Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 marzo 2018, n. 6410. Il fulcro del sistema di sicurezza sul lavoro e’ rappresentato dalla responsabilita’ datoriale.

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La conclusione della Corte d’Appello mostra di fare corretta applicazione dell’orientamento di questa Corte, la quale ritiene che il sistema delineato dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, preveda la possibilita’ di una distribuzione di responsabilita’ ripartita in via gerarchica tra il datore di lavoro, i dirigenti e preposti, quando il primo sia titolare di un’attivita’ aziendale complessa ed estesa. In particolare, la funzione di preposto e’ legata non alla qualifica formale rivestita dall’interessato, quanto al suo specifico addestramento alla funzione. Preposto puo’ essere, percio’, anche il caposquadra, ma la sua qualifica formale e’ ininfluente sulla distribuzione del peso della responsabilita’ se non risulti che questi “…sia stato appositamente addestrato per responsabilita’ di sicurezza, abbia pertanto la necessaria qualificazione tecnica per lo svolgimento di tale incarico, e sia stato espressamente investito di siffatto ruolo…” (Cass. n. 29323/2008).
La Corte ha escluso, altresi’, con motivazione esaustiva ed esente da vizi, che il lavoratore abbia tenuto un comportamento imprudente tale da costituire una concausa dell’infortunio, il che comporterebbe una riduzione proporzionale della responsabilita’ del datore; cosi’ come ha escluso anche l’evenienza di una condotta dettata da abnormita’ ed esorbitanza rispetto al processo lavorativo, quale causa esclusiva dell’evento, che scagionerebbe completamente il Comune.
2. Con la seconda censura e’ contestato “Omesso esame di un fatto decisivo della controversia ovvero della mancanza delle scarpe infortunistiche ai piedi dell’infortunato; violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
Parte ricorrente deduce che la sentenza gravata abbia omesso di valutare il fatto che rappresenta la causa esclusiva e determinante del danno riportato, consistente nell’aver omesso il lavoratore di indossare, al momento dell’infortunio, il mezzo di protezione fornito dal Comune, violando, cosi’ l’obbligo di osservare le norme di sicurezza.
Tale censura contiene profili sia d’infondatezza sia d’inammissibilita’.
Dall’istruttoria non e’ emerso che il Comune avesse esercitato quel controllo continuo e pressante per imporre ai lavoratori il rispetto della normativa di prevenzione ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 34747/2012), essendo esso titolare oltre che dell’obbligo di predisposizione delle misure di prevenzione, altresi’ dell’obbligo di vigilanza circa l’adempimento degli obblighi che l’articolo 19 affida ai preposti (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 3).
E’ risultata, di contro, accertata l’inesistenza di adeguate misure di sicurezza.
Se poi con la doglianza parte ricorrente voglia sostenere (p. 13 del ricorso) che l’Ente avesse inteso conferire al lavoratore, in virtu’ della sua posizione di capo operaio, uno specifico potere decisionale e di vigilanza sull’adempimento degli obblighi di sicurezza da parte degli altri operai – e seppure tale investitura avesse rivestito un crisma di ufficialita’ (ma cio’ e’ stato escluso) – deve rilevarsi che neanche tale volonta’ potrebbe esentare il datore dalla specifica responsabilita’ dell’organizzazione dei processi lavorativi, della scelta e dell’acquisto delle dotazioni di lavoro e della loro distribuzione al personale, della formazione dello stesso personale sulla materia della prevenzione degli infortuni.
Quanto alla prospettazione di un concorso del lavoratore alla causazione del danno da infortunio dovuto alla circostanza che egli non indossasse le scarpe di protezione al momento dell’evento, la censura manca di autosufficienza.
Essa si limita a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti, senza contestare in modo specifico e con adeguate allegazioni probatorie cio’ che non era emerso nel corso dell’istruttoria, ossia che il lavoratore fosse privo delle calzature di protezione e che, seppure le avesse indossate, non avrebbe subito l’amputazione parziale dell’arto quale conseguenza della causa dell’infortunio.
Da cio’ discende che non residuano margini per introdurre nuovi elementi di giudizio sulla fattispecie che, ove proposti, equivarrebbero a domandare a questa Corte un accertamento del fatto, inibito in sede di legittimita’.
2) Ricorso incidentale.
1. Il primo motivo, contesta “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043, 2087 e 1218 c.c., Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articoli 3, 4, 18, 19, 21, 22 e 33, Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 4, 8 e 10 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 16 e 18, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4; omissione, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
La (OMISSIS) deduce che, diversamente dal giudice di prime cure, la Corte d’Appello senza fornire una motivazione, avrebbe ritenuto non provata la circostanza che sia stato proprio il caposquadra (OMISSIS) a ordinare il posizionamento della trave di legno sul passaggio dell’automezzo, e dunque ha considerato irrilevante tale circostanza ai fini dell’accollo della responsabilita’ dell’infortunio in capo al lavoratore e non al Comune. Cosi’ statuendo la Corte d’Appello avrebbe erroneamente conferito oggettivita’ alla mancanza di sicurezza del passaggio dell’autocarro (“… il posizionamento di una trave per superare il dislivello tra la parte esterna e la parte interna del cantiere non costituisce una modalita’ idonea e sicura”), attribuendone la responsabilita’ al solo Comune. Sostiene la ricorrente incidentale che il ribaltamento della decisione di primo grado non si fonda su un diverso accertamento di fatto, ma sull’aver ritenuto che la responsabilita’ della pericolosita’ del modo di superamento del dislivello non fosse attribuibile ad alcuno.
La censura e’ infondata.
Essa rappresenta il maldestro tentativo di ribaltare sul lavoratore la responsabilita’ dell’infortunio, ma la valutazione dedotta e’ inconferente, poiche’ il fulcro del sistema di sicurezza sul lavoro e’ rappresentato dalla responsabilita’ datoriale. Il datore di lavoro, quand’anche abbia affidato al dipendente il compito di vigilare sull’osservanza delle norme antinfortunistiche non e’ esonerato da responsabilita’, fatta eccezione per l’ipotesi limite, di una condotta abnorme ed esorbitante tenuta dal lavoratore. Si tratta percio’ di un obbligo contrattuale, del quale dottrina e giurisprudenza mettono altresi’ in risalto il carattere “bifronte”: verso lo Stato, responsabile del bene della salute dei lavoratori, indisponibile ex articolo 32 Cost., e verso i singoli lavoratori.
Nel caso controverso la Corte territoriale ha accertato che non vi era stato alcun affidamento di responsabilita’ al lavoratore e dunque nessun concorso di colpa. E’, pertanto, risultata provata la piena responsabilita’ datoriale per violazione dell’obbligo di sicurezza, che a motivo della sua effettivita’ non puo’ non estendersi, oltre che alla predisposizione delle adeguate misure antinfortunistiche, altresi’ alla puntuale e accorta vigilanza sul rischio di comportamenti tali da vanificarne l’efficacia.
2. Il secondo motivo, deduce “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 1227 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4; omessa pronuncia su un fatto decisivo per la controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4, e 5”.
Non una sola parola, la sentenza gravata avrebbe speso sulla circostanza, dedotta dal Comune, secondo cui il (OMISSIS), al momento dell’infortunio, non indossasse le scarpe protettive che avevano evitato all’altro lavoratore danni rilevanti agli arti.
La mancata valutazione di tal circostanza farebbe venir meno la possibilita’ di considerare almeno quale concausa, il comportamento omissivo del lavoratore, con conseguente diminuzione dell’entita’ della condanna a carico del Comune. La sentenza avrebbe, dunque, disatteso il disposto di cui all’articolo 112 c.p.c., oltre ad essere viziata per omessa pronuncia su un fatto decisivo.
Il motivo e’ inammissibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la mancanza formale di una statuizione deve essere considerata un rigetto quando e’ accolta una tesi decisoria incompatibile con la domanda non oggetto di espressa pronuncia. In altre parole, il vizio di omessa pronuncia va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. n. 15172/2009; Cass. n. 16788/2006; Cass. n. 7653/2012). Del resto, come rilevato, non e’ emerso nel corso dell’istruttoria che il lavoratore fosse privo delle calzature di protezione.
In definitiva, sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale sono rigettati. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Condanna il Comune di Montorio al Vomano e (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, nei confronti di (OMISSIS) e dell’Inail le spese del giudizio di legittimita’, calcolate in Euro 3.000, per ciascuna delle parti, a titolo di competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, e agli accessori di legge.

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