Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 25 settembre 2017, n. 22289. Ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto della subordinazione

Ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall’effettivo svolgimento del rapporto, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (ai sensi dell’articolo 1362 c.c., comma 2), ma anche ai fini dell’accertamento di una nuova e diversa volonta’ eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, da autonoma a subordinata; con la conseguenza che. in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli di fatto emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente nell’ambito di una richiesta di tutela formulata tra le parti del contratto. Del resto, il ricorso al dato della concretezza e della effettivita’ appare condivisibile anche sotto altro angolo visuale, ossia in considerazione della posizione debole di uno dei contraenti, che potrebbe essere indotto ad accettare una qualifica del rapporto diversa da quella reale pur di garantirsi un posto di lavoro.

Gli indici di subordinazione sono dati dalla retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l’orario di lavoro fisso e continuativo; la continuita’ della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

 

Sentenza 25 settembre 2017, n. 22289
Data udienza 20 settembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. LEO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 351-201 proposto da:

ECIPA LAZIO ENTE CONFEDERALE PER L’ISTRUZIONE PROFESSIONALE DELL’ARTIGIANATO IN LIQUIDAZIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 5942/2012 della CORTE D’APPELLO di RCAA, depositata il 02/08/2012 r.g.n. 4928/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per: inammissibilita’ in subordine rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 2/6/2012, accogliendo il gravarne interposto da (OMISSIS), nei confronti di Ecipa Lazio-Ente Confederale per l’Istruzione Professionale dell’Artigianato in liquidazione, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede resa in data 15/2/2006, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal 18/1/1999 sino al 31/12/2003, con inquadramento del (OMISSIS) nel 5 livello del CCNL formazione professionale dal 18/1/1999 sino al 30/6/2000 e nel 6 livello del medesimo CCNL dall’1/7/2000 sino al 31/12/2003 e condannava Ecipa Lazio in liquidazione al pagamento, in favore dell’appellante, della somma complessiva di Euro 50.663,15 a titolo di differenze retributive, oltre interessi e rivalutazione, nonche’ alla relativa regolarizzazione della posizione assicurativa e contributiva presso i competenti uffici, nonche’ alle spese di lite del doppio grado.

Per la cassazione della sentenza Ecipa Lazio in liquidazione propone ricorso, articolando due motivi ulteriormente illustrati da memoria ex articolo 378 codice di rito.

Il (OMISSIS) resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2094 c.c., deducendo che dalle risultanze istruttorie sarebbe emerso, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’esistenza di un rapporto di lavoro coordinato e continuativo tra le parti, mancando in tale rapporto la sottoposizione del (OMISSIS) al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo si censura. sempre in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., lamentando che, al riguardo, la sentenza della Corte distrettuale sarebbe viziata per violazione del predetto articolo, poiche’ non e’ stata provata dal lavoratore la pretesa che si voleva far valere in giudizio.

1.1: 2.1. I motivi – da trattare unitamente. essendo i medesimi entrambi diretti a censurare il procedimento logico-giuridico che ha condotto i giudici di seconda istanza a ravvisare nel rapporto di lavoro di cui si tratta i connotati della subordinazione – non sono meritevoli di accoglimento.

E’ da premettere che il caso all’esame ripropone la venata quaestio della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato in una fattispecie che, per alcuni versi, presenta dei connotati peculiari.

Deve, del resto, prendersi atto che oggi i due cennati tipi di rapporto non compaiono che raramente nelle loro forme e prospettazioni “primordiali” e piu’ semplici, in quanto gli aspetti molteplici di una vita quotidiana e di una realta’ sociale in continuo sviluppo e le diuturne sollecitazioni che ne promanano hanno insinuato in ognuno di essi elementi per cosi’ dire perturbatori che appannano, turbano, appunto, la primigenia simplicitas del “tipo legale” e fanno dei medesimi, non di rado, qualcosa di ibrido e, comunque, difficilmente definibile.

Per cui la qualificazione sub specie di locatio operis o locatio operarum e la sua sussunzione sotto l’uno o l’altro nomen iuris diventa piu’ delicata e richiede una piu’ approfondita opera di accertamento della realta’ fattuale e di affinamento di quei momenti che la teoria ermeneutica caratterizza come subtilitas explicandi e, soprattutto, come subtilitas applicandi.

Soccorre, peraltro, in questa actio finitium regundorum tra lavoro autonomo e subordinato l’insegnamento della giurisprudenza che, intervenendo con molta consapevolezza sul tema, ha dato alla dibattuta questione una soluzione che puo’, nei principi, ormai dirsi consolidata.

E’ noto, difatti, che, secondo il richiamato e consolidato insegnamento della giurisprudenza della Suprema Corte, l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalita’ di svolgimento della prestazione lavorativa.

In particolare, mentre la subordinazione implica l’inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione e’ costituito dal risultato dell’attivita’ (opus): ex multi,s, Cass. 12926/1999: 5464/1997: 2690/1994; e, piu’ di recente. Cass. 28 marzo 2003 n. 4770, secondo la quale, ai tini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo. il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere accertato o escluso mediante il ricorso agli elementi che il giudice deve concretamente individuare dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dalle modalita’ di svolgimento del rapporto (cfr. pureaik. tra le molte. Cass, nn.01717/2009, 1153/2013).

E’ stato altresi’ l’elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato e’ costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilita’ del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalita’ di esecuzione dell’attivita’ lavorativa; mentre, e’ stato pure precisato, altri elementi – come l’assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione – possono avere solo valore indicativo e non determinante (v. Cass. 7171/2003), costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l’una che con l’altra qualificazione del rapporto stesso (fra le altre – e gia’ da epoca (Ndr: testo originale non comprensibile) meno recente – Cass. 7796/1/1993; 4131/1984).

Cio’ precisato, e’ da aggiungere che, anche in ordine alla questione relativa alla qualificazione del rapporto contrattualmente operata, sovviene l’insegnamento della giurisprudenza di legittimita’. Alla cui stregua, onde pervenire alla identificazione della natura del rapporto come autonomo o subordinato, non si puo’ prescindere dalla ricerca della volonta’ delle parti, dovendosi tra l’altro tener conto del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell’esercizio della loro autonomia contrattuale.

Pertanto, quando i contraenti abbiano dichiarato di volere escludere l’elemento della subordinazione, specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili sia con l’uno che con l’altro tipo di prestazione d’opera, e’ possibile addivenire ad una diversa qualificazione solo ove si dimostri che, in concreto, l’elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo (v. fra le molte, e gia’ da epoca recente. Cass. 4220/1991; 12926/1999).

Il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non e’ quindi vincolante per il giudice ed e’ comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalita’ di adempimento della prestazione (Cass. 812/1993).

Al proposito, questa Corte di legittimita’ ha avuto, altresi’, modo di ribadire che, ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall’effettivo svolgimento del rapporto, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (ai sensi dell’articolo 1362 c.c., comma 2), ma anche ai fini dell’accertamento di una nuova e diversa volonta’ eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, da autonoma a subordinata; con la conseguenza che. in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli di fatto emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente nell’ambito di una richiesta di tutela formulata tra le parti del contratto (Cass., 4770/2003; 5960/1999). Del resto, come e’ stato osservato, il ricorso al dato della concretezza e della effettivita’ appare condivisibile anche sotto altro angolo visuale, ossia in considerazione della posizione debole di uno dei contraenti, che potrebbe essere indotto ad accettare una qualifica del rapporto diversa da quella reale pur di garantirsi un posto di lavoro.

Di recente, con la sentenza n. 7024/2015, questa Corte ha ribadito che gli indici di subordinazione sono dati dalla retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l’orario di lavoro fisso e continuativo; la continuita’ della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

E sul lavoratore che intenda rivendicare in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato grava l’onere di fornire gli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta invocata (cfr., tra le molte, Cass. n. 11937/2009).

Tutto cio’ premesso, deve osservarsi che, nella fattispecie, la Corte territoriale e’ compiutamente pervenuta alla delibazione dei punti di emersione probatoria alla luce dei richiamati, costanti, insegnamenti giurisprudenziali, stabilendo che il (OMISSIS) era tenuto a rispettare un orario di lavoro stabilito dal datore di lavoro, il quale ultimo forniva al lavoratore la gran parte dei mezzi e delle strutture per l’espletamento del proprio lavoro.

Pertanto, deve affermarsi che la Corte territoriale, attraverso un iter motivazionale ineccepibile, basato. come innanzi rilevato, sulla sequenza temporale dei fatti e sulla documentazione posta a sostegno della motivazione, ha operato la corretta sussunzione di tali fatti nelle norme da applicare.

Ne consegue che i mezzi di impugnazione articolati non sono idonei a scalfire le argomentazioni cui e’ pervenuta la Corte di merito.

Quanto sin qui detto conduce al rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 4.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

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