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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro
sentenza 13 marzo 2014, n. 5885

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente
Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 671/2008 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
sul ricorso 1589/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 400/2007 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/09/2007 R.G.N. 823/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, ha confermato, per quanto ancora rileva in questa sede, la decisione di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a (OMISSIS) dalla S.p.A. (OMISSIS), disponendone la reintegra nel posto di lavoro; ha condannato la stessa societa’ al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella della reintegra, con gli accessori di legge, con detrazione di quanto percepito dal lavoratore dall’ottobre 2001 al giugno 2004 per l’attivita’ lavorativa svolta alle dipendenze della (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS); ha condannato il (OMISSIS) al pagamento, a favore della S.p.A. (OMISSIS), della somma di euro 729,44, in luogo di quella di euro 25.000 liquidata a favore di tale societa’ dal primo giudice; ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato non dovuti al lavoratore il trattamento di fine rapporto e la indennita’ sostitutiva del preavviso, non essendosi il rapporto risolto per effetto della declaratoria di illegittimita’ del licenziamento.
Ha osservato la Corte di merito:
– che il licenziamento era nullo per violazione dell’articolo 7 St. lav., perche’ non preceduto dalla contestazione disciplinare e dalla concessione dei termini a difesa, con la conseguenza che era superfluo accertare la sussistenza della giusta causa;
– che era fondata l’eccezione di aliunde perceptum proposta dalla societa’ e, di conseguenza, dal risarcimento conseguente all’illegittimo licenziamento, commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del recesso sino a quella dell’effettiva reintegra, doveva essere dedotto quanto percepito dal (OMISSIS) per l’attivita’ lavorativa svolta alle dipendenze della (OMISSIS) s.r.l. di Novara nel periodo ottobre 2001 – giugno 2004;
– che i danni lamentati dalla societa’, riconducibili alla condotta del (OMISSIS), relativi alla perdita della clientela e alla flessione dei rapporti commerciali con alcuni clienti, erano stati determinati dal consulente tecnico d’ufficio, sulla scorta dei dati contabili della societa’, in euro 729,44, onde il lavoratore era tenuto al pagamento di tale somma in luogo di quella di euro 25.000, determinata dal primo giudice in via equitativa;
– che la richiesta di danni avanzata dal lavoratore per licenziamento ingiurioso era infondata, non essendo stata fornita la prova di tali danni e avendo peraltro il lavoratore trovato un’altra occupazione, a conferma della mancata lesione dell’immagine professionale;
– che non erano dovuti al lavoratore il trattamento di fine rapporto e l’indennita’ di fine rapporto, in conseguenza della accertata illegittimita’ del licenziamento e della disposta reintegrazione nel posto di lavoro.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la societa’ sulla base di due motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale per quattro motivi, illustrati da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi, principale ed incidentale, devono essere riuniti ex articolo 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo del ricorso principale, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ex articolo 366 bis c.p.c., non piu’ in vigore ma applicabile ratione temporis, e’ denunziata violazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, articolo 2119 c.c., Legge n. 604 del 1966, articolo 1.
Si deduce che il licenziamento e’ stato intimato al ricorrente “a seguito di una riunione durante la quale, previa contestazione degli addebiti, gli era stato comunicato per iscritto il licenziamento, con assegnazione del termine di 5 giorni a difesa”. Nella stessa riunione il lavoratore aveva fornito le proprie giustificazioni, poi ribadendole per iscritto. Era stato dunque assicurato al lavoratore il diritto di difesa.
3. Il motivo e’ inammissibile, oltre che infondato. Inammissibile perche’ la ricorrente non solo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non produce la lettera di licenziamento e l’eventuale contestazione scritta, ma non chiarisce gli esatti termini della vicenda, e cioe’ se, come sembra di capire, tale contestazione era contenuta nella lettera di licenziamento o in foglio separato; se, come pure sembra di capire, il termine per fornire le giustificazioni venne concesso al lavoratore con la stessa lettera di licenziamento e, quindi, a licenziamento gia’ avvenuto, quando cioe’ tali giustificazioni erano del tutto inutili.
Infondato, in quanto in ogni caso il tenore della disposizione di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 7, comma 2, (“Il datore di lavoro non puo’ adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”) e’ chiaro nel prevedere che la contestazione degli addebiti deve necessariamente precedere il licenziamento e non avvenire contestualmente allo stesso, in modo da consentire al lavoratore di avvalersi delle forme di tutela apprestategli dall’articolo 7 sopra citato, costituiti dalla eventuale richiesta di audizione personale, dalla eventuale assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce; dalla possibilita’ di fornire le proprie giustificazioni scritte.
4. Con il secondo motivo del ricorso principale la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, articoli 1223, 1225 e 1227 c.c., articoli 416, 420, 421 e 437 c.p.c..
Deduce che la Corte di merito ha accolto solo in parte l’eccezione di aliunde perceptum, e cioe’ per il periodo ottobre 2001 – giugno 2004, durante il quale il (OMISSIS) aveva lavorato alle dipendenze di (OMISSIS) S.p.A., mentre per il periodo successivo, in cui il medesimo aveva lavorato presso altro datore di lavoro ( (OMISSIS) S.p.A.), ha ritenuto che la richiesta di accertamenti al riguardo formulata fosse tardiva ed esplorativa e quindi inammissibile.
Aggiunge che l’eccezione in questione e’ una eccezione in senso lato, che poteva essere fatta valere anche in appello e che era stata proposta in tale sede essendo la ricorrente venuta a conoscenza del secondo rapporto di lavoro dopo la proposizione del giudizio di primo grado. Inoltre, erano state fornite dalla ricorrente le opportune specificazioni anche in relazione a tale secondo rapporto, cio’ che avrebbe dovuto indurre la Corte di merito ad accogliere la richiesta di esibizione delle ultime quattro dichiarazioni di reddito del lavoratore ovvero la richiesta di interrogatorio formale e di prova testimoniale.
Infine, ad avviso della ricorrente, la sentenza e’ errata nella parte in cui, accogliendo l’eccezione del (OMISSIS), ha limitato l’aliunde perceptum “al solo periodo intermedio intercorrente tra il licenziamento e la sentenza di annullamento, mentre avrebbe dovuto considerare l’intero periodo lavorato fino alla sentenza emessa in secondo grado o, almeno, fino alla sentenza di annullamento di primo grado, non essendovi ragioni per operare la riduzione del danno fino al giugno 2004”.
5. Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
Esso innanzitutto utilizza una rubrica ambigua, che non consente di capire se viene denunziata violazione di norme di diritto o vizio di motivazione o entrambe tali violazioni, essendo cosi’ formulato: “p.2. Violazione e falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 200, articolo 18, comma 4, degli articoli 1225 e 1227 c.c., degli articoli 416, 420, 421 e 437 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia”.
Tale solo rilievo e’ gia’ sufficiente a far ritenere inammissibile il motivo, dovendo la rubrica del ricorso contenere, con sufficiente chiarezza, i vizi denunziati, in modo da consentire, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione e/o delimitazione, cosi’ come indicato dall’articolo 360 cod. proc. civ., dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata.
Il motivo e’ inoltre improcedibile nella parte in cui denunzia violazione di legge, atteso che non risulta formulato il relativo quesito di diritto richiesto, a pena di improcedibilita’, dall’articolo 366 bis c.p.c..
E’ infine infondato con riguardo al dedotto vizio di motivazione.
Al riguardo, deve rilevarsi che la Corte di merito ha accertato, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede, che la richiesta di esibizione non era sufficientemente specifica, non contenendo esattamente il periodo lavorativo in cui il (OMISSIS), successivamente al giugno 2004, aveva prestato attivita’ lavorativa presso la societa’ (OMISSIS) S.p.A..
Inoltre ha ritenuto che la ricorrente non avesse giustificato, con riguardo al periodo in questione, la tardivita’ di detta richiesta, dedotta solo in grado di appello.
Dunque la Corte ha dato conto, ancorche’ con una motivazione sintetica, delle ragioni per le quali ha rigettato la richiesta.
In ogni caso, avendo il vizio di motivazione ad oggetto anche il mancato accoglimento della richiesta di esibizione, su tale ultimo punto, come sopra osservato, non risulta formulato alcun quesito di diritto circa le norme processuali violate.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale, cui fa seguito il relativo quesito di diritto, e’ denunziata violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 1223 e 2697 c.c..
Si deduce che la sentenza impugnata ha ridotto la condanna risarcitoria del lavoratore dall’importo di euro 25.000, liquidato in primo grado in via equitativa, a quello di euro 729,44, sulla scorta delle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, senza considerare che nemmeno tale somma era dovuta per l’assenza di qualsiasi danno imputabile al lavoratore. Ed infatti la Corte di merito ha dato per scontato l’esistenza di un pregiudizio risarcibile, senza accertare se vi fosse stato effettivamente un inadempimento del prestatore di lavoro e se i danni, costituiti dal calo del fatturato, fossero conseguenza immediata e diretta della sua condotta. Ne’ la semplice coincidenza temporale fra rapporto di lavoro e rapporti commerciali con i clienti era sufficiente per ricondurre la flessione del fatturato al lavoratore.
7. Il motivo e’ fondato.
La Corte di merito ha fatto ricorso ad una consulenza tecnica al fine di accertare i mancati guadagni riconducibili alla condotta del (OMISSIS) sulla base della documentazione contabile della societa’ (OMISSIS) con riguardo a tre clienti che avevano interrotto i rapporti commerciali con la societa’ o li avevano sensibilmente ridotti, determinando cosi’ una diminuzione dei profitti. Ha rilevato al riguardo che “il collegamento temporale con l’assunzione di responsabilita’ del (OMISSIS) in seno alla societa’ (OMISSIS) quale responsabile commerciale varrebbe come una conferma della riconducibilita’ della flessione commerciale alla persona dell’appellato”.
Ma, tale collegamento temporale non e’ idoneo a sorreggere, sul punto, la motivazione della sentenza.
Ed infatti la Corte non spiega in base a quali elementi la accertata, esigua, flessione del fatturato sia riconducibile alla condotta del (OMISSIS) ne’, tanto meno, chiarisce perche’ la posizione di responsabile commerciale del medesimo sia da porre in rapporto causale con il danno, in assenza di qualsiasi accertamento in ordine alla condotta inadempiente del lavoratore.
La stessa Corte del resto da atto che solo per un cliente si era verificata una modesta flessione dei profitti, circostanza questa del tutto fisiologica nell’ambito dei rapporti commerciali, dipendente da molteplici fattori ed oggettivamente inidonea all’affermazione di un rapporto causale con la posizione rivestita dal (OMISSIS) nell’azienda.
Sul punto la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio al giudice del riesame.
8. Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1223 c.c., articolo 437 c.p.c., nonche’ della Legge n. 300 del 1970, articolo 18.
Si deduce che la Corte di merito non avrebbe dovuto accogliere la richiesta di aliunde perceptum, relativa al periodo di lavoro svolto dall’ottobre 2001 al giugno 2004 presso la (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS), essendo stata essa formulata tardivamente ed essendo “assolutamente aleatoria”.
9. Il motivo e’ infondato, avendo il giudice d’appello correttamente spiegato, richiamando i principi elaborati in materia da questa Corte, che l’eccezione in questione non costituisce una eccezione in senso stretto, aggiungendo che l’accertamento al riguardo chiesto dalla societa’ datrice di lavoro non era esplorativo, avendo la stessa societa’ indicato specificamente gli estremi del suddetto periodo lavorativo.
10. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, cui fa seguito il quesito di diritto, il lavoratore denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 c.c., articoli 594 e 595 c.p..
Lamenta che la Corte di merito ha rigettato la richiesta dei danni morali da lui avanzata per il carattere offensivo e diffamatorio della lettera di licenziamento, sul duplice rilievo che la sua diffusione nell’ambito aziendale non integrava la fattispecie del licenziamento ingiurioso e che non era stata fornita alcuna prova in ordine al danno subito.
Ma, aggiunge il ricorrente incidentale, da un lato tale domanda non e’ stata specificamente contestata dalla societa’, peraltro costituitasi tardivamente; dall’altro il diritto del lavoratore al risarcimento del danno deriva dal carattere illecito delle accuse contenute nella lettera di licenziamento, mentre il danno morale, conseguente alla lesione dell’onore e del decoro, non richiede altra prova oltre alla ricezione della comunicazione ingiuriosa.
11. Il motivo non e’ fondato.
A prescindere dal rilievo che in ordine alla fondatezza degli addebiti contestati al lavoratore con la lettera di licenziamento i giudici di merito non hanno effettuato alcuna verifica, essendo stato il recesso annullato per violazione delle regole procedimentali previste dall’articolo 7 St. lav., e dall’ulteriore rilievo che, comunque, il licenziamento ingiurioso, in via generale, non e’ ravvisabile in ogni caso di infondatezza degli addebiti di natura disciplinare o d’insussistenza dell’inadempimento posto a base del recesso (Cass. 15 ottobre 2010 n. 21279), e’ principio consolidato di questa Corte che il licenziamento ingiurioso, ossia lesivo della dignita’ e dell’onore del lavoratore, che da luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di una particolare offensivita’ e non funzionalita’ delle espressioni usate dal datore di lavoro o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicita’ date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio (Cass. 22 marzo 2010 n. 6845; Cass. 11 giugno 2008 n. 15469).
Nella specie la Corte d’appello, con una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimita’, ha escluso che la lettera di licenziamento, diffusa nell’ambito aziendale, abbia integrato gli estremi del licenziamento ingiurioso, aggiungendo che alcun danno era stato provato dal lavoratore, avendo il medesimo trovato occupazione presso altro datore di lavoro, a conferma dell’immagine professionale non pregiudicata dal licenziamento.
Ne’ il ricorrente ha dedotto elementi di fatto non esaminati dalla Corte d’appello che avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione.
A nulla rileva, infine, che la societa’ non abbia specificamente contestato la domanda, non costituendo tale condotta processuale ammissione della fondatezza della pretesa, avendo peraltro la societa’ chiesto integralmente il rigetto del ricorso, ivi compresa la domanda in esame.
12. Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale, nel denunziare violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., Legge n. 794 del 1942, articolo 24, della Legge n. 51 del 1957, articolo unico, nonche’ del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 1, lamenta che la Corte di merito ha condannato la societa’ (OMISSIS) al pagamento di meta’ delle spese del secondo grado del giudizio, liquidandole in misura inferiore ai minimi tariffari.
Indica il ricorrente il valore della causa e riporta il prospetto degli onorari e dei diritti come chiesti con la nota spese prodotta in grado d’appello.
13. Il motivo e’ fondato, atteso che la Corte di merito, nel condannare la societa’ al pagamento di meta’ delle spese del giudizio d’appello, non ha distinto gli onorari dai diritti, ma ha effettuato una liquidazione globale, in misura inferiore a quella richiesta, venendo meno all’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimita’, l’accertamento della conformita’ della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe.
Al riguardo va richiamato il principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui non sono conformi alla legge liquidazioni generiche ed omnicomprensive, in quanto non consentono il controllo sulla correttezza della liquidazione (Cass. 24890/11; Cass. 6338/08; Cass. 16993/07; Cass. 5318/07; Cass. 17028/06).
Anche in relazione a tale motivo la sentenza impugnata va dunque cassata.
14. In conclusione, va rigettato il ricorso principale, vanno accolti il primo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, mentre vanno respinti gli altri motivi di tale ricorso. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per il riesame, al giudice indicato in dispositivo, il quale provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo e il quarto motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri motivi di tale ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trieste.

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