Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 31 marzo 2014, n. 14785
Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia avverso la sentenza emessa, all’esito del giudizio abbreviato, in data 6.12.2012 dal giudice monocratico del Tribunale di Bergamo con la quale, esclusa l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p., era stata dichiarata l’improcedibilità nei confronti di B.J. in ordine al reato di tentato furto di bicicletta ascrittogli siccome estinto per remissione della querela.
Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’erronea esclusione dell’aggravante ben integrata, invece, nel caso di specie, poiché doveva ravvisarsi l’esposizione alla pubblica fede “per necessità” sulla cui mancanza non era stata addotta alcuna motivazione, mentre erronea era la motivazione portata a sostegno della mancanza di consuetudine dell’esposizione alla pubblica fede.
Rappresenta, altresì, l’erronea qualificazione del fatto come tentativo di furto e non già come furto consumato, secondo quanto descritto già nel capo d’imputazione. E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse dell’imputato.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
Giova preliminarmente richiamare la ricostruzione del fatto riportata nella sentenza impugnata.
Il proprietario aveva parcheggiato la bicicletta (del valore di € 3.500) sulla pubblica via, nei pressi di un bar all’interno del quale il predetto si era recato per effettuare una consumazione: mentre si trovava all’interno del locale dal quale guardava all’esterno, per non perdere di vista il proprio mezzo, all’improvviso notava un giovane che afferrava la bicicletta e si dava alla fuga; inseguito dl proprietario che invocava aiuto, il giovane, vistosi scoperto, si fermava ed appoggiava la bici per terra. Deve convenirsi sulla corretta qualificazione del fatto come furto consumato e non già tentato, ad onta del richiamo all’art. 56 c.p. e ai fatti idonei diretti in modo non equivoco all’impossessa mento della bicicletta riportati dal capo d’imputazione, poiché è palese come si sia del tutto integrata, sia pur per breve lasso temporale, la piena apprensione, ad opera dell’autore, del bene asportato che solo in seguito fu lasciato per terra.
Ciò premesso, per quanto attiene al primo motivo di ricorso, è pacifico, per come ritenuto anche dalla Corte distrettuale, che la bicicletta era stata lasciata incustodita, priva di qualsiasi congegno di sicurezza, sulla pubblica strada; ne deriva che in proposito deve trovare applicazione il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, cui il Collegio ritiene di aderire, secondo cui “non sussiste l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7 – “sub specie” di esposizione per consuetudine alla pubblica fede – nel caso in cui si verifichi il furto di una bicicletta, abbandonata senza alcuna custodia in una pubblica via, in quanto la consuetudine di cui al succitato art. 625, comma 1, n. 7 designa la pratica di fatto rientrante negli usi e nelle abitudini sociali, desunta sulla base di condotte verificate come ripetitive in un ampio arco temporale e tali, pertanto, da essere riconducibili a notorietà”‘ (Cass. pen. Sez. V, n. 8450 del 17.1.2006, Rv. 233765).
I presupposti indicati nella decisione, appena citata, di questa Corte, ai fini della configurabilità dell’aggravante in argomento, non risultano integrati nella concreta fattispecie, in quanto non può certo qualificarsi come radicata abitudine dei ciclista quella di lasciare la propria bicicletta sulla pubblica via senza avere cura di assicurarla mediante l’utilizzo della chiave di chiusura in originaria dotazione ovvero della catena antifurto ordinariamente commercializzata come accessorio (cfr. Cass. pen. Sez. IV n. 38552 dei 22.9.2010, Rv. 248836).
Nè vale a far mutare avviso l’ultima sentenza massimata sul punto (Cass. pen. Sez. V, n. 3196 del 28.9.2012, Rv. 254381), che ha ritenuto di non aderire al precedente orientamento assumendo che la bicicletta “deve intendersi esposta, per necessità, e non già per consuetudine, alla pubblica fede quando il detentore la parcheggi per una sosta momentanea lungo la strada”.
Invero, deve sempre ritenersi tale “sosta momentanea” lungo la pubblica via essere accompagnata dalla contestuale assenza di qualsivoglia forma di custodia: ma nel caso di specie la bicicletta era stata parcheggiata solo fisicamente sulla pubblica via ma collocata in modo tale da essere continuamente sorvegliata a vista dal proprietario dall’interno del bar, tanto che l’azione furtiva fu immediatamente percepita con inseguimento dell’imputato e recupero del mezzo.
Consegue il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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