Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 ottobre 2017, n. 25018. In ordine all’impiego pubblico contrattualizzato

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2.2. Ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere determinante ai fini della decisione la sola carenza del potere di autotutela, poiche’ come si desume dalla stessa motivazione della sentenza impugnata nonche’ dall’esposizione dei fatti riportata nel ricorso, l’Office Regional du Tourisme, a giustificazione dell’iniziativa unilaterale assunta, aveva fatto valere proprio la nullita’ delle conciliazioni, per contrasto con la disciplina inderogabile dettata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52.
Sul punto va evidenziato che la disciplina delle mansioni nell’impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, perche’ vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali sono quelli dell’efficienza degli uffici pubblici, del pubblico concorso (che secondo la giurisprudenza costituzionale opera anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore, cfr. Corte Cost. 29.5.2002 n. 218), del contenimento e della necessaria predeterminazione della spesa, che impongono al datore di lavoro pubblico, fatta eccezione per i casi espressamente previsti dalla legge, di assegnare al dipendente solo compiti che siano corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente “acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 nel testo applicabile ratione temporis). In detti rapporti, quindi, l’esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l’assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa e’ affetta da nullita’ e il dipendente puo’ solo rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualita’ e quantita’ del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione e’ stata eseguita. Il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si e’ detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilita’ personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove cio’ sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave (in tal senso fra le piu’ recenti Cass. 13.6.2017 n. 14664).
2.3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche evidenziato che “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilita’ di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto e’ regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perche’ viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21-septies dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva. ” (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744).
2.4. Si impongono, pertanto, la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procedera’ ad un nuovo esame attenendosi a quanto precisato nei punti che precedono ed al principio di diritto di seguito enunciato: “Nell’impiego pubblico contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, e’ tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non puo’ dare esecuzione ad atti nulli ne’ assumere in sede conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal CCNL di comparto sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni.”.
Resta conseguentemente assorbito il secondo motivo inerente l’inapplicabilita’ alla fattispecie dell’articolo 1969 c.c..
P.Q.M.
Al giudice del rinvio viene rimesso anche il regolamento delle spese relative al giudizio di legittimita’.

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