Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 12 marzo 2018, n. 5957. Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia

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L’articolo 2087 cod. civ., peraltro, non configura un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, in quanto la responsabilita’ del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (cfr. Cass. 29/1/2013 n. 3288). Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’articolo 1218 c.c. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da cio’ discendendo che il lavoratore il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioe’, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure. per evitare il danno.

6. Nell’ottica descritta, pregnante e’ il richiamo ai principi del pari affermati in questa sede di legittimita’, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua, nell’ipotesi in cui il danno sia stato determinato da cose che il datore aveva in custodia (e la custodia non e’ da intendersi esclusivamente nel significato formalmente contrattuale, bensi’ come mera esistenza d’un potere fisico ad altri riconosciuto dal proprietario: Cass. 18/2/2000 n. 1859; in relazione all’ipotesi di contratto di appalto, in cui la consegna dell’area di proprieta’ del committente e’ di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva, vedi Cass. 22/1/2015 n. 1146), e’ richiesta, per la responsabilita’ prevista dall’articolo 2051 cod. civ., la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, ed il potere fisico. del soggetto sulla cosa, da cui discende il di lui obbligo di controllare in modo da impedire che la cosa causi danni (Cass. 14/6/1999 n. 5885).

In tale situazione, ai fini della configurabilita’ della responsabilita’ del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2087 cod. civ., nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e, a maggior ragione, in quella in cui lo stesso datore, a cagione dell’attivita’ da lui esercitata, abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare – pur non configurandosi una responsabilita’ oggettiva del datore – sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che e’ nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilita’ degli articoli 2051 e 2087 cod. civ., che puo’ essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore (ex plurimis, Cass. 20/6/2002 n. 9016), e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex articolo 2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso (vedi Cass. 20/6/2003 n. 9909, Cass. 14/8/2004 n. 15919, Cass. S.U. 8/7/2008 n. 18623).

7. Orbene, nello specifico va rimarcato come la Corte distrettuale non si sia conformata agli enunciati principi per avere escluso la riconducibilita’ agli archetipi normativi di cui alle clausole generali degli articoli 2087-2051 c.c. adducendo a motivo l’esistenza di un profilo di violazione del divieto di nova in appello.

Secondo i dicta di questa Corte, ai quali va data continuita’, il principio del tantum devolutum quantum appellatum (articoli 434 e 437 cod. proc. civ.), non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata dalle parti, nonche’ in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dalla parte (vedi Cass. 22/8/2013 n. 19424, Cass. 24/3/2011 n. 6757).

Per il principio “iura novit curia” sancito dall’articolo 113 c.p.c., comma 1, il giudice puo’ infatti assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonche’ all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, ferma restando la preclusione di una decisione basata non gia’ sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (vedi ex plurimis, Cass. 24/7/2012 n. 12943), con immutazione della fattispecie e conseguente violazione – in ultra ovvero extrapetizione – del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato ex articolo 112 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 11/5/2017 n. 11629).

Nello specifico, dallo storico di lite, si evince come il ricorrente sin dall’atto introduttivo del giudizio, abbia indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti ed abbia ricondotto chiaramente la causa dei suddetti danni alla esplosione.

Detta prospettazione e’ rimasta immutata in grado di appello, introdotto con ricorso nel cui contesto non e’ stata configurata alcuna situazione che possa definirsi sostitutiva o in rapporto di alternativita’ rispetto a quella delineata in primo grado, in quanto riferentesi alla medesima situazione giuridica sostanziale generata dal fatto per il quale era stato promosso il giudizio.

Consegue, dalle considerazioni svolte, che nella fattispecie considerata non e’ ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’articolo 2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilita’ a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso, non essendo configurabile, alla luce dei principi teste’ richiamati, alcun mutamento degli elementi identificativi della domanda, giacche’ non richiesta l’attribuzione di un bene diverso da quello domandato ne’ risultando introdotti nel tema controverso nuovi elementi di fatto (vedi ex aliis, Cass. 1/9/2004 n. 17610, Cass. 14/5/2005 n.10922, Cass. 12/4/2006 n. 8519, Cass. 24/07/2012 n. 12943), la cui qualificazione compete, per quanto innanzi argomentato, al giudicante.

8. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello designata in dispositivo la quale, scrutinando la vicenda di merito, si atterra’ al seguente principio di diritto: “Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia – con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa – ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) e articolo 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro), una responsabilita’ del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito”.

Il giudice di rinvio provvedera’ alla regolamentazione delle spese, anche di questo giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.

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