Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza  n. 16508 del 2 luglio 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13 maggio 2005 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto da M. G. ha condannato Rete F. I. s.p.a. al risarcimento del danno da dequalificazione professionale patito dal dipendente, liquidato nella complessiva somma di € 5.035,45, nonché del danno biologico dallo stesso subito, liquidato nella complessiva somma di € 2.975,43. Con sentenza del 20 aprile 2010 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma di detta sentenza di primo grado, ha respinto la domanda relativa al risarcimento del danno alla professionalità, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.

La corte territoriale ha motivato tale decisione considerando che il M., dipendente della società attuale contro ricorrente inquadrato nel 9° livello contrattuale con il profilo di “Capo Settore Tecnico” nonché responsabile dell’impianto O. R.S., è stato trasferito allo Staff Tecnico presso la Struttura Organizzativa Produzione della Direzione Regionale Lazio dove non ha ricevuto alcun incarico specifico, come emerso dall’istruttoria svolta.

La Corte romana ha considerato irrilevante la circostanza per cui il lavoratore non ha concretamente prestato servizio presso la sede di destinazione essendo stato in malattia prima del prepensionamento, in quanto la malattia è stata determinata proprio dal demansionamento subito. In ordine al risarcimento del danno professionale la Corte d’Appello di Roma ha considerato che il medesimo non è stato specificamente dedotto né tanto meno provato, mentre il danno biologico è stato provato a mezzo delle risultanze mediche attestanti le patologie da cui è rimasto affetto il lavoratore in coincidenza con il subito demansionamento. Il M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso Rete F. I. che svolge ricorso incidentale affidato anch’esso ad un unico motivo. Il M. resiste con controricorso al ricorso incidentale avversario. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza.

Con il ricorso principale si lamenta violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2103 e 2087 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i presupposti del danno professionale; mancata valutazione di circostanze decisive provate per tabulas ed emerse nel corso dell’istruttoria che comproverebbero il danno professionale subito dal dipendente.

Con il ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.; contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. In particolare si rileva la contraddittorietà della pronuncia che afferma il demansionamento in assenza di un’effettiva attività lavorativa,essendosi il dipendente assentato per quasi tutto il periodo successivo al trasferimento in questione; inoltre l’espletata istruttoria avrebbe dimostrato la mancanza di qualsiasi danno alla professionalità del dipendente. La stessa malattia denunciata dal dipendente non potrebbe ascriversi al demansionamento dedotto in quanto lo stesso lavoratore si è subito assentato senza pertanto avere subito gli effetti del dedotto mansionamento.

Entrambi i ricorsi sono infondati in quanto sostanzialmente censurano sotto il profilo sia della violazione di legge che del vizio di motivazione l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito che ha escluso il danno alla professionalità sulla base dell’attività istruttoria svolta e, in particolare, sulla corretta considerazione per cui non ogni demansionamento comporta comunque un danno alla professionalità, ma solo quello concretamente allegato e provato.

Tale giudizio sull’allegazione e sulla prova costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, come ricordato dalla giurisprudenza di questa Corte citata nella sentenza impugnata. A tale principio va pure aggiunto quello, pure affermato dalla Cassazione secondo cui, comunque, in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale con l’asserito demansionamento, ferma la necessità di evitare, trattandosi di danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale (Cass. 30 settembre 2009 n. 20980).

Nel caso in esame la corte ha adeguatamente motivato in merito all’assenza di prova sul preteso danno alla professionalità, una volta escluso, come detto, l’automaticità del danno quale effetto del demansionamento. Riguardo, invece, al danno biologico, viceversa riconosciuto dal giudice di appello, va osservato che, analogamente a quanto affermato riguardo al danno alla professionalità il giudizio relativo alla sua sussistenza è parimente riservato al giudice di merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha logicamente considerato che il danno è conseguito al demansionamento, cioè alla perdita delle mansioni superiori precedentemente svolte, e tale tipo di danno può maturare anche in assenza dell’effettivo svolgimento di tali inferiori mansioni.

Tale giudizio, congruamente e logicamente motivato, sfugge ad ogni censura di legittimità. Stante la reciproca soccombenza le spese di giudizio vanno compensate fra le parti.

 

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; Compensa fra le parti le spese di giudizio. Così deciso in Roma il 15 maggio 2013.

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