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3. Osserva la Corte che per motivi di priorita’ logica va esaminata dapprima la parte del ricorso incidentale in cui e’ dedotta la liceita’ della condotta sanzionata, in quanto secondo tale assunto difensivo la stessa si giustificherebbe sulla base di una deroga consentita al dettato normativo in materia di rispetto della durata minima del riposo giornaliero.
4. Orbene, la doglianza e’ infondata dal momento che la stessa non supera il rilievo di fondo contenuto nell’impugnata sentenza in base al quale, considerato che la mancata previsione collettiva del carattere continuativo del riposo non appariva sufficiente a concretizzare la deroga al chiaro precetto legislativo (il Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 7 prevede, infatti, la fruibilita’ in modo consecutivo, fatte salve le attivita’ caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilita’), non risultava che l’articolazione oraria praticata consentisse un riposo di undici ore, seppure non continuative, nell’arco delle 24 ore, non essendo stato allegato che dopo le 10 ore di intervallo (tra le ore 21.00 e le ore 7.00 della mattina successiva) ricorresse un’altra ora di riposo nell’arco delle 24 ore, utile a riportare ad 11 ore il complesso dei riposi. Tale rilievo, corretto sotto l’aspetto logico-giuridico, non risulta inciso dalla presente doglianza attraverso la quale si propugna il carattere non continuativo del riposo minimo giornaliero alla luce della generale previsione collettiva.
5. Tanto premesso si osserva che, per quel che concerne invece il ricorso principale, e’ da ritenere arbitrario il meccanismo di determinazione giudiziale della sanzione applicato dalla Corte d’appello in mancanza di un chiaro riferimento normativo alternativo alla quantificazione per ogni singola violazione nella versione “ratione temporis” vigente del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 18 bis, comma 4.
Infatti, la norma di cui al Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 18 bis, comma 4, nel testo “ratione temporis” vigente stabiliva quanto segue: “La violazione delle disposizioni previste dall’articolo 7, comma 1 e articolo 9, comma 1, e’ punita con la sanzione amministrativa da 105 Euro a 630 Euro”.
Il tenore letterale della norma e’ chiaro nel suo riferimento alla singola violazione da sanzionare, per cui l’interpretazione offerta dalla Corte di merito, che pure tiene conto della circostanza che occorre riferirsi all’applicazione di una sanzione per ogni lavoratore il quale non abbia potuto godere del riposo previsto, finisce per rivelarsi arbitraria nel momento in cui, ai fini della determinazione in concreto della sanzione, individua tre gruppi di lavoratori a seconda dell’arco temporale piu’ o meno lungo in cui il riposo era stato inferiore al limite stabilito dalla norma, graduandola in base alla durata della violazione stessa.
E’ agevole rilevare che tale criterio non e’ contemplato dalla norma da applicare al caso concreto, ne’ tanto meno lo e’ quello propugnato dal ricorrente incidentale, il quale tenta di accreditare la tesi della possibilita’ di applicazione analogica della L. n. 689 del 1981, articolo 8 nell’ipotesi di plurime violazioni di diverse disposizioni di legge o della stessa legge con una sola azione od omissione.
6. Non va, comunque, sottaciuto che, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale (per contrasto con l’articolo 76 Cost.) del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 18 bis, commi 3 e 4. Pertanto, la questione che occupa consiste nel definire l’ambito e gli effetti che la citata sentenza della Corte costituzionale ha prodotto nella disciplina oggetto del presente giudizio. Orbene, ai fini del decidere appare di fondamentale rilievo procedere alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
A tal riguardo si rileva che con la L. 1 marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunita’ Europee. Legge comunitaria 2001) veniva concessa al Governo la delega per l’attuazione di direttive comunitarie, tra le quali quelle in materia di orario di lavoro. Tale legge all’articolo 2, comma 1, lettera c), stabiliva il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione, per la quale, in ogni caso “saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente gia’ comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensivita’ rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi”.
In attuazione della delega, il Decreto Legislativo n. 66 del 2003 agli articoli 4, 7 e articolo 9, comma 1, regolava la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere nell’originaria formulazione specifiche sanzioni per la violazione di dette norme, e quindi, implicitamente, rinviando per l’aspetto sanzionatorio a quanto previsto per la violazione delle regole sul riposo giornaliero alla sanzione di cui al R.Decreto Legge n. 692 del 1923, articolo 9 per la violazione della disciplina del riposo settimanale alla sanzione di cui alla L. n. 370 del 1934, articolo 27 e per la violazione della disciplina sull’orario di lavoro settimanale, sempre, alla sanzione di cui al R.Decreto Legge n. 692 del 1923, articolo 9.
Il suddetto assetto normativo subiva, pero’, importanti modificazioni intervenute con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro) il quale, con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 18 bis contemplava specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni del citato Decreto Legislativo n. 66 del 2003, sanzioni molto piu’ elevate rispetto a quelle previste dalla citata, precedente, normativa.
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