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2. Il secondo motivo, ribadito con il secondo dei motivi nuovi e riguardante l’aggravante di cui all’articolo 612-bis c.p., comma 2, e’ infondato. Non puo’ essere condivisa la prospettazione del ricorrente nei termini esposti nel ricorso (di cui al punto 2.2. del “fatto”): in realta’, risponde ad una precisa esigenza di chiarezza l’inserimento della specificazione “anche senza convivenza” in quest’ultima norma, che prevede l’aggravamento del reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis c.p. se vi e’ o vi e’ stata relazione affettiva fra l’agente e la persona offesa. La precisazione normativa ha la sua ratio, chiaramente emergente dal testo e ricollegabile alla particolare struttura del reato di violenza sessuale, nella necessita’ di evitare che possa revocarsi in dubbio la configurabilita’ dell’aggravante in mancanza della convivenza. Se la norma non avesse previsto le parole evidenziate, si sarebbe potuto ritenere, proprio in considerazione dell’attinenza del reato di cui all’articolo 609-bis c.p. alla sfera sessuale ed alle connesse particolarita’, che solo in presenza di una relazione affettiva caratterizzata da convivenza fosse possibile ravvisare l’aggravante, ancorata al riconoscimento di un grado maggiore di offensivita’ della condotta rispetto a quella dell’ipotesi semplice.
La medesima esigenza di specificazione non si ravvisa, invece, per la previsione normativa di cui all’articolo 612-bis c.p., comma 2, che prevede l’aggravante del reato di atti persecutori commesso, fra l’altro, da persona che e’ o e’ stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Pur in mancanza della precisazione normativa sulla configurabilita’ dell’aggravante “anche senza convivenza”, infatti, l’indifferenza della situazione di convivenza rispetto a quella di non convivenza emerge comunque dalla pertinenza del reato a sfera diversa da quella sessuale.
3. Il terzo motivo, riguardante il reato di incendio, non e’ fondato.
La giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio (articolo 424 c.p.) e quello di incendio (articolo 423 c.p.) e’ costituito dall’elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi prevista dall’articolo 423 c.p. esso consiste nel dolo generico, cioe’ nella volonta’ di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non puo’ facilmente essere contenuta e spenta, mentre il reato di cui all’articolo 424 c.p. e’ caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne derivera’ un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento.
Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attivita’ si associa la coscienza e la volonta’ di cagionare un fatto di entita’ tale da assumere le dimensioni previste dall’articolo 423 c.p., e’ applicabile quest’ultima norma e non l’articolo 424 c.p., nel quale l’incendio e’ contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente (Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013 – dep. 16/01/2014, Cavallari, Rv. 258942).
Il reato di danneggiamento seguito da incendio richiede, come elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicche’ non e’ ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo; per cui, in questa eventualita’ o in quella nella quale chi, nell’appiccare il fuoco alla cosa altrui al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza cagionare ne’ un incendio ne’ il pericolo di un incendio, e’ configurabile il reato di danneggiamento, mentre se detto pericolo sorge o se segue l’incendio, il delitto contro il patrimonio diventa piu’ propriamente un delitto contro la pubblica incolumita’ e trovano applicazione, rispettivamente, gli articoli 423 e 424 c.p. (Sez. 2, n. 47415 del 17/10/2014 – dep. 18/11/2014, Giagnoni, Rv. 260832; fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto gli imputati responsabili del reato di cui all’articolo 424 c.p., avendo accettato il rischio di provocare l’incendio di una sala da bowling, avuto riguardo ai mezzi impiegati e all’entita’ dei danni verificatisi).
Cio’ posto in astratto, deve osservarsi che nel caso in esame il giudice di appello ha chiaramente spiegato, senza incorrere in alcun errore giuridico ne’ in manifesta illogicita’, l’inverosimiglianza della tesi difensiva che l’imputato non si fosse almeno rappresentato il pericolo che il fuoco divampasse raggiungendo le auto in prossimita’ di quella da lui avuta di mira. E il convincimento del giudice di appello in proposito risulta congruamente motivato, perche’ poggia sul rilievo che l’imputato utilizzo’ del liquido infiammabile e diresse la propria condotta verso un contenitore di carburante.
4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo a), disponendo il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che svolgera’ nuovo giudizio al riguardo senza incorrere nei vizi riscontrati. Per il resto, il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente va condannato alla rifusione, in relazione al capo b), a favore della sola parte civile (OMISSIS) in considerazione del tenore dell’atto di costituzione, delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio, che si liquidano nel seguente dispositivo tenendo conto dell’attivita’ svolta.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo a) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Condanna l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) per il reato di cui al capo b) che liquida in 3.200 Euro oltre spese forfettarie IVA e CPA come per legge.
Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
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