Il testo integrale[1]

 

La corte Territoriale aveva affermato che fosse emersa una rinuncia datoriale a sanzionare i comportamenti del dipendente e che, in ogni caso, i fatti contestati non fossero risultati provati.

Per la CAssazione entrambi i punti del ragionamento sono condivisibili.

Riguardo al primo, infatti, il datore di lavoro, in una missiva, ammetteva che pur essendo in presenza di elementi atti a giustificare l’irrogazione di gravi, incisivi provvedimenti sul piano sanzionatorio, l’Amministrazione riteneva in quel momento di dare soluzione alla vicenda.

Con riferimento al secondo punto, è caduto l’intero quadro probatorio basato su di una serie di testimonianze sfarinatesi in appello (ed anche nel parallelo procedimento penale), portando i giudici a concludere con motivazione logica e coerent”, nel senso della insussistenza degli estremi dell’insubordinazione.

Non provata, dunque, la supposto pronuncia di parole offensive o aggressive né di un generale atteggiamento intimidatorio.

Semmai, da parte del dirigente, vi era stata una reazione forse scomposta, ma comprensibile, per cui con un giudizio espresso tenendo conto della natura e della qualità del rapporto, del vincolo di fiducia a questo connesso, dell’entità della violazione commessa e dell’intensità dell’elemento soggettivo, il licenziamento non era più giustificato dall’assunta lesione del vincolo fiduciario


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