La contestazione dell’addebito deve essere dotata del carattere della specificità; deve, cioè, fornire le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.
Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 21 aprile 2017, n. 10154
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19097-2015 proposto da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. – (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 731/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 19/06/2015 R.G.N. 289/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con sentenza 19 giugno 2015, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione all’ordinanza emessa dallo stesso Tribunale, di rigetto delle sue domande di nullita’ o annullamento del licenziamento intimatogli dalla datrice (OMISSIS) s.p.a. il 4 luglio 2014 per insussistenza del fatto contestato e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria.
Preliminarmente chiarita la giustificazione della mancata assoluzione dell’obbligo di prestazione lavorativa per uno stato di malattia consistente in una alterazione della condizione di salute, non gia’ per una mera varieta’ di agenti patogeni, se non di entita’ tale da determinare un’incapacita’ lavorativa assoluta, la Corte territoriale escludeva alcuna modificazione della contestazione disciplinare ne’ dalla datrice con il licenziamento intimato, ne’ tanto meno dal Tribunale; e cosi’ pure l’integrazione di uno stato di malattia rilevante ai fini in esame, per le risultanze della esperita C.t.u. psichiatrica, esente dai plurimi vizi denunciati dal lavoratore reclamante, disattesi con argomentazioni diffuse. Con atto notificato il 25 luglio 2015, (OMISSIS) ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste (OMISSIS) s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, articoli 7 e 18, articoli 2104, 2105 e 2106 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di una specifica contestazione datoriale fondante il licenziamento disciplinare intimato, ridondante nella lesione del proprio diritto di difesa, in assenza di precisazione dei comportamenti disciplinarmente rilevanti, a fronte della giustificazione delle assenze lavorative per condizione di malattia certificata.
Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea assunzione della propria scorrettezza e malafede nella protratta assenza dal lavoro dietro prescrizione medica.
Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullita’ della sentenza, a causa di evidente contrasto tra affermazioni inconciliabili, quali l’esclusione di una contestazione datoriale di simulazione di malattia del lavoratore e le validate risultanze della C.t.u. medico-legale, di esplicita induzione del medico curante in errore dal medesimo lavoratore, condizionato dalla rappresentazione di uno stato di salute inveritiero per interesse personale.
Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, articoli 7 e 18, articoli 2104, 2105 e 2106 c.c., per difetto di specifica contestazione datoriale a base del licenziamento disciplinare intimato, e’ infondato.
Ed infatti, deve essere esclusa la violazione del principio di genericita’ della contestazione dell’addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari, allo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa, sicche’ essa deve essere dotata del carattere della specificita’. E questo e’ integrato quando siano fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialita’, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli articoli 2104 e 2105 c.c. (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 15 maggio 2014, n. 10662).
Il relativo accertamento e’ oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimita’, salva la verifica di logicita’ e congruita’ delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 23 marzo 2002, n. 4187).
Nel caso di specie, il principio scrutinato e’ stato rispettato per la piu’ che sufficiente specificita’ della lettera di contestazione 20 giugno 2014 (trascritta a pg. 1 del ricorso), come correttamente ritenuto, con argomentazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, in esatta applicazione del suenunciato principio di diritto, dalla Corte territoriale, che ha chiaramente illustrato (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 6 al quinto alinea di pg. 7 della sentenza) come il licenziamento sia stato intimato al lavoratore per la sua protratta assenza dal lavoro, non giustificata da uno stato di malattia non incompatibile con la possibilita’ della sua prestazione.
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., per erronea assunzione della scorrettezza e malafede del lavoratore nella protratta assenza dal lavoro dietro prescrizione medica, e’ inammissibile.
Esso e’ generico.
Il motivo confuta, infatti, solo parzialmente e pertanto in modo inadeguato (in violazione della prescrizione di specificita’ dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza: Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202) l’ampia ed esauriente esclusione della giustificazione della protratta assenza dal lavoro per malattia, sulla base dell’inidonea certificazione medica (per le ragioni esposte da pg. 6 a pg. 10 della sentenza).
Ad essa si e’ aggiunto un comportamento del lavoratore non integrante un impegno di leale cooperazione (Cass. 3 maggio 2011, n. 9714), cui il lavoratore e’ tenuto in qualita’ di debitore della prestazione lavorativa, non giustificabile con rappresentazioni soggettive a spiegazione della propria condotta (Cass. 14 agosto 2008, n. 21680).
Ne’ un tale comportamento di allontanamento del lavoratore dalla propria abitazione con ripresa delle attivita’ della vita privata e’ stato determinato dall’ottemperanza a prescrizioni del medico curante (Cass. 21 marzo 2011, n. 6375).
In ogni caso, l’accertamento in fatto del giudice di merito, in quanto nel caso di specie congruamente motivato per le ragioni suindicate, e’ insindacabile in sede di legittimita’ (Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498).
Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, per nullita’ della sentenza, a causa di evidente contrasto tra affermazioni inconciliabili, e’ pure inammissibile.
Non sussiste la nullita’ della sentenza denunciata, posto che non ricorre la totale omissione, per materiale mancanza, della parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. 22 giugno 2015, n. 12864). E neppure e’ impossibile l’individuazione degli elementi di fatto considerati e presupposti della decisione, avendo anzi l’atto raggiunto il suo scopo (Cass. 10 novembre 2010, n. 22845).
Sicche’, in realta’ si tratta della deduzione di un vizio di motivazione contraddittoria, inammissibile alla luce del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
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