Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 9 gennaio 2015, n. 152
Ritenuto che con sentenza del 26 aprile 2011 la Corte d’appello di Ancona confermava la decisione, emessa dal Tribunale, di rigetto della domanda proposta da M.M. ed intesa all’annullamento del licenziamento inflittogli da s.p.a. Poste italiane per avere effettuato, mentre era direttore di un ufficio postale di Ancona, numerosi prelievi da un libretto di risparmio intestato a due anziani coniugi, ricoverati in una casa di riposo, pur essendo privo di delega e con modalità illecite, quali la falsa sottoscrizione; l’importo complessivo dei prelievi era stato di 69.000, 00 euro;
che la Corte negava la incolpazione tardiva, in considerazione della complessità e delicatezza degli accertamenti necessari, richiedenti il controllo di numerose operazioni contabili, nonché della struttura notoriamente complessa dell’ufficio; del resto la durata complessivamente semestrale delle indagini e dello statium deliberandi non aveva ostacolato la difesa o altri interessi dell’incolpato;
che, quanto al merito, i fatti addebitati non erano contestati, né aveva rilievo la mancata citazione delle norme violate dal M., data l’evidente illiceità e gravità di essi;
che la cointestataria del libretto di risparmio aveva bensì dichiarato agli ispettori postali di aver permesso i prelievi, ma ciò poteva attenuare e non escludere la detta gravità;
che contro questa sentenza ricorre per cassazione il M. mentre la s.p.a. Poste italiane resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Considerato che col primo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione quanto alla tempestività della contestazione dell’addebito disciplinare, non avendo la Corte d’appello spiegato perché le indagini relative all’illecito abbiano)durare tre mesi;
che il motivo non è fondato poiché non é vero che la Corte di merito non abbia dato conto del proprio convincimento circa la tempestività della contestazione, essendosi riferita alla complessità delle necessarie indagini contabili e della complessiva organizzazione amministrativa della società datrice di lavoro;
che questa motivazione) attinente al merito sia della controversia sia dell’attività amministrativa svolta dalla società postale, non è censurabile in quanto giudizio di legittimità;
che il ricorrente, pur dilungandosi sulla contestazione a suo avviso tardiva, non dice quale pregiudizio il preteso ritardo avrebbe arrecato alla possibilità di difendersi;
che col secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 99, 115 cod. proc. civ., 2907 cod. civ. e vizi di motivazione, per mancata indicazione, nel capo d’incolpazione e nella sentenza qui impugnata, delle norme, anche di regolamento, da lui violate; per omessa considerazione dell’autorizzazione di prelievi da parte della cointestataria del libretto postale; per violazione del principio di disponibilità delle prove nonché di proporzionalità della sanzione;
che – a prescindere dai profili di inammissibilità del motivo, che contiene in realtà una pluralità di doglianze, procedimentali-amministrative, processuali e sostanziali – nessuna parte di essa ha fondamento; che l’evidente illiceità disciplinare della condotta contestata all’incolpato, potenzialmente lesiva del patrimonio di due clienti dell’impresa e del necessario legame fiduciario tra questa ed il suo dipendente, rende irrilevante la precisa evocazione delle norme regolamentari violate; che l’autoriz7 wione verbale attenua leggermente l’illecito, non essendo neppure risultato dagli atti il motivo dell’autorizzazione a prelevare complessivamente la ragguardevole somma di 69.000,00 euro; che , pacifici i fatti, il ricorrente non specifica come sarebbe stato violato il principio di disponibilità delle prove;
che la delicatezza della funzione svolta dal direttore dell’ufficio postale ed il necessario vincolo fiduciario con la datrice di lavoro, interrotto dalla condotta di cui sopra, giustificano la sanzione espulsiva; che la partecipazione all’illecito di funzionari sottoposti non rende lecita l’attività del direttore ma caso mai avrebbe giustificato — ammesso che ne ricorressero gli elementi costitutivi – azioni disciplinari contro di loro; che, rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro 100,00, oltre ad curo quattromila/00 per compensi professionali, più accessori di legge.
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