Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 26 agosto 2015, n. 17153

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – rel. Presidente

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. MANNA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7320-2014 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI PALERMO, SETTORE RISORSE UMANE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1862/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 26/09/2013 r.g.n. 2187/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO ROSELLI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26 settembre 2013 la Corte d’appello di Palermo confermava la decisione, emessa dal Tribunale, di rigetto della domanda proposta da (OMISSIS) contro il datore di lavoro, Comune di Palermo, ed intesa alla dichiarazione d’illegittimita’ del licenziamento disciplinare intimato il 12 dicembre 2001.

La Corte respingeva la tesi dell’appellante, secondo cui il termine di cinque giorni, previsto dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 55 bis, comma 3, introdotto dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, articolo 69, e imposto al responsabile della struttura per la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare, avesse natura decadenziale. La decadenza era prevista dall’articolo 55 bis, comma 4 soltanto per la contestazione dell’addebito al dipendente da parte dell’ufficio disciplinare ed in relazione al termine di quaranta giorni decorrente dalla ricezione degli atti. Ne’ alla fattispecie concreta poteva applicarsi un termine di decadenza previsto, per la trasmissione degli atti al dirigente dell’ufficio disciplina, dal regolamento per gli uffici e servizi del Comune di Palermo, poiche’ quest’atto non poteva derogare alla previsione imperativa del decreto legislativo.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la (OMISSIS) mentre il Comune resiste con controricorso. Memoria della ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 55, comma 1, articolo 55 bis, commi 3, 4, 5 e articolo 55 quater, modif. dal Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e articolo 12 preleggi, per non avere la Corte d’appello ritenuto la natura decadenziale del termine imposto al responsabile della struttura (o al dirigente) dall’articolo 55 bis cit., comma 3 per la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare. L’esclusione della natura decadenziale porta, ad avviso della ricorrente, alla vanificazione del termine, in contrasto con la natura imperativa delle norme in materia, stabilita dall’articolo 55, comma 1 (la ricorrente parla di “perentorieta’ intrinseca”).

Col secondo motivo ella deduce la violazione delle norme suddette, degli articoli 2965 e 2968 cod. civ., della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, articolo 5 per avere la Corte d’appello disapplicato il regolamento del Comune di Palermo, che imponeva lo stesso termine a pena di decadenza.

Col terzo motivo la medesima, invocando ancora l’articolo 55 bis cit., si duole che sia stato ritenuto assorbito un motivo d’appello concernente una doppia contestazione disciplinare.

I primi due motivi, da esaminare insieme perche’ connessi, non sono fondati.

Per gli illeciti disciplinari di maggiore gravita, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’articolo 55 bis, contiene due previsioni: con la prima (comma 3) e’ imposto al dirigente C.3 della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto”; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni).

Lo stesso comma 4 dice che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare.

E’ evidente percio’ che la decadenza sanziona soltanto l’inosservanza del termine oggetto della seconda previsione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente.

Il termine posto dall’articolo 55 bis non e’ vanificato, ne’ viene irragionevolmente sacrificato l’interesse dell’impiegato alla sollecita definizione del procedimento disciplinare. Il termine di cinque giorni ha scopo sollecitatorio onde la sanzione disciplinare e’ illegittima se la trasmissione degli atti al dirigente venga ritardata in misura tale da rendere troppo difficile l’esercizio del diritto di difesa spettante all’incolpato ossia da rendere tardiva la contestazione dell’illecito. Eventualita’ neppure prospettata dalla ricorrente, che parla di un ritardo di undici giorni dovuto ad un erroneo avvio della procedura.

L’articolo 55 bis, comma 5 dice: “E’ esclusa l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo”, d’onde l’inapplicabilita’ della decadenza prevista nel suddetto regolamento comunale (vedi a contrario Cass. 4 maggio 2011 n. 9767).

Il terzo motivo e’ inammissibile poiche’ la Corte d’appello ha esattamente ritenuto assorbita la questione concernente la duplice contestazione disciplinare.

Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro 100,00 oltre ad euro tremila/00 per compenso professionale, piu’ accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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