Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 2 settembre 2014, n. 18522

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5747-2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
sul ricorso 8291-2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 629/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 03/12/2007 r.g.n. 271/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) adiva il Giudice del lavoro di Catania deducendo di avere lavorato dal 10 marzo 1999 al 10 agosto 1999 in qualita’ di addetto alla distribuzione di carburante alle dipendenze di (OMISSIS) e di essere stato licenziato verbalmente in tronco in data 10 agosto 1999; chiedeva la condanna del datore di lavoro al pagamento di lire 28.230.434 a titolo di differenze retributive e trattamento di fine rapporto nonche’ dichiararsi l’illegittimita’ del disposto licenziamento, con ordine alla resistente di reintegrarlo nel posto di lavoro e di risarcirgli i danni subiti. (OMISSIS) resisteva alla domanda, deducendo di aver assunto il ricorrente in data 30 aprile 1999 con contratto di formazione e lavoro e che il rapporto era cessato il 10 agosto 1999, giorno in cui il ricorrente si era allontanato immotivatamente dal proprio posto di lavoro. Concludeva chiedendo il rigetto della domanda e in via riconvenzionale la condanna del ricorrente a versarle l’indennita’ sostitutiva del preavviso in misura pari a lire 785.954 o in misura da determinarsi in via equitativa.
Il Tribunale di Catania con sentenza del 23 gennaio 2004 rigettava le domande e dichiarava compensate le spese di causa; l’appello proposto da (OMISSIS) in via principale e da (OMISSIS) in via incidentale veniva respinto dalla Corte d’Appello di Catania con la sentenza n. 629 del 2007.
Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, cui ha resistito (OMISSIS) che ha proposto a sua volta ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, principale ed incidentale, devono essere riuniti in quanto proposti avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).
1. Il ricorso principale e’ fondato su due motivi.
1.1 Come primo motivo il ricorrente deduce con riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la “Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2712 e 2719 c.c. e dell’articolo 214 c.p.c.”. Lamenta che la Corte d’Appello abbia valorizzato la documentazione trasmessa all’UPLMO di Catania attestante la data di assunzione e la cessazione del rapporto per dimissioni, nonche’ le buste paga al fine di ritenere l’adempimento delle obbligazioni retributive, malgrado che il ricorrente in sede di interrogatorio libero avesse affermato di non aver sottoscritto un contratto di formazione e di non avere mai ricevuto buste paga, e che il difensore all’udienza del 8 ottobre 2002 avesse contestato l’autenticita’ della fotocopia della busta paga relativa al mese di agosto 1999 chiedendo che la parte convenuta producesse in giudizio l’originale anche al fine di contestare l’autenticita’ della sottoscrizione apposta in calce alla stessa.
Al fine di adempiere al disposto dell’articolo 366 bis c.p.c., operante ratione temporis in relazione alla data di pubblicazione della sentenza impugnata, formula il seguente quesito di diritto: “Dia atto l’Ecc.ma Corte che i giudici dell’appello non potevano legittimamente utilizzare come prova documentale a favore di controparte tutta la documentazione prodotta in fotocopia e disconosciuta dall’attuale ricorrente tempestivamente. Dia atto in particolare la Corte suprema che non ha valore probatorio alcuno la copia fotostatica della busta paga prodotta, dalla ditta resistente rinviando ad altro giudice di merito che proceda all’accoglimento dei capi di domanda relativi alla 13a 14a mensilita’ e al TFR, quest’ultimo soltanto in alternativa alla richiesta declaratoria di inefficacia del licenziamento impugnato”.
1.2. Come secondo motivo, sempre con riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deduce la “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c. e violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 2”. Lamenta che al fine di ritenere che il rapporto di lavoro sia cessato per volonta’ del lavoratore la Corte d’appello abbia valorizzato la comunicazione all’UPLMO e le risultanze delle prove testimoniali, benche’ queste non fossero significative ed univoche in tal senso. Il quesito di diritto formulato e’ il seguente: “Si prenda atto: 1) che i giudici d’appello nelle valutazioni della prova orale hanno violato i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza e dalla dottrina giuridica con riferimento all’articolo 116 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., n. 5); 2) che l’attuale ricorrente non presento’ mai volontarie dimissioni dal lavoro, ma venne estromesso dal posto di lavoro e quindi licenziato senza comunicazione scritta. Ritenere e dichiarare, quindi, privo di efficacia il licenziamento impugnato e, decidendo nel merito, condannare la ditta controricorrente alla reintegrazione del ricorrente posto di lavoro ed al risarcimento in suo favore dei danni subiti a causa del licenziamento illegittimo nella misura di tutte le mensilita’ della retribuzione maturate dalla data del licenziamento alla data di effettivo reintegro. O, in subordine, rinviare ad altro giudice di merito che, valutando in modo congruo e logico la prova orale acquisita escluda per i motivi spiegati che il ricorrente si fosse dimesso volontariamente o avesse comunque manifestato l’intenzione di dimettersi e quindi provveda alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro ed al risarcimento in suo favore dei danni conseguenti all’illegittimo licenziamento”.
2. Il ricorso incidentale ha ad oggetto il mancato accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) avente ad oggetto l’indennita’ di mancato preavviso. Si lamenta la “violazione dell’articolo 2118 c.c. e della Legge n. 604 del 1966, articolo 2” ed inoltre il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di merito nell’avere ritenuto che al fine di ottenere l’indennita’ di mancato preavviso a seguito delle dimissioni del dipendente il datore di lavoro dovesse dare concreta prova di aver subito danni. Formula il seguente quesito di diritto: “Il diritto all’indennita’ sostitutiva del mancato preavviso ex articolo 2118 c.c. e Legge n. 604 del 1966, articolo 2 che sorge per il fatto che il rapporto di lavoro e’ risolto, spetta al datore di lavoro senza dover dare concreta prova di aver subito alcun danno dal recesso del lavoratore?”.
3. I motivi del ricorso principale laddove prospettano il vizio di violazione di legge sono inammissibili per l’inidonea formulazione dei quesiti di diritto. Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione nella sentenza n. 21672 del 2013 hanno ribadito che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’articolo 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla Corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che e’ inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimita’ di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma – e tanto e’ a dirsi anche nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito. Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto.
Nel caso in esame, i quesiti non presentano le necessarie caratteristiche, poiche’ con si limitano a ribadire in forma assertiva la posizione e la ricostruzione dei fatti della parte senza chiarire quale sia la regula iuris (e non la soluzione del caso concreto) che doveva ritenersi operante.
4. Sotto il profilo del vizio di motivazione oggetto del primo motivo, si rileva che la Corte ha dato adeguata giustificazione della soluzione adottata, valorizzando il fatto che il lavoratore non avesse tempestivamente disconosciuto la firma apposta sulle busta paga allegate agli atti, limitandosi solo alla generica contestazione dell’autenticita’ della fotocopia prodotta. In tal senso il giudice di merito si e’ attenuto al principio che questa Corte ha ancora di recente ribadito, secondo il quale l’articolo 2719 cod. civ., che esige l’espresso disconoscimento della conformita’ con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, e’ applicabile tanto all’ipotesi di disconoscimento della conformita’ della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticita’ di scrittura o di sottoscrizione, ed ha aggiunto che, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli articoli 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformita’ all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Sez. 6-3, Ordinanza n. 2374 del 04/02/2014). Deve quindi ritenersi, in sintonia con tale orientamento piu’ recente e condiviso, che l’articolo 2719 c.c., che esige l’espresso disconoscimento della conformita’ con l’originale delle copie fotografiche non autenticate di scritture, si applica anche alle coppie fotostatiche, e che il suddetto disconoscimento e’ soggetto alle modalita’ ed i termini fissati in via generale dagli articoli 214 e 215 c.p.c. per il disconoscimento della propria scrittura e della propria sottoscrizione. Ne consegue che, ove la parte onerata del disconoscimento oltrepassi la barriera temporale della prima udienza o della prima risposta successiva alla produzione della copia avversaria, maturera’ la decadenza ex articolo 215 c.p.c., comma 1, n. 2.
Nella fattispecie in esame, la contestazione della corrispondenza all’originale della fotocopia della busta paga e’ stata effettuata (come riconosce il ricorrente) in data 8/10/2002, nel corso della quarta udienza di discussione, mentre la dichiarazione resa dal (OMISSIS) in sede di interrogatorio libero non ha avuto ad oggetto specificamente la contestazione dell’autenticita’ della sottoscrizione, avendo egli dichiarato di non avere sottoscritto alcun contratto di formazione e di non avere mai ricevuto buste paga, il che non escludeva che avesse potuto firmare buste paga rimaste in possesso del datore di lavoro.
4.1. Con riferimento al primo motivo peraltro deve rilevarsi che si ravvisano ulteriori ragioni di inammissibilita’, costituite dalla mancata ottemperanza dell’onere dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale, costituisce il corollario del requisito di specificita’ dei motivi di impugnazione e che risulta ora tradotto nelle piu’ puntuali e definitive disposizioni contenute nell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n. 8077 in motivazione). In particolare la norma di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, ponendo come requisito di ammissibilita’ “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, richiede la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di legittimita’, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili. Merita puntualizzare che le SS.UU. (sentenza 3 novembre 2011 n. 22726), intervenendo sull’esegesi del diverso onere di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno confermato, anche per gli atti processuali, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilita’ ex articolo 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonche’ dei dati necessari al loro reperimento. Invero il tenore della disposizione non lascia adito a dubbi sull’estensione dell’onere di “specifica indicazione” di cui al n. 6 della norma a tutti gli atti e documenti (negoziali e non) necessari alla decisione sul ricorso, espressamente ricomprendendo nel relativo ambito oggettivo gli “atti processuali” generalmente intesi. Nel caso, invece, non viene trascritto il contenuto dei documenti la cui autenticita’ viene contestata, ne’ essi sono allegati al ricorso, ne’ se ne indica la collocazione in atti.
5. In poi al secondo motivo di ricorso laddove si censura la motivazione della Corte di merito in merito alle ritenute dimissioni, occorre qui ribadire che il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pur nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta con il Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. nella Legge n. 134 del 2012), non equivale a revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione del giudice del merito per una determinata soluzione della questione esaminata, posto che essa equivarrebbe ad un giudizio di fatto, risolvendosi in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’: con la conseguente estraneita’ all’ambito del vizio di motivazione della possibilita’ per questa Corte di procedere a nuovo giudizio di merito attraverso un’autonoma e propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 28 marzo 2012, il 5024; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). Sicche’, per la configurazione di un vizio di motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia e’ necessario che il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia probatoria delle risultanze fondanti il convincimento del giudice, onde la ratio decidendi appaia priva di base, ovvero che si tratti di elemento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione e percio’ tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata (Sez. L, Sentenza n. 18368 del 31/07/2013, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655; Cass. (ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805).
Ma una tale decisivita’ non si verifica nel caso di specie, considerato che la Corte di merito ha correttamente argomentato il percorso logico che l’ha condotta alla decisione, ritenendo che la parte resistente in primo grado avesse fornito la prova della propria prospettazione, in quanto i testi da lei indicati avevano riferito che il ricorrente si era allontanato dal lavoro a seguito di un diverbio con il suocero della titolare della ditta, diverbio conclusosi con il lancio delle chiavi, contro quest’ultimo e con espressa dichiarazione del lavoratore che mai sarebbe tornato al lavoro. Tali risultanze non erano contrastate da circostante di senso contrario, considerato che la parte ricorrente aveva rinunciato alla prova testimoniale dedotta, ma anzi risultavano confermate dalla causale della cessazione del rapporto comunicata all’ufficio provinciale del lavoro. Del tutto generico ed inammissibile e’ poi e’ il richiamo al CCNL che imporrebbe per le dimissioni un onere di forma, trattandosi di circostanza nuova che non risulta sia stata dibattuta nel corso del giudizio di merito e che non viene corroborata dalla specifica puntuale individuazione e trascrizione della disposizione contrattuale richiamata e dalla produzione del contratto.
6. Il ricorso incidentale e’ invece fondato.
Dall’articolo 2118 c.c., comma 2 si desume che il legislatore ha inteso porre rimedio, con valutazione ex ante e liquidazione forfettaria, alle conseguenze che l’immediata cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina per la parte receduta, che sono per il lavoratore quella di reperire un’altra occupazione e per il datore di sostituire il dipendente dimissionario. La formulazione tassativa della disposizione impone di ritenere che l’indennita’ spetta in ogni caso in cui non vi sia stato un preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell’effettiva sussistenza di un danno a carico della parte receduta. Tale soluzione e’ stata gia’ affermata da questa Corte nella sentenza n. 1148 del 2014 nella quale, esaminando il caso di licenziamento, ha ritenuto che l’articolo 2118 c.c. prevede l’obbligo del datore di lavoro senza eccettuare L’ipotesi in cui il lavoratore licenziato senza preavviso abbia immediatamente trovato un’altra occupazione lavorativa, neppure nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva – quale nella specie quella di livello nazionale ex l’articolo 6 C.C.N.L. 30 aprile 2003 FISE per i dipendenti da imprese e societa’ esercenti servizi di igiene ambientale – preveda un procedimento per pervenire al passaggio diretto e immediato del personale dell’impresa cessante nell’appalto di servizi alle dipendenze dell’impresa subentrante lasciando ferme la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa da parte dell’impresa cessante (conf. Cass., sez. lav., 7 giugno 2012, n. 9195).
Tali principi non sono stati applicati dalla Corte di merito che ha respinto l’appello incidentale solo sulla base della mancata prova dei danni, prova che, nell’applicazione dell’articolo 2118 c.c., comma 2 non e’ richiesta.
6.1. Il ricorso incidentale deve quindi essere accolto con cassazione, della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Palermo, che provvedera’ anche in ordine alle spese di lite e si atterra’ a seguente principio di diritto: “L’indennita’ sostitutiva del preavviso ex articolo 2118 c.c., comma 2 spetta in ogni caso di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non vi sia stato il preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell’effettiva sussistenza di un danno per la parte receduta”.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale. “Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Palermo.

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