www.studiodisa.it Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 9460 del 27 febbraio 2013               

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 novembre 2011 la Corte d’appello di Trieste confermava la sentenza resa dal Tribunale di Pordenone, sezione distaccata di San Vito al Tagliamento del 27 marzo 2010, appellata da G.P.. Quest’ultima era stata tratta a giudizio e condannata alla pena di giustizia per rispondere del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c. Codice della Strada per aver guidato l’autovettura podge Valiber targata (omissis) in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico accertato superiore a 1,5 g/l.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso l’imputata a mezzo del proprio difensore lamentando la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta affidabilità tecnica del test effettuato con apparecchio etilometro: la violazione ed errata applicazione dell’art. 2 c.p. e D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9 bis per la mancata applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ed infine l’intervenuta confisca prò quota dell’autovettura, ricadente nella comunione legale dei coniugi.
Motivi della decisione 3.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo (dedotta inaffidabilità tecnica dell’etilometro), la Corte territoriale ha congruamente motivato, correttamente richiamando i principi più volti espressi da questa Corte (cfr. recentemente, Sez. 4, 3 luglio 2012, n., 28388, Del Buono , secondo cui allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non essendo sufficiente che ci si limiti a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro; v. anche, Sez. 4, n. 42084 del 4.10.2011, Salamone, rv. 251117). Peraltro la Corte territoriale ha fatto riferimento anche alla sussistenza nel caso di specie di tutti i sintomi tipici dello stato di ebbrezza (occhi lucidi, alito vinoso, condotta di guida). Quanto al secondo motivo (mancata applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità) la Corte territoriale ha ampiamente motivato in ordine alla infondatezza della tesi difensiva circa l’asserito diritto ad usufruire della sostituzione della pena quale inflittagli dal primo giudice (e confermata con la sentenza d’appello qui (J) impugnata) con riferimento al trattamento sanzionatorio in vigore al momento del fatto. Come infatti precisato da ultimo da questa Corte (cfr. Sez. 4, 19 settembre 2012, Sarullo) la tematica da affrontare concerne l’introduzione con la legge n. 120 del 2010 – nella disciplina sanzionatoria dei reati in materia di circolazione stradale, e salvo che ricorra l’aggravante dell’incidente stradale – della sanzione (sostitutiva della pena detentiva e pecuniaria) del “lavoro di pubblica utilità” per la guida sotto l’influenza dell’alcool (nonchè per il rifiuto dell’accertamento di cui all’art. 186 C.d.S., commi 3, 4 e 5) e per la guida in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti; sanzione irrogabile già anche con il decreto penale di condanna (art. 186, comma 9 bis, e art. 187 C.d.S., comma 8 bis).
Non vi è dubbio che l’applicazione del lavoro di pubblica utilità – anche per gli ulteriori effetti che derivano dall’esito positivo del suo svolgimento – può risolversi in una disposizione di favore per il reo, e, in quanto tale, ben può quindi trovare applicazione, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, anche in relazione a fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina, laddove non definiti con sentenza irrevocabile (così Sez. 4, n. 11198 del 17/01/2012 Ud. dep. 22/03/2012 – Rv. 252170); va tuttavia rilevato che, secondo i principi generali, l’apprezzamento del carattere più favorevole di una disciplina normativa deve essere formulato – come affermato e costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità – considerando la stessa nel suo complesso: una volta individuata la disposizione globalmente ritenuta più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integrante, non potendo combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativa dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perchè in tal modo verrebbe ad applicare una tertia lex di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità ( cfr. ex plurimis, Sez. 4, 20 settembre 2004, Nuciforo). Pertanto qualora il giudice ritenga di accedere alla richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità, considerando in concreto più favorevole la legge n. 120 del 2010 che tale sanzione sostitutiva ha introdotto, deve avere riguardo, per i limiti edittali della pena da sostituire, alla qualificazione del fatto commesso dall’imputato ed alla relativa forbice sanzionatoria stabilita con detta legge. Orbene la L. n. 120 del 2010 ha stabilito, rispetto alla normativa previgente, per l’ipotesi di cui all’art. 186 C.d.S., lett. c), comma 2, – nel cui ambito rientrerebbe, come detto, il fatto commesso dall’imputato (avuto riguardo al tasso alcolemico) differenti parametri edittali per la pena detentiva, lasciando immutata la pena pecuniaria dell’ammenda. Al momento del fatto contestato alla G. la sanzione prevista era invece quella da tre mesi ad un anno , mentre quella attualmente prevista, e convertibile in lavoro sostitutivo, è, ai sensi della L. 29 luglio 2010, n. 120, dell’arresto da sei mesi ad un anno. Si tratta, come è del tutto evidente, di una sanzione più gravosa di quella che risulta dalla normativa vigente all’epoca del commesso reato, sanzione alla quale, per il principio di inscindibilità del trattamento sanzionatorie”, ci si deve rapportare nell’eventuale decisione di applicazione del lavoro sostitutivo, che non potrà che avere luogo in relazione ad una sanzione principale definita con riguardo ai predetti limiti edittali. Ora, per le ragioni anzidette, la valutazione del trattamento sanzionatorio più favorevole deve essere effettuata in concreto, tenendo conto dell’interesse dell’imputato, il che presuppone la chiara consapevolezza da parte del medesimo della sanzione che gli verrà applicata e la sua accettazione (o la non opposizione). Nel presente caso non risulta (alla luce della formulazione dell’istanza di sostituzione) che l’imputato intendesse accettare la determinazione della pena base nel nuovo minimo edittale rilevante ai fini della sostituzione con il lavoro di pubblica utilità. Infondato si appalesa anche il terzo motivo di doglianza secondo cui l’art. 186 C.d.S., comma 2, nella parte in cui esclude la possibilità di confiscare il veicolo ove lo stesso appartenga a persona estranea al reato, debba essere applicato anche nell’ipotesi, quale quella di specie, in cui il bene ricada in regime di comunione legale. La gravata sentenza ha a riguardo richiamato l’orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 4, 15 dicembre 2010, n. 5365; Sez. 4 n. 24015 del 6 maggio 2009 – dep. 11 giugno 2009 – imp. Di Tucci Rv. 244220) secondo cui attesa la pacifica obbligatorietà della confisca, nella specifica fattispecie, deve osservarsi che sia la lettera che la ratio della disposizione conducono ad escludere che la comproprietà con un terzo estraneo, del veicolo condotto dall’imputato in stato di ebbrezza sia d’ostacolo all’applicazione della misura stessa. Ed invero nel solo caso in cui integralmente il veicolo appartenga ad un terzo, la presunzione assoluta di pericolosltà insita nella disponibilità e nell’uso dello stesso può dirsi attenuata, rimanendo al contrario integra in caso di comproprietà, non essendo il terzo – neppur formalmente – titolare di un “esclusivo ” diritto excludendi alios. Come in particolare statuito in caso identico, da Sez. 4 n. 41870 del 3 luglio 2009 – dep. 30 ottobre 2009 – imp. Baratto Rv. 245439, del tutto ammissibile è la confisca parziale di un bene “allorchè una sola parte di esso sia di proprietà del condannato e la confisca dell’intero verrebbe a sacrificare i diritti di terzi estranei al reato” non dovendosi confondere l’applicabilità della misura con le modalità di esecuzione della stessa in presenza di compendio indivisibile (cfr. Sez. 3 n. 1650 del 17 ottobre 1984 – dep. 13 dicembre 1984 – imp. Salvi Rv. 167059), ferma in questa sede la tutela del diritto del terzo a fronte della indisponibilità della quota del bene a lui appartenente.
4. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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