Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 26 gennaio 2017, n. 2000

L’art. 21, comma 13, CCNL 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all’atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente) va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle ferie, di cui all’art. 36 Cost., di guisa che si applica solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 26 gennaio 2017, n. 2000

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata l’8.6.10 la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame di T.L.D. , (+Altri) , tutti medici inquadrati come dirigenti di primo livello, dipendenti della Fondazione IRCCS “Istituto Nazionale dei Tumori”, contro la decisione del Tribunale ambrosiano che aveva respinto la loro domanda di monetizzazione di ferie non godute alla data del 1.1.05.
Per la cassazione della sentenza ricorrono i suddetti medici affidandosi a sei motivi, con unico ricorso, mentre B.A.V. propone separato ricorso incidentale, sempre per sei analoghi motivi.
La Fondazione IRCCS “Istituto Nazionale dei Tumori” resiste con due separati controricorsi di analogo contenuto.
Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1- Il primo motivo dei ricorsi denuncia vizio di motivazione, violazione dell’art. 2697 c.c. e delle norme del d.lgs. n. 165/01 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che i ricorrenti abbiano goduto delle quattro settimane di ferie maturate anno per anno, dando per certo che il monte ferie azzerato dall’istituto si riferisse a ferie ulteriori rispetto al minimo dovuto: si obietta, invece, nei ricorsi che le stesse tabelle prodotte dalla controricorrente confermano un godimento del tutto parziale delle ferie annuali maturate, in molti casi ben al di sotto della soglia delle quattro settimane annue; né proseguono i ricorrenti – è necessaria una contestazione dei prospetti, atteso che nelle stesse buste paga espressamente viene riconosciuto un debito di ferie, di guisa che erroneamente la sentenza ha ritenuto che i ricorrenti abbiano agito per ferie eccedenti le prime quattro settimane.
Il secondo motivo dei ricorsi denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 10 d.lgs. n. 66/03, per avere la sentenza impugnata affermato che alle ferie eccedenti le quattro settimane annue si applicherebbe solo la disciplina del contratto collettivo.
Il terzo motivo dei ricorsi prospetta violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 66/03 e vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza afferma l’irrilevanza ratione temporis del d.lgs. n. 66/03, atteso che almeno una parte non secondaria delle ferie azzerate dall’istituto è maturata sotto il vigore di tale fonte.
Il quarto motivo dei ricorsi denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2109 co. 2 e 2087 c.c., nonché dell’art. 10 d.lgs. n. 66/03, là dove la sentenza afferma che il diritto alle ferie non sarebbe irrinunciabile e che sarebbe onere del lavoratore attivarsi per fruirne, senza che sia compito del datore di lavoro organizzare la propria attività in modo da far godere delle ferie ai propri dipendenti.
Con il quinto motivo dei ricorsi ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 21 CCNL dirigenti medici del 5.12.96 e successive modificazioni e dell’art. 63 d.lgs. n. 165/01, per avere la sentenza affermato che, in difetto di richiesta del lavoratore, le ferie non consumate si sarebbero estinte e che la loro mancata fruizione sarebbe dipesa dai ricorrenti, non avendo essi provato di aver programmato le proprie ferie e di non averne, poi, potuto godere per diniego da parte dell’istituto.
Il sesto motivo dei ricorsi deduce vizio di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c. e del d.lgs. n. 165/01, nella parte in cui la sentenza afferma che sarebbe spettato ai ricorrenti fornire la prova della sussistenza di ragioni aziendali tali da impedire il godimento delle ferie.
2- Il quarto, il quinto e il sesto motivo dei ricorsi principale e incidentale – da esaminarsi congiuntamente perché connessi e prima di ogni altro, in quanto aventi priorità logica – sono fondati nei sensi qui di seguito chiariti.
Afferma la sentenza impugnata che, in virtù dell’art. 21 CCNL del 1996 dell’area della dirigenza medica, il dirigente medico deve programmarsi le ferie e richiederle in modo da fruirne nel corso dell’anno o, se ciò non è possibile per indifferibili esigenze di servizio o personali, entro il primo semestre dell’anno successivo.
Si legge, ancora, nella gravata pronuncia che tale contrattazione collettiva non distingue tra dirigenti apicali e non, di modo che, non avendo gli odierni ricorrenti provato di aver programmato le proprie ferie e di aver ricevuto, ciò nonostante, un rifiuto da parte dell’istituto, la loro domanda va rigettata, anche per mancanza di allegazione e prova di natura e caratteristiche del pregiudizio sofferto, in ipotesi, a cagione del mancato godimento delle ferie in oggetto.
In tal modo la sentenza impugnata si è discostata dall’insegnamento giurisprudenziale – cui, invece, questa Corte ritiene di dare continuità – di Cass. S.U. n. 9146/09, secondo il quale l’art. 21, comma 13, CCNL 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all’atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente) va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle ferie, di cui all’art. 36 Cost., di guisa che si applica solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere.
Tali erano gli odierni ricorrenti, medici inquadrati come dirigenti di primo livello, dunque in posizione sottordinata a quella dei dirigenti di secondo livello e alla direzione sanitaria responsabile della conduzione della struttura ospedaliera. Pertanto, non avevano il potere di programmarsi le ferie e di autoattribuirsene il godimento.
Ne discende che – sia detto in sintesi – ai ricorrenti si applica il principio generale secondo cui il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha soltanto l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l’onere di fornire la prova del relativo pagamento (cfr. Cass. n. 8521/15; Cass. n. 26985/09; Cass. n. 22751/04).
Non si applica, invece, il principio secondo cui il dirigente che sia titolare del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, ove non eserciti detto potere e non fruisca, quindi, del periodo di riposo, non ha il diritto all’indennità sostitutiva, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive, ostative alla suddetta fruizione.
Infine, non può nemmeno dirsi – come pure si legge nella sentenza impugnata – che all’accoglimento delle domande osterebbe comunque il non avere i ricorrenti allegato e provato natura e caratteristiche del pregiudizio sofferto, in ipotesi, a cagione del mancato godimento delle ferie: è inequivocabile, in senso contrario, il disposto del comma 13 dell’art. 21 cit. CCNL, secondo il quale “Fermo restando il disposto del comma 8, all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente, l’azienda o ente di appartenenza procede al pagamento sostitutivo delle stesse. Analogamente si procede nel caso che l’azienda o ente receda dal rapporto ai sensi dell’art. 36”.
Come ben si vede, il testo letterale della clausola contrattuale è chiaro nell’attribuire l’indennità sostitutiva delle ferie per il solo fatto del loro mancato godimento, senza che sia necessario che il dipendente alleghi e provi di aver sofferto un particolare pregiudizio.
3- In conclusione, la Corte accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo dei ricorsi principale e incidentale, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
“L’art. 21, comma 13, CCNL 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all’atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente) va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle ferie, di cui all’art. 36 Cost., di guisa che si applica solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo dei ricorsi principale e incidentale, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione

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