Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 3 agosto 2015, n. 16298
Svolgimento del processo
Con sentenza 12 giugno 2008, la Corte d’appello di Potenza rigettava l’appello del Ministero della Giustizia avverso la sentenza di primo grado, che aveva ad esso ordinato il trasferimento, su sua domanda, di C.V. , in servizio dal marzo 2002 come conducente di veicoli speciali presso la Procura della Repubblica di Potenza, a Napoli, luogo di prestazione di assistenza continuativa ed esclusiva alla nipote handicappata, o in una indicata sede vicina, ai sensi dell’art. 33, quinto comma L. 104/1992.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la realizzabilità della pretesa solo in sede di costituzione del rapporto (scelta della prima sede) e non anche successivamente; e così pure che non ricorressero i requisiti, documentati, della continuità ed esclusività della prestazione assistenziale e della disponibilità del posto oggetto del trasferimento richiesto. Con atto notificato il 12 agosto 2008 il Ministero della Giustizia ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste C.V. con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il Ministero ricorrente deduce violazione dell’art. 33 L. 104/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la possibilità di azionare il diritto di scelta del luogo di lavoro per prestare assistenza continuativa ed esclusiva ad un familiare solo al momento dell’assunzione e non anche in corso di rapporto lavorativo, in base ad argomento sia letterale (“ha diritto a scegliere”), sia sistematico (in comparazione con la previsione del diritto di scelta di un lavoratore con invalidità superiore ai due terzi ai sensi dell’art. 21 L. 104/1992).
Con il secondo, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., sul requisito di esclusività dell’assistenza prestata da C. , per la distanza dell’abitazione della nipote a 155 km. dalla sede di lavoro.
Con il terzo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per difetto di prova del requisito di esclusività dell’assistenza di C. alla nipote, sulla base di inadeguati accertamenti dei carabinieri e documentazione sanitaria, limitati all’inadeguatezza dei genitori ed al rapporto privilegiato del predetto con l’assistita, senza alcun chiarimento sulla frequenza di tale assistenza, né sulla presenza in Napoli di altri familiari in grado di provvedervi.
Il primo motivo, relativo a violazione dell’art. 33 L. 104/1992, per la possibilità di azionare il diritto di scelta del luogo di lavoro per la prestazione di assistenza continuativa ed esclusiva ad un familiare soltanto al momento dell’assunzione, è infondato.
La piana lettura del testo letterale dell’art. 33, quinto comma L. cit. (secondo cui: “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”) rende evidente come la facoltà di scelta non sia limitata al momento di assunzione, potendo anzi essere compiuta, alle condizioni previste, anche in costanza di rapporto, come si evince dalla esplicita tutela dal trasferimento imposto.
Ma anche la sua lettura, in via comparativa con il sesto comma (che ne ricalca il dettato, a tutela della “persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità”), così come correntemente interpretato, secondo il tenore testuale e la finalità (nel senso dell’esercizio del diritto di scelta in questione, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche successivamente e, in tal caso, sia quando la situazione di handicap intervenga in corso di rapporto, sia quando preesista ma l’interessato, per ragioni apprezzabili, intenda mutare la propria residenza: Cass. 18 febbraio 2009, n. 3896), esclude la limitazione dedotta dal Ministero ricorrente.
Il diritto di scelta in esame, praticabile in costanza di un handicap grave o che richieda un’assistenza continuativa e sempre “ove possibile”, deve per tale ragione essere bilanciato dalla valutazione datoriale di compatibilità con le esigenze economiche ed organizzative dell’impresa (Cass. 18 agosto 2014, n. 18030; Cass. 5 settembre 2011, n. 18223; Cass. s.u. 27 marzo 2008, n. 7945), in particolare presupponendo l’esistenza (e la vacanza) del posto nella sede eligenda (Cons. Stato 31 gennaio 2003, n. 481).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del mezzo, con affermazione del seguente principio di diritto, a norma dell’art. 384, primo comma c.p.c.:
“Il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato con lui convivente, di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio deve essere inteso – secondo il tenore letterale dell’art. 33, quinto comma L. 104/92 e in via comparativa con il sesto comma del medesimo articolo – nel senso della possibilità di suo esercizio tanto al momento dell’assunzione, quanto in costanza di rapporto: ben s’intende, ove possibile, in ragione del suo bilanciamento con la valutazione datoriale di compatibilità con le esigenze economiche ed organizzative dell’impresa, sul presupposto dell’esistenza e della vacanza del posto”.
Il secondo (vizio di motivazione sul requisito di esclusività dell’assistenza prestata da C. ) ed il terzo motivo (violazione dell’art. 2697 c.c. sulla relativa prova) possono essere congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione. Anch’essi sono infondati.
Non sussistono, infatti, i vizi denunciati: in realtà, entrambi configuranti vizio di motivazione. Anche il terzo, per il difetto dei requisiti propri della violazione di norme di diritto, non avendo il ricorrente proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né alla sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756); neppure avendo specificato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984). Sicché, esso pure si declina come vizio di motivazione, quale profilo di censura, in sede di legittimità, dell’allegata erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, siccome esterna all’esatta interpretazione della norma, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Ed i vizi di motivazione si risolvono in una richiesta, nella sostanza, di riesame dell’accertamento operato in fatto dalla Corte territoriale in ordine alla verifica dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza: ossia di un accertamento in fatto, insindacabile da questa Corte (Cass. 22 dicembre 2014, n. 27232). Ma ciò impinge in un riesame nel merito della vicenda processuale, appunto indeferibile al giudice di legittimità, cui spetta la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066): nel caso di specie assolutamente corretto ed esente da vizi logico-giuridici. Bene ha, infatti, argomentato la Corte in merito alla continuità ed esclusività dell’assistenza prestata da C. , sulla scorta degli accertamenti dei carabinieri e della documentazione sanitaria acquisiti (per le ragioni esposte a pgg. 3 e 4 della sentenza).
Sicché, dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il principio di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero alla rifusione, in favore di C.V. , delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge
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