Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 febbraio 2018, n. 4622. Il dipendente che svolge mansioni superiori in relazione ad un ufficio dirigenziale, non ha diritto alla retribuzione di risultato, per il solo fatto di averle svolte

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Tale evenienza si e’ verificata nella fattispecie in esame, ove la Corte d’Appello nel richiamare Cass., S.U., n. 3814 del 2011, ha comunque affermato che, in relazione al principio di adeguatezza della retribuzione di cui all’articolo 36 Cost., nelle differenze retributive, da attribuire per lo svolgimento di mansioni superiori, vanno ricompresi gli emolumenti accessori in questione.

4. Con il secondo motivo di ricorso e’ dedotta la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 21, 35 e 52, dell’accordo collettivo 31 gennaio 2001 e del CCNL-Ministeri, dirigenti 21 aprile 2006, in particolare articoli 44, 48, 49, 52, 54, 57 e 58, nonche’ dell’articolo 67, comma 3, del CCNL 2002/2003, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.

La difesa dello Stato censura il riconoscimento alla lavoratrice, a titolo di differenze retributive per l’esercizio delle mansioni superiori dirigenziali, della retribuzione di risultato nella sua parte fissa, in quanto cio’ si porrebbe in contrasto con le disposizioni contrattuali richiamate.

A sostegno della censura, il ricorrente richiama Cass., n. 20796 del 2011, che ha affermato che in tema di lavoro pubblico contrattualizzato e di trattamento economico del personale con qualifica dirigenziale, l’articolo 44, comma 3, del CCNL del personale dirigente dell’Area 1, 1998-2001, Comparto Ministeri, stabilisce che la retribuzione di risultato, comprensiva della quota fissa minima di cui si compone, e’ erogata solo a seguito della positiva verifica del raggiungimento degli obiettivi previamente determinati cui la stessa e’ correlata.

Ne consegue che deve escludersi che tale retribuzione possa spettare per il solo fatto dello svolgimento di funzioni superiori.

Nella specie la (OMISSIS) non apparteneva al ruolo dirigenziale, ne’ le era stato attribuito alcun incarico dirigenziale con i relativi obiettivi individuali, per cui non poteva essere sottoposta a valutazione ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 21, costituente presupposto normativo e contrattuale anche per la corresponsione della retribuzione di risultato.

Pertanto alla lavoratrice non spettava alcun importo a titolo di retribuzione di risultato neppure a titolo di parte fissa.

4.1. Il motivo e’ fondato.

Deve premettersi che, in linea di principio, in tema di lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilita’ inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall’articolo 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori (in tal senso Cass. S.U., n. 3814 del 2011, n. 12193 del 2011, n. 7823 del 2013).

Cio’ posto, tuttavia, e’ fondata la censura relativa all’attribuzione della retribuzione di risultato, nella specie, parte fissa, in quanto la Corte d’Appello ha ritenuto che non assumesse rilievo il conseguimento degli obiettivi.

Viene in rilievo, in proposito, il CCNL per il personale dirigenziale del comparto ministeri.

Il CCNL 1998-2001 del 5 aprile 2001, all’articolo 44 comma 3, e il CCNL 2002-2005 del 21 aprile 2006, all’articolo 57, comma 3, stabiliscono che la retribuzione di risultato puo’ essere erogata solo a seguito di preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui al Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 14 comma 1 e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui, rispettivamente all’articolo 35 e all’articolo 21.

In sostanza la retribuzione in questione e’ correlata all’effettivo raggiungimento, anche sotto il profilo qualitativo, da parte del dirigente, degli obiettivi preventivamente determinati.

Quindi (in ragione dei principi gia’ affermati da Cass., n. 13062 del 2014, n. 20976 del 2011) il dipendente che svolge mansioni superiori in relazione ad un ufficio dirigenziale, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non ha diritto alla retribuzione di risultato per il solo fatto di avere svolto funzioni dirigenziali, poiche’ la stessa e’ connessa alla verifica dei risultati di gestione.

5. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata della Corte d’Appello di Trento in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Venezia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata della Corte d’Appello di Trento in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Venezia.

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