In tema di appalto di opere pubbliche, pur essendo il prezzo “a corpo” fisso e invariabile, in quanto riferito all’opera globalmente considerata, l’appaltatore ha diritto ad un compenso ulteriore per i lavori aggiuntivi eseguiti su richiesta del committente o per effetto di varianti, il quale dev’essere calcolato “a misura” limitatamente alle quantita’ variate, mentre le parti di opere rimaste invariate devono essere compensate secondo il prezzo “a corpo” accettato dall’appaltatore, indipendentemente dalla loro effettiva misura, atteso che un appalto “a corpo” non puo’ trasformarsi progressivamente in appalto a “misura”

 

Ordinanza 25 settembre 2017, n. 22268
Data udienza 24 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26276/2012 proposto da:

Fallimento Impresa dott. (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Trieste, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 661/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 28/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/05/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 661/2011, depositata il 28 settembre 2011, ha parzialmente riformato la decisione n. 466/2007 resa dal Tribunale della stessa citta’, condannando il Comune di Trieste al pagamento della minor somma – rispetto a quella liquidata in prime cure – di Euro 729.130,39, oltre interessi legali, a titolo di ulteriori compensi per le riserve formulate dall’Impresa dott. (OMISSIS) s.r.l., in relazione al contratto di appalto stipulato inter partes il 16 giugno 1999, avente ad oggetto la ristrutturazione del (OMISSIS) di Trieste;

avverso tale sentenza – dichiarato nelle more il fallimento dell’impresa appaltatrice – ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento della Impresa dott. (OMISSIS) s.r.l., affidato a quattro motivi, illustrati con memoria ex articolo 378 cod. proc. civ.;

il Comune di Trieste ha replicato con controricorso e con memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso il Fallimento dell’Impresa (OMISSIS) – denunciando la violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109, articolo 25, articoli 1659, 1960 e ss., 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonche’ il difetto di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si duole del fatto che la Corte d’appello abbia respinto, peraltro con motivazione del tutto incongrua, il gravame proposto dall’impresa in relazione alle riserve cd. “tecniche “, con le quali era stata formulata dalla medesima la richiesta di un maggiore compenso per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti;

l’istante deduce, invero, che, pur vertendosi in ipotesi di appalto “a corpo”, nel quale il corrispettivo stabilito contrattualmente e’ immodificabile, la rilevante differenza tra le opere pattuite e quelle imposte eseguite, derivante dall’ approvazione di ben due perizie di variante e di un lotto aggiuntivo, avrebbe dovuto comportare la liquidazione dei maggiori compensi richiesti in relazione alle riserve succitate;

Ritenuto che:

in tema di appalto di opere pubbliche a corpo o “a forfait”, il prezzo convenuto sia fisso ed invariabile, L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex articolo 326, all. F, sicche’, ove risulti rispettato dalle parti di quel rapporto l’obbligo di comportarsi secondo buona fede giusta l’articolo 1175 cod. civ. e, dunque, siano stati correttamente rappresentati dall’appaltante tutti gli elementi che possono influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, grava su quest’ultimo il rischio relativo alla ulteriore quantita’ di lavoro che si renda necessaria rispetto a quella prevedibile, dovendosi ritenere che la maggiore onerosita’ dell’opera rientri nell’alea normale del contratto, con conseguente deroga all’articolo 1664 cod. civ.;

tale affermazione di principio non comporti, peraltro, un’alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, che non si trasforma in un contratto aleatorio, benche’ l’allargamento del rischio accollato all’appaltatore releghi a situazioni affatto marginali la rilevanza dell’imprevedibilita’ delle condizioni di maggior difficolta’ nell’esecuzione delle opere, potendo venire qui in considerazione solo situazioni che finiscano per incidere sulla natura stessa della prestazione (cfr., ex plurimis, Cass. 09/09/2011, n. 18559; Cass. 21/02/2014, n. 4198; Cass. 17/03/2015, n. 5262);

Considerato che:

la AVCP (Autorita’ per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, oggi Autorita’ Nazionale Anticorruzione, ANAC) nella Delib. 21 febbraio 2002, n. 51, ha osservato, al riguardo, che “nel contratto di appalto i cui corrispettivi sono stabiliti “a corpo”, l’offerente formula la propria offerta economica, attraverso la determinazione, a proprio rischio e sulla base dei grafici di progetto e delle specifiche tecniche contenute nel capitolato speciale d’appalto, dei fattori produttivi necessari per la realizzazione dell’opera, cosi’ come risulta dal progetto, finita in ogni sua parte”, derivandone l’immodificabilita’ del prezzo determinato “a corpo, con assunzione a carico dell’appaltatore dell’alea rappresentata dalla maggiore o minore quantita’ dei fattori produttivi che si renda necessaria rispetto a quella prevista nell’offerta;

il concetto di immodificabilita’ del prezzo “a corpo” – secondo I’AVCP – “non e’ pero’ assoluto ed inderogabile, trovando il limite nella pedissequa rispondenza dell’opera da eseguire ai disegni esecutivi ed alle specifiche tecniche (…) entrambi forniti dalla stazione appaltante e sulla base dei quali l’offerente ha eseguito i propri calcoli e proprie stime economiche e si e’ determinato a formulare la propria offerta, ritenendola congrua e conveniente rispetto alle prestazioni da eseguire”;

la predeterminazione del sinallagma contrattuale e la conseguente immodificabilita’ del prezzo determinato a corpo viene, pertanto, meno, allorquando vi sia “una modifica dei disegni esecutivi (e quindi una modifica dell’oggetto del contratto) che comporti la necessita’ di maggiori (ovvero minori) quantita’ di opere o lavorazioni rispetto a quelle stimate al momento della fissazione del prezzo e della conseguente formulazione dell’offerta da parte dell’appaltatore, oppure vi sia una variazione delle specifiche tecniche, previste nel progetto facente parte del contratto, che, allo stesso modo di cui sopra, variando l’oggetto del coni:ratto, comportino maggiori o minori costi ed oneri per l’appaltatore”, atteso che, in siffatta evenienza, il rischio assunto con l’offerta “a corpo” viene a porsi al di fuori della normale ed accettabile alea, talche’ ci si trova ci si trova di fronte alla necessita’ di rideterminare il prezzo “a corpo”, non assolvendo piu’ quest’ultimo alla sua naturale funzione (Delib. n. 51 del 2002, cit.);

anche questa Corte si e’ posta, poi, nella medesima prospettiva, laddove ha affermato che, in tema di appalto di opere pubbliche, pur essendo il prezzo “a corpo” fisso e invariabile, in quanto riferito all’opera globalmente considerata, l’appaltatore ha diritto ad un compenso ulteriore per i lavori aggiuntivi eseguiti su richiesta del committente o per effetto di varianti, il quale dev’essere calcolato “a misura” limitatamente alle quantita’ variate, mentre le parti di opere rimaste invariate devono essere compensate secondo il prezzo “a corpo” accettato dall’appaltatore, indipendentemente dalla loro effettiva misura, atteso che un appalto “a corpo” non puo’ trasformarsi progressivamente in appalto a “misura” (Cass. 07/06/2012, n. 9246);

Ritenuto che:

in tale ultima evenienza l’esecuzione di lavori aggiuntivi per effetto di varianti, o su richiesta del committente – in special modo se di rilevante entita’ e dovuti ad errori o ad insufficienze della progettazione originaria dell’opera – esuli, invero, dal novero delle situazioni prevedibili – sulla base delle informazioni che possano influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, correttamente fornite dall’appaltante (articolo 1175 cod. civ.) – che possono dare luogo a modeste variazioni delle opere da eseguire rientranti nell’alea normale del contratto, venendo, per contro, tali variazioni ad incidere sulla natura stessa della prestazione fornita dall’appaltatore;

Considerato che:

nel caso concreto, dall’impugnata sentenza si evince che il bando di gara avvisava i concorrenti che i lavori in questione sarebbero stati “aggiudicati a corpo”, anziche’ a corpo e misura, che nei successivi atti di sottomissione del 2 febbraio 2001 e del 5 marzo 2001, l’impresa si era obbligata ad eseguire i nuovi lavori “in conformita’ alla perizia (…) agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto principale”, che nel contratto aggiuntivo del 21 dicembre 2000 si stabiliva che “in conformita’ del presente contratto ed al Capitolato speciale d’Appalto….e’ esclusa la revisione dei prezzi”, e che “l’aggiudicatario aveva dichiarato, previa ispezione dei luoghi, che i prezzi erano remunerativi e “non suscettibili di alcuna maggiorazione””; sulla base degli elementi suesposti la Corte territoriale ha concluso, pertanto, che — attesa la natura del contratto stipulato inter partes, con corrispettivo determinato a corpo e non a misura – il macigior compenso richiesto dall’impresa appaltatrice, per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti, non e’ dovuto;

Ritenuto che:

la Corte d’appello non abbia, tuttavia, tenuto adeguatamente conto sul piano motivazionale, sebbene ne abbia riportato in parte le argomentazioni, delle risultanze della disposta c.t.u. (trascritta nei punti essenziali nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza), dalle quali si evince che “il progetto originario era stato oltre ogni limite snaturato in corso d’opera da ben due perizie suppletive di variante per complessive Euro 3.568.421.402, al netto di ribasso d’asta, su un appalto di Euro 4.859.555.390, e da un ulteriore intervento di completamento oggetto di un contratto autonomo di Lire 2.045.387.520”, sicche’ il valore dell’opera, dagli originari scarsi cinque miliardi, era stato elevato a quello di oltre dieci miliardi di lire, e che “le carenze qualitative e quantitative del progetto appaltato”, non solo giustificavano ampiamente “le due perizie suppletive e di variante adottate in corso d’opera”, ma legittimavano, altresi’, “sul piano del merito le riserve dell’appaltatore”;

non possa revocarsi in dubbio che l’abnorme incremento dei lavori da eseguire, tale da superare di oltre il doppio il valore delle opere progettate, dovuto a carenze quantitative e qualitative della progettazione originaria, abbia del tutto stravolto, mediante la redazione di due perizie e la predisposizione di un lotto aggiuntivo, l’oggetto del contratto e la natura stessa della prestazione da eseguirsi dall’impresa appaltatrice;

pertanto, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello, l’impresa appaltatrice abbia, senza dubbio alcuno, diritto al compenso per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti, non ostandovi – per le ragioni suesposte – la previsione della determinazione del corrispettivo a corpo e non a misura;

l’esclusione del compenso aggiuntivo non sia neppure adeguatamente giustificata dall’impugnata sentenza – la cui motivazione sul punto appare, invero, del tutto carente – alla stregua di pretese pattuizioni delle parti in tal senso, desumendosi dal testo della decisione esclusivamente singole e frammentarie proposizioni, estrapolate da contesti piu’ ampi, contenenti generici riferimenti all’esecuzione dei nuovi lavori in conformita’ alla perizia di variante ed “agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto principale” e “dell’atto aggiuntivo”, o all’esclusione della “revisione dei prezzi”, “in conformita’ del presente contratto ed al Capitolato speciale d’appalto”, senza specificazione alcuna della categoria di lavori alla quale si riferisca detta esclusione, proposizioni dalle quali non e’ possibile inferire con certezza la volonta’ delle parti di escludere i compensi aggiuntivi per i maggior; lavori eseguiti dall’impresa e per l’intera, notevole, entita’ delle opere i’n concreto realizzate; la censura debba, di conseguenza, essere accolta;

Considerato che:

restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, concernenti le riserve cd. “risarcitorie”, ossia i maggiori costi ed oneri sopportati dall’appaltatrice in corso d’opera, nonche’ la pretesa mancanza di prova in ordine ai maggiori compensi richiesti;

Ritenuto che:

per tutte le ragioni suesposte, il primo motivo di ricorso debba essere accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei principi di’ diritto suesposti.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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