Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30862. Non c’è violazione del ne bis in idem per la sospensione cautelare disposta in due tempi

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Che pertanto i fatti oggetto della contestazione disciplinare non indicano alcun contributo partecipativo del (OMISSIS), morale o materiale, a quelle che poi sono state le condotte criminose oggetto dell’indagine penale, ma indicano in realta’ una connivenza che tuttavia, nella descrizione degli addebiti fatta dalla Banca, ancora non assurge a vera e propria commissione di atti diretti in equivocamente a commettere i reati di cui poi il ricorrente e’ stato imputato nel giudizio penale. Nella contestazione cioe’ non vi e’ alcun cenno ad un chiaro apporto eziologico del (OMISSIS) poi confluito in una impresa comune agli altri soggetti con lui imputati in concorso e che hanno invece portato la Banca a disporre la sospensione, una volta venuta a conoscenza dell’inizio del procedimento penale e delle relative imputazioni.
Che sono infondati anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso che possono trattarsi congiuntamente in quanto altrettanto connessi, riferendosi entrambi alla mancata adozione di provvedimenti disciplinari dopo la disposta sospensione ed in alternativa alla mancata revoca della sospensione stessa. Ed infatti l’articolo 75 del CCNL del settore prevede al comma 5 che “in caso di assoluzione per inesistenza del reato o per non aver commesso il fatto, salvo eventuali responsabilita’ disciplinari o amministrative, il funzionario riacquista il diritto alla retribuzione che gli sarebbe spettata qualora fosse restato in attivita’ di servizio”. La norma collettiva stabilisce quindi che la durata della sospensione, che prescinde dall’avvio o meno di una procedimento disciplinare, e’ correlata alla definizione del procedimento penale ed alla formula assolutoria adottata, nella misura in cui solo la formula di assoluzione piena consente la restituzione della parte di retribuzione trattenuta.
Che la sentenza penale definitiva, giunta solo nel 2010 quando oramai il rapporto era cessato con licenziamento collettivo poi oggetto di conciliazione tra le parti, non e’ stata di assoluzione, trattandosi sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato ascritto, in quanto derubricato in tentata truffa, come precisato dalla sentenza di appello impugnata. La norma contrattuale citata subordina alla definitivia’ della sentenza penale (“dopo che il provvedimento sia divenuto definitivo”) la scelta dell’azienda di riammissione in servizio o meno.
Ne consegue la non configurabilita’ di una nullita’ del provvedimento di sospensione per la sua eccessiva durata; ne’ puo’ lamentarsi una disparita’ di trattamento in riferimento a quanto previsto per il pubblico impiego,come indirettamente sembrerebbe fare il ricorrente richiamando l’orientamento del Consiglio di Stato espresso nelle sentenze n. 4649/2002Sez. 6 e n. 2/2002 Adunanza Plenaria, che ha ritenuto la “restituito in integrum” anche in caso di sentenza penale dichiarativa della prescrizione, data la non comparabilita’ delle due distinte discipline (cfr. Cass. 10855/1997) con riferimento in particolare all’impianto sanzionatorio del settore pubblico, soprattutto antecedente alla regolamentazione intervenuta con il Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
Il ricorso deve essere pertanto respinto, con condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del presente grado, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ala rifusione delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

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