in caso di accertata violazione dei diritti della persona detenuta.
6. Proprio per tali motivi – oltre che in forza dei principi e delle norme che disciplinano la titolarita’ del diritto di impugnazione, di cui subito si dira’ – la ratio suddetta non trova (piu’) ragion d’essere nel procedimento d’impugnazione avverso il provvedimento che abbia accordato al detenuto la tutela richiesta, e che deve seguire percio’ le regole ordinarie per quanto riguarda l’osservanza del modello legale di azione e rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, il quale prevede che le stesse, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, stanno in giudizio con la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato (Regio Decreto n. 1611 del 1933, articolo 1).
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