Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 30 settembre 2016, n. 19609

La comunicazione a mezzo PEC, da parte della cancelleria, del deposito del provvedimento (indipendentemente dall’allegazione o meno dello stesso), ai fini della decorrenza del termine breve – con evidente riferimento alle norme speciali che prevedono un peculiare regime impugnatorio – affinché sia idonea allo scopo, deve permettere al destinatario di conoscere con esattezza la portata del provvedimento (onde ammonirlo sulle possibili decadenze). Nel caso di specie oggetto della comunicazione era il seguente: “Oggetto: inammissibilità – Descrizione: dichiarato inammissibile”, tale comunicazione non era tale da permettere ai destinatari di conoscere la natura del provvedimento adottato, implicante lo speciale regime di impugnazione previsto dall’art. 348 ter c.p.c.: essa era pertanto inidonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione; il ricorso era dunque proponibile nel termine “lungo” utilizzato

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Ordinanza 30 settembre 2016, n. 19609

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VENUTI Pietro – Presidente –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10096-2015 proposto da:
T.S., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato ROMBOLA’ CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO RICCIO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO SESTINI.
Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

E’ stata depositata la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c..
“1. Il T. ha proposto ricorso per cassazione ex art. 348 ter c.p.c. avverso la sentenza n. 539/2013 del Tribunale di Reggio Calabria, dando atto che il giudizio di appello era stato definito con ordinanza di immissibilità ex art. 348 bis del 16 ottobre 2014.
2. Il ricorso, notificato il 15.4.2015, non contiene alcuna indicazione in ordine alla circostanza che l’ordinanza di inammissibilità sia stata comunicata dalla Cancelleria o notificata dalla controparte.
3. Tanto premesso, deve considerarsi che “la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se questa sia stata del tutto omessa dalla cancelleria, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione. Ne consegue che il ricorrente, per dimostrare la tempestività del ricorso ex art. 348 ter c.p.c. proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione (potendo quest’ultima avvenire sin dallo stesso giorno della pubblicazione), sia la mancata notificazione, affermando, pertanto, di fruire del cd. termine lungo” (Cass. n. 2594/2016).
4. Atteso che, nel caso in esame, il ricorrente nulla ha allegato in ordine all’assenza della comunicazione e alla mancanza della notificazione, difettano elementi per ritenere che sussistano le condizioni per l’applicazione del termine “lungo” e – quindi – per affermare la tempestività del ricorso.
5. Si propone pertanto la dichiarazione di immissibilità del ricorso, cori spese compensate”.
All’esito della discussione svolta in camera di consiglio, il Collegio ritiene che il ricorso sia ammissibile, ma che debba essere rigettato perchè infondato.
Quanto all’ammissibilità, deve considerarsi che:
– dalla “attestazione telematica” rilasciata dalla Cancelleria della Corte di Appello di Reggio Calabria emerge che in data 22.10.14 venne effettuata alle parti una comunicazione del seguente tenore: “Oggetto: inammissibilità – Descrizione: dichiarato inammissibile”;
– tale comunicazione non era tale da permettere ai destinatari di conoscere la natura del provvedimento adottato, implicante lo speciale regime di impugnazione previsto dall’art. 348 ter c.p.c.: essa era pertanto inidonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 18024/2015); il ricorso era dunque proponibile nel termine “lungo” utilizzato dal T. e risulta pertanto tempestivi.
Quanto alla infondatezza:
– la sentenza di primo grado ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da Cass., S.U. n. 576/2005 in relazione alla decorrenza della prescrizione in materia di risarcimento del danno conseguente ad emotrasfusioni effettuate con sangue infetto;
– in particolare, ha applicato il principio secondo cui “il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4 bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa);
– tale principio deve trovare applicazione anche nel caso di specie (in cui, dopo un iniziale rigetto da parte della Commissione Medica Ospedaliera, il nesso causale fra emotrasfusione ed infezione è stato accertato soltanto nell’anno (OMISSIS)) giacchè ciò che rileva è la circostanza che, al momento della proposizione della domanda in via amministrativa, la vittima del contagio aveva necessariamente acquisito – se non la certezza – una sufficiente percezione della natura e delle possibili cause della malattia, tale da consentirle di agire in giudizio per il risarcimento del danno.
Le procedure transattive previste – a partire dalla L. n. 222 del 2007 – per il componimento dei giudizi risarcitoti correlati a trasfusioni con sangue infetto denotano un trend legislativo di favore per la definizione stragiudiziale del contenzioso: tanto basta ad integrare grave ragione di compensazione delle spese processuali, a norma dell’art. 92 cp.c. nella formulazione (applicabile ratione temporis) risultante dalla L. n. 69 del 2009.
Atteso che il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è dovuto il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass. n. 18523/2014).
Tenuto conto dell’oggetto della controversia, si ritiene di disporre l’oscuramento dei dati identificativi degli interessati, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nel provvedimento.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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