Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 novembre 2017, n. 27108. In tema di impresa familiare e la quota di partecipazione del familiare

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La ratio della previsione dell’articolo 230 bis cod. civ. risiede evidentemente nel fatto che utili ed incrementi non sono che due diverse modalita’ di impiego dello stesso risultato economico prodotto attraverso la collaborazione familiare: l’utile rappresenta l’incremento risultante dallo svolgimento della attivita’ di impresa nel corso di un esercizio finanziario; gli incrementi patrimoniali derivano del reinvestimento nella azienda degli utili conseguiti e non distribuiti.
Per questa ragione la norma dell’articolo 230 bis cod. civ. precisa che il diritto del familiare si estende agli utili nonche’ ai beni acquistati con gli utili; aggiunge, poi, piu’ in generale, che il diritto comprende gli “incrementi” e cioe’ tutti i miglioramenti apportati con l’uso degli utili che non si siano concretizzati in un acquisto di beni ma in aumento di valore tanto di singoli beni aziendali che dell’azienda nel suo complesso. Tra gli incrementi la norma include testualmente l’avviamento onde precisare la estensione del diritto anche sui beni immateriali dell’impresa.
Questa Corte del resto ha gia’ evidenziato (Cass.civ. sez. lav. 22 ottobre 1999 nr. 11921), pronunziandosi sulla diversa questione del momento di maturazione del diritto del familiare collaborante a percepire gli utili, che nella impresa familiare gli utili sono naturalmente destinati, salvo il caso diverso accordo, non alla distribuzione tra i partecipanti ma al reimpiego nella azienda.
Tale principio rende ancor piu’ evidente la impossibilita’ di distinguere nella estensione il diritto del partecipante relativo agli utili rispetto a quello sugli incrementi.
Il giudice del merito ha invece parcellizzato il diritto del familiare, distinguendolo nel contenuto in relazione agli utili – da un lato – ed agli incrementi patrimoniali – dall’altro – ed ulteriormente distinguendo, poi gli incrementi materiali da quelli immateriali.
Il primo motivo deve essere pertanto accolto, con conseguente cassazione della pronunzia di determinazione dell’importo dovuto a (OMISSIS) a titolo di partecipazione agli incrementi, che consegue all’errore di diritto evidenziato.
Ne deriva l’assorbimento del terzo motivo – relativo agli accessori sull’importo del capitale liquidato per incrementi – e del quarto motivo, che censura sotto il profilo del vizio di motivazione la medesima statuizione oggetto di cassazione per errore di diritto.
Il secondo motivo ed il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi colgono (rispettivamente sotto il profilo dell’errore di diritto e del vizio della motivazione) la statuizione di quantificazione del valore complessivo degli incrementi (id est: il dividendo) sono infondati.
Il secondo motivo deduce impropriamente un errore di diritto laddove la censura non attiene alla interpretazione ed applicazione della norma dell’articolo 230 bis cod. civ. ma all’accertamento nel caso concreto dei valori iniziale e finale della azienda (e del conseguente incremento).
Trattasi di un tipico apprezzamento di fatto,sindacabile in questa sede di legittimita’ unicamente sub specie di vizio della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 5.
Il quinto motivo solo formalmente prospetta un vizio della motivazione ma nei contenuti sottopone a critica il metodo di stima seguito dal ctu per determinare il valore iniziale della azienda familiare senza evidenziare un vizio logico su un fatto controverso e decisivo.
L’avere effettuato la stima del valore iniziale della azienda sulla base del fatturato del primo triennio di esercizio dell’impresa familiare, in mancanza delle scritture del triennio precedente, non costituisce vizio di insufficienza o illogicita’ della motivazione ma e’ ragionevolmente fondato su una presunzione di omogeneita’ dei valori nei due trienni.
Esaurita la trattazione del ricorso principale deve procedersi all’esame del ricorso incidentale.
1. Con il primo motivo (OMISSIS) ha denunziato omessa ed insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.
La censura ha ad oggetto la statuizione di scioglimento della impresa familiare dal momento di deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio.
La ricorrente incidentale ha esposto che la volonta’ di sciogliere la impresa familiare era gia’ stata precedentemente manifestata alla controparte con la notifica del ricorso di separazione personale; ha lamentato che la Corte territoriale, limitandosi a distinguere in astratto la separazione dei coniugi rispetto allo scioglimento dell’impresa familiare, non aveva tenuto conto dei contenuti del ricorso di separazione personale, nel quale, come evidenziato nell’atto di appello, era stata manifestata al coniuge la volonta’ di porre fine alla impresa familiare.
Il motivo e’ improcedibile per il mancato deposito in questa sede di legittimita’ del ricorso di separazione personale dei coniugi posto a fondamento della censura, che neppure risulta localizzato nell’ambito dei fascicoli di parte delle fasi di merito prodotti, come prescrive l’articolo 369 c.p.c., n. 4.
L’omissione dell’adempimento non consente a questa Corte di valutare la decisivita’ del fatto il cui mancato esame e’ oggetto della denunzia.
2. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articoli 1414 e 1419 cod. civ., in relazione agli articoli 1321, 1322, 1344, 1362, 1363 e 230 bis cod. civ..
Ha assunto che dalla accertata nullita’ parziale della clausola dell’atto costitutivo della impresa familiare che escludeva la partecipazione del coniuge all’incremento dell’avviamento la Corte di merito avrebbe dovuto far discendere la nullita’ dell’intero contratto, risultando il carattere essenziale della clausola.
Ha altresi’ asserito la validita’ della clausola, perche’ giustificata, nell’assetto complessivo del contratto, dalla attribuzione al coniuge di una quota di partecipazione agli utili (il 49%) ben superiore all’effettivo valore del suo apporto lavorativo.
Il motivo e’ in parte inammissibile, in parte infondato.
Esso pone a questa Corte due distinte questioni ovvero, secondo l’ordine di priorita’ logica:
– da un lato, quella della validita’ della clausola che escludeva la partecipazione del (OMISSIS) all’incremento dell’avviamento;
– dall’altro, quella della comunicazione della sua eventuale nullita’ all’intero contratto.
Sotto il primo profilo il motivo e’ inammissibile.
La questione presuppone l’accertamento in punto di fatto della volonta’ negoziale delle parti, all’atto della costituzione della impresa familiare, di attribuire al (OMISSIS) una quota di partecipazione agli utili ed agli incrementi materiali della azienda superiore a quella a lui spettante a norma dell’articolo 230 bis cod. civ..
Su tale presupposto si fonda l’assunto, in punto di diritto, della possibilita’ di escludere – in tale eventualita’ ed in ragione del complessivo assetto di interessi concordato – il diritto del familiare di partecipare all’incremento dell’avviamento.
Trattasi di un accertamento di fatto di cui non e’ traccia nella sentenza impugnata sicche’ la ricorrente incidentale, per sfuggire al rilievo di inammissibilita’ per novita’ della censura, aveva l’onere di allegare specificamente la avvenuta deduzione della questione in sede di merito, onere che non e’ stato assolto.
Quanto al secondo profilo il motivo e’ infondato.

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