Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 21 novembre 2017, n. 52979. Il diritto di impugnazione personale dell’imputato costituisce un’espressione di autodifesa

[….segue pagina antecedente]

Col primo motivo, il ricorrente deduce:
– la natura civilistica del rimedio risarcitorio introdotto dall’articolo 35-ter ord.pen., contemplante una forma di risarcimento in forma specifica o per equivalente pecuniario (mediante decurtazione della pena ancora da espiare o liquidazione di una somma predeterminata di denaro in caso di pena gia’ scontata per intero) a fronte di un illecito consistente in un trattamento penitenziario inumano e degradante, con conseguente necessita’ del rispetto della parita’ delle posizioni e delle armi processuali tra il danneggiato-detenuto e il danneggiante-Ministero della Giustizia, portatore di un proprio interesse sostanziale a resistere alla pretesa risarcitoria fatta valere nei suoi confronti in un procedimento contenzioso avente ad oggetto un accertamento giurisdizionale;
– la possibilita’ prevista per entrambe le parti del procedimento disciplinato dagli articoli 35-bis e 35-ter ord.pen. di provvedere direttamente alla propria difesa davanti alla magistratura di sorveglianza, in entrambe le fasi in cui si articola il procedimento, prima dinanzi al magistrato e poi al tribunale di sorveglianza, alla stregua del chiaro disposto normativo, in particolare del primo comma dell’articolo 35-bis, e di una corretta interpretazione sistematica e teleologica della relativa normativa, volta a evidenziarne i caratteri di specialita’ rispetto alle forme ordinarie di rappresentanza in giudizio delle amministrazioni dello Stato; il rispetto del principio del contraddittorio tra posizioni paritarie, a fronte dell’oggetto puramente civilistico della controversia, esige, secondo il ricorrente, che sia riconosciuto all’amministrazione penitenziaria, in entrambi i gradi in cui si articola il procedimento, il medesimo diritto di agire e reclamare personalmente attribuito al soggetto detenuto che fa valere la pretesa risarcitoria; prospetta la difficolta’, altrimenti, di assicurare alla parte convenuta in giudizio un’efficace difesa, rispetto ad atti non portati a tempestiva conoscenza dell’Avvocatura dello Stato, destinataria soltanto della notificazione dell’avviso dell’udienza fissata davanti agli organi della magistratura di sorveglianza, e non del contenuto degli atti introduttivi del giudizio di primo e secondo grado, e facente affidamento su circolari amministrative e note interne che avevano interpretato la normativa nel senso di assegnare all’amministrazione penitenziaria la difesa diretta in tutte le fasi del procedimento giurisdizionale dinanzi alla magistratura di sorveglianza;
– la inscindibilita’ dello ius postulandi in capo alla parte pubblica ammessa alla difesa diretta, a fronte dell’erronea affermazione dell’ordinanza impugnata di ritenere preclusa all’amministrazione penitenziaria resistente la possibilita’ di proporre eccezioni in diritto, come quella di compensazione, secondo un’impostazione che non trova alcun riscontro nel sistema.
Col secondo motivo, il ricorrente censura il mancato riconoscimento del carattere endoprocessuale del reclamo al tribunale di sorveglianza, non avente natura di impugnazione funzionale a dare ingresso a una nuova fase dell’unico giudizio di natura civilistica e articolato in due sottofasi, e inidoneo percio’ a radicare l’esigenza di una difesa tecnica dell’amministrazione interessata.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre anzitutto rilevare l’inammissibilita’ delle censure del ricorrente nella parte in cui deducono la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in quanto il provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza in sede di reclamo giurisdizionale ex articolo 35-bis ord.pen. e’ ricorribile per cassazione solo per violazione di legge, ai sensi del comma 4-bis della norma.
2. Nel resto, il ricorso e’ infondato in ogni sua deduzione, per le ragioni che seguono.
3. Questa Corte ha chiarito, con riguardo alla natura sostanziale della pretesa fatta valere con lo strumento previsto e disciplinato dall’articolo 35-ter ord.pen., che la norma in oggetto ha introdotto nell’ordinamento un rimedio riparatorio di natura atipica, avente carattere indennitario piu’ che risarcitorio (Sez. 1 n. 9658 del 19/10/2016, Rv. 269308), funzionale ad apprestare una tutela compensativa specifica a quella particolare tipologia di violazioni delle condizioni trattamentali della persona soggetta a restrizione carceraria che sono riconducibili all’inosservanza dell’articolo 3 CEDU in materia di divieto di sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti; il procedimento previsto per l’accertamento dei relativi presupposti applicativi e per il riconoscimento delle conseguenti tutele, da svolgersi nelle forme dell’articolo 35-bis ord.pen., si caratterizza a sua volta per la celerita’, la concentrazione e l’ufficiosita’ tipiche del procedimento di sorveglianza (le cui forme sono espressamente richiamate dal citato articolo 35-bis, comma 1), volte ad assicurare col maggior grado di effettivita’ possibile le tutele (eventualmente) spettanti, che contemplano in via prioritaria la riduzione della pena detentiva ancora da espiare nella misura proporzionale stabilita dalla legge, e solo in via succedanea – nel caso di insufficienza della durata della pena residua a soddisfare il ridetto rapporto proporzionale – una monetizzazione economica del pregiudizio in termini prefissati ex lege.
La pretesa sostanziale azionata e il correlato procedimento ex articoli 35-bis e 35-ter ord.pen., che presuppongono l’attualita’ (non del pregiudizio ma) dello stato di detenzione del soggetto agente, si connotano per la commistione dei profili pubblicistici involgenti l’esecuzione della pena (e la corretta determinazione della porzione ancora eseguibile) e dell’interesse di matrice privatistica della persona detenuta a conseguire tempestivamente i rimedi spettanti, cio’ che giustifica l’attribuzione della competenza a provvedere alla magistratura di sorveglianza, in coerenza al ruolo istituzionale di giurisdizione c.d. di prossimita’ naturalmente preposta all’attuazione di una tutela destinata a incidere immediatamente, se riconosciuta, sulla durata del rapporto esecutivo.

[…segue pagina successiva]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *