Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 3 gennaio 2018, n. 24. Per le sanzioni lavorative legate al mancato rispetto dell’orario giornaliero e quindi contro lo sfruttamento dei prestatori si deve applicare la disciplina prevista dal regio decreto legge n. 692/1923 e non quella disposta dall’articolo 18-bis del Dlgs 66/2003

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Le pronunce di legittimita’ ad essa successive (ex plurimis Cass. n.3093 del 1989 – Cass. n. 13813 del 2000 – Cass. n. 13182 del 2010 – Cass. n. 257 del 2012) hanno da un lato confermato (Cass. n.3093/1989 e n.13813/2000) il principio di reviviscenza della normativa abrogata da altra disciplina legislativa a sua volta abrogata all’esito di declaratoria di illegittimita’ costituzionale, e dall’altro (Cass. n.13182/2010 e n.257/2012), escluso l’operativita’ del principio di reviviscenza di normativa precedentemente abrogata, solo nell’ipotesi, peraltro, non ricorrente nel caso in disamina, di normativa e correlate fattispecie concrete per le quali si rendeva indispensabile, a seguito della pronuncia di incostituzionalita’, il successivo intervento, discrezionale, del legislatore.
9. Pertanto, alla luce di quanto sopra, deve trovare applicazione, anche, nel caso di specie il richiamato principio della reviviscenza normativa, con conseguente efficacia applicativa, nell’arco temporale disciplinato dal Decreto Legislativo n. 66 del 2003, abrogato articolo 18-bis della precedente disciplina ricavabile dal R.Decreto Legge n. 692 del 1923 e dalla L. n. 370 del 1934.
A siffatta conclusione, non osta il fatto che quest’ultima normativa, della quale e’ stata ora affermata la reviviscenza, sia stata abrogata, espressamente, dallo stesso Decreto Legislativo n. 66 del 2003, non dall’articolo 18-bis, ma dall’articolo 19 disposizione, pero’, quest’ultima che non e’ stata oggetto della pronuncia di incostituzionalita’. Infatti, sussistono vari elementi esegetici che consentono di ritenere la sentenza della Corte costituzionale n.153/2014 in “toto” abrogativa del sistema sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 66 del 2003, in particolare: 1) Sulla base della ricostruzione della cornice normativa come sopra esposta emerge che il Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articoli 4, 7 e articolo 9, comma 1, nella originaria formulazione, regolavano la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere specifiche sanzioni per la violazione di dette norme; 2) Pare evidente che tale silenzio del legislatore collegato con la direttiva della Legge Delega n. 39 del 2002 che, in materia sanzionatoria imponeva il rispetto del rapporto di omogeneita’ del nuovo sistema sanzionatorio rispetto a quello previgente, induce a ritenere che il legislatore, nella specie, abbia inteso normare, implicitamente, la materia sanzionatoria con riferimento al previgente sistema contenuto nel R.Decreto Legge n. 92 del 1923, e nella L. n. 370 del 1934; 3) Di conseguenza, l’introduzione del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 18-bis che, invece, ha disciplinato espressamente la materia sanzionatoria, ha comportato, necessariamente, l’abrogazione della previgente normativa, atteso che il successivo articolo 19, recante “disposizioni finali e deroghe” ha previsto l’abrogazione di “tutte le disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo, salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio”, e tale ultima disposizione non e’ riferibile al precedente regime sanzionatorio, posto che nel regolamentare quello nuovo il legislatore riteneva che non fossero vigenti, al tempo, norme regolanti il sistema sanzionatorio.
Infatti, cio’ e’ autorevolmente confermato nel passaggio motivazionale della citata sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 2014, laddove si da’ conto dell’errore in cui e’ incorso il legislatore che, come si evincerebbe dalla consultazione degli atti parlamentari “ha riformato il sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire liberamente per l’assenza di norme sanzionatorie precedenti”.
10. In definitiva, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione per la nuova determinazione della sanzione di cui trattasi in base ai principi sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte, provvedendo sul ricorso principale e su quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

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