Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 25 agosto 2015, n. 17119
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente
Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19455/2010 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, gia’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPTREMADI CASSAZIONE;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3597/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/01/2010 r.g.n. 2262/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/04/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Frosinone la (OMISSIS) s.r.l., proponeva opposizione avverso cartella esattoriale, notificata dalla societa’ concessionaria della riscossione (OMISSIS) s.p.a., per il pagamento della somma di euro 48.271,50 a titolo di sanzioni civili ed interessi di mora per ritardato pagamento di contributi previdenziali per il periodo marzo 1997 – agosto 2000, ai sensi della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 116, comma 8, lettera b).
2.- Rigettata l’opposizione e proposto appello dall’opponente, che ribadiva che nella specie era applicabile il piu’ favorevole regime sanzionatorio dell’omissione contributiva e non quello dell’evasione applicato dall’INPS, la Corte d’appello di Roma con sentenza del 19.01.10 rigettava l’impugnazione. Rilevava la Corte che la societa’ assicurata, con l’intenzione specifica di non versare i contributi, non aveva presentato nei termini i modelli DM 10 relativi al periodo contributivo interessato, inviati solo nel gennaio 2001, ed aveva corrisposto in ritardo gli importi dovuti, di modo che era corretta la sanzione irrogata per l’evasione contributiva.
3.- Propone ricorso per cassazione la soc. (OMISSIS).
Risponde con controricorso INPS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.- I motivi di ricorso si riassumono come segue.
4.1.- Con il primo motivo di corso e’ dedotta violazione della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 116, comma 8.
La ricorrente contesta sostiene che Corte d’appello ha interpretato la norma in senso esclusivamente formale. La mancanza di uno solo degli adempimenti del datore di lavoro comporterebbe l’applicazione automatica delle maggiori sanzioni previste per l’evasione contributiva, ove sia sintomo di volonta’ di non adempiere all’obbligazione e, comunque, ove il datore stesso non abbia provato che la mancata osservanza non avesse quell’obiettivo. Tale interpretazione esclude che possa essere qualificato “omissione contributiva” il comportamento che indica la volonta’ di ritardare il pagamento, anche se non di evadere l’obbligazione, come avvenuto nel caso di specie, ove il contribuente ha tenuto regolarmente le scritture contabili, pur comunicandone tardivamente all’INPS il contenuto, ed adempiuto all’obbligazione contributiva prima ancora che l’Istituto ne facesse richiesta. La tesi della Corte di merito, inoltre, impone al contribuente di dare prova di un fatto negativo, attinente il foro interno della persona.
4.2.- Con il secondo motivo e’ dedotta insufficiente ed illogica motivazione in relazione all’applicazione della norma in questione. Risulta, infatti, agli atti la prova che il datore di lavoro ha presentato spontaneamente le dichiarazioni contributive e che ha provveduto al pagamento dei contributi secondo un piano di rateizzazione, successivamente regolarmente seguito. Tali circostanze costituirebbero la prova che la societa’ ha solo tentato di ritardare il pagamento dovuto, senza intenzione alcuna di evitarlo.
5.- Procedendo all’esame congiunto dei due motivi, deve premettersi la ricostruzione della disciplina applicabile al caso di specie.
L’articolo 116, comma 8, di cui si assume la violazione, prevede che “I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti: a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare e’ rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non puo’ essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioe’ nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non puo’ essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreche’ il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non puo’ essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi, non corrisposti entro la scadenza di legge”.
Per il caso del mancato o insufficiente pagamento dei contributi previdenziali sul piano sanzionatorio la norma distingue, dunque, due fattispecie diversamente sanzionate: alla lettera a) il mancato o ritardato pagamento (ovvero l’omissione contributiva), per il quale e’ previsto il pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti, per un importo massimo del 40 per cento dei contributi non corrisposti; alla lettera b) l’evasione contributiva per la quale e’ previsto il pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento, per un importo massimo del 60 per cento dei contributi non corrisposti.
Per la seconda fattispecie, lo stesso comma 8, lettera b) prevede l’attenuazione della sanzione (che viene parificata a quella sub a), ove la denunzia sia spontaneamente effettuata prima della contestazione dell’Istituto e comunque entro dodici mesi dal termine di pagamento dei contributi, a condizione che il pagamento avvenga nei trenta giorni seguenti.
6.- Il principio affermato in termini generali dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e’ che l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS attraverso i modelli DM10 circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra di per se’ l’evasione contributiva e non la meno grave omissione contributiva. L’omessa o infedele denuncia fa, infatti, presumere l’esistenza della volonta’ datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. In particolare, si ritiene che la mancata o infedele denunzia configuri occultamento dei rapporti e delle retribuzioni (o di entrambi) e faccia presumere l’esistenza della volonta’ di realizzare l’occultamento allo specifico fine di non versare i contributi. Conseguentemente grava sul datore inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere che non puo’ tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta, annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui e’ obbligatoria la tenuta (v. Cass. 25.06.12 n. 10509 e 27.12.11 n. 28966, nonche’ indirettamente Cass. 20.01.11 n. 1230).
7.- Nella fattispecie concreta – in cui l’INPS ha ravvisato l’evasione contributiva ed ha irrogato le sanzioni previste dall’articolo 116, comma 8, lettera b), – il giudice di merito ha rilevato che: a) la societa’ opponente ha presentato in data 5.01.01 i modelli DM10, b) dagli stessi l’Istituto ha avuto contezza del debito contributivo relativo al periodo marzo 1997/agosto 2000, c) il datore ha poi pagato il debito contributivo in forma rateale, pur in mancanza di accettazione della dilazione di pagamento.
Rileva il Collegio giudicante che l’articolo 116, comma 8, ricollega la fattispecie piu’ lieve dell’omissione contributiva alla circostanza che l’ammontare dei contributi (di cui sia stato omesso o ritardato il pagamento) sia rilevabile “dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie”.
Nel caso di specie risulta, tuttavia, che la presentazione dei modelli DM10 e’ stata omessa per periodi particolarmente lunghi (superiori ai tre anni per quelli piu’ risalenti) e che sono di conseguenza state omesse le denunzie riepilogative annuali mod. 770, mentre non e’ stato precisato se il credito dell’Istituto fosse comunque evidenziato nella documentazione di provenienza datoriale accessibile dai servizi ispettivi.
Il comportamento del datore obbligato e’, pertanto, correttamente riconducibile alla fattispecie piu’ grave dell’evasione, in quanto nella sostanza il credito relativo ai vari periodi di contabilizzazione e’ rimasto ignoto all’INPS e sottratto ad ogni verifica. L’ammontare dei contributi non e’ stato, in altre parole, portato a conoscenza dell’Istituto per lunghi periodi, il che giustifica l’opinione del giudice di appello che ha ricompreso il comportamento del datore nella situazione legale della “evasione connessa a registrazioni o denunzie obbligatorie omesse”.
8.- In tale situazione sarebbe stato onere del datore – secondo la menzionata giurisprudenza di legittimita’, qui pienamente condivisa – dare la prova della mancanza dell’intento fraudolento, in considerazione del fatto che la disposizione normativa in esame assimila la “evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero”, al “caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate”. E’ questo il significato della locuzione “cioe'” interposta nella prima parte della lettera b), tra i due comportamenti appena descritti.
L’interpretazione della norma e’, quindi, nel senso che ove l’evasione derivi dalle rilevate omissioni il datore puo’ in ogni caso scriminare il proprio comportamento assolvendo ad detto onere probatorio.
9.- Nella situazione di fatto accertata dal giudice di merito non puo’ ravvisarsi neppure il trattamento premiale previsto sul piano sanzionatorio per il “ravvedimento operoso”, consentito dalla seconda parte della lettera b) in esame nel caso che sia stato il datore stesso a denunziare la propria situazione debitoria, nonostante l’oggettiva condizione di evasione. Tale piu’ favorevole trattamento scatta, infatti, solo nel caso che la denunzia della situazione debitoria “sia effettuata spontaneamente… comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreche’ il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denunzia stessa”. Nel caso di specie la denunzia dell’omesso pagamento dei contributi piu’ lontani risulta avvenuta ben dopo la scadenza del dodicesimo mese ed i versamenti sono stati effettuati in termini ben piu’ lunghi di trenta giorni dalla denunzia.
10.- In conclusione il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato, con condanna della societa’ ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in euro 100 (cento) per esborsi ed in euro 2.500 (duemilacinquecento) per compensi, oltre accessori.
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