Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 18 marzo 2014, n. 12735

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. TADDEI Margherita – Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi Giovan – Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la ordinanza n. 978/2013 TRIB LIBERTA’ di BARI, del 05/08/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Massimo Galli, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, e del difensore di fiducia dell’indagato, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’annullamento (anche senza rinvio) dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bari – sezione riesame ed appello sulle misure cautelari personali e reali, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha parzialmente confermato l’ordinanza emessa in data 17 maggio 2013 dal G.I.P. del locale Tribunale, che aveva applicato nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, in ordine al reato di cui al capo A) (partecipazione ad associazione ex articolo 416 bis c.p., e Legge n. 146 del 2006, articolo 3), ed al reato di cui al capo B), relativamente al quale l’ordinanza del G.I.P. era stata annullata.
2. Contro tale provvedimento, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1 – assoluta mancanza di indizi a carico dell’indagato e violazioni di legge (in tema di intercettazioni e rogatorie).
3. All’odierna udienza camerale, celebrata ex articolo 127 c.p.p., si e’ preso atto della regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito della discussione, le parti presenti hanno concluso nei sensi riportati in epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato, e va accolto.
I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA MOTIVAZIONE DELLE ORDINANZE APPLICATIVE DI MISURE CAUTELARI PERSONALI.
1. E’ necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali questa Corte Suprema puo’ esercitare il sindacato di legittimita’ sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali.
1.1. Secondo l’orientamento che il Collegio condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’articolo 606 c.p.p. (cui l’articolo 311 c.p.p., implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorche’ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta “il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate” (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 11 del 22 marzo 2000, CED Cass. n. 215828; nel medesimo senso, dopo la novella dell’articolo 606 c.p.p., Sez. 4 , sentenza n. 22500 del 3 maggio 2007, CED Cass. n. 237012).
Considerato che la richiesta di cui all’articolo 309 c.p.p., quale mezzo di impugnazione sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validita’ dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’articolo 292 c.p.p., e ai presupposti ai quali subordinata la legittimita’ del provvedimento coercitivo (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 dell’8 luglio 1994, CED Cass. n. 198212), si e’ sottolineato che, dal punto di vista strutturale, la motivazione della decisione del tribunale del riesame deve essere conformata al modello delineato dall’articolo 292 c.p.p., che ricalca il modulo configurato dall’articolo 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, che non e’ fondata su prove ma su indizi e tende all’accertamento non di responsabilita’ ma di una qualificata probabilita’ di colpevolezza (Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 11 del 21 aprile 1995, CED Cass. n. 202002).
1.2. Si e’, piu’ recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., Sez. 5 , sentenza n. 46124 dell’8 ottobre 2008, CED Cass. n. 241997; Sez. 6 , sentenza n. 11194 dell’8 marzo 2012, CED Cass. n. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (articolo 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (articolo 274 c.p.p.) e’, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicita’ della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimita’ non puo’, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti. Sarebbero, pertanto, inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimita’ accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice.
1.3. Deve aggiungersi che sarebbe inammissibile anche il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la prima volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non risultandone traccia ne’ dal testo dell’ordinanza impugnata, ne’ da eventuali motivi o memorie scritte, ne’ dalla verbalizzazione delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza camerale (Cass. pen., Sez. 1 , sentenza n. 2927 del 22 aprile 1997, CED Cass. n. 207759; Sez. 1 , sentenza n. 1786 del 5 dicembre 2003 – 21 gennaio 2004, CED Cass. n. 227110; Sez. 2 , sentenza n. 42408 del 21 settembre 2012, CED Cass. n. 254037), a nulla rilevando, in senso contrario, il fatto che il riesame sia un mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, poiche’ “in mancanza di specifiche deduzioni difensive il Tribunale in sede di riesame legittimamente puo’ limitarsi, (…), a concordare pienamente con la ricostruzione della sussistenza del quadro indiziario risultante dalla richiesta del PM e dall’ordinanza del GIP, riassumendo, poi, i punti essenziali di tale quadro indiziario”.
1.4. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno ricorso.
2. Nel caso di specie lo sviluppo della motivazione e’ inficiato dalla mancanza di approfondimento critico e di rigore argomentativo, dato che l’affermata gravita’ degli indizi non trova giustificazione in un organico e coerente apprezzamento degli elementi di prova ne’ risulta articolato attraverso passaggi logici dotati della indispensabile saldezza.
Il Tribunale del riesame, ad integrazione del necessario quadro di gravita’ indiziaria in ordine alla partecipazione al reato associativo, contestata all’indagato, ha attribuito al (OMISSIS) il ruolo factotum ed interprete in lingua italiana nell’ambito del piu’ ampio sodalizio criminoso internazionale oggetto di indagine, desumendolo essenzialmente dal fatto che lo stesso risulta essersi attivato per effettuare, in favore di soggetti sicuramente intranei al sodalizio, tre prenotazioni alberghiere (prestandosi quindi occasionalmente al disbrigo di servizi di routine), evidenziando l’impossibilita’ che, in un momento di crisi per il sodalizio (per le ragioni indicate in motivazione), i sui componenti si avvalessero di soggetti non incondizionatamente affidabili.
La circostanza, pur non essendo trascurabile, appare, tuttavia, inidonea, sul piano inferenziale, a fornire una base consistente all’attribuzione all’indagato della ritenuta condotta di partecipazione, e non regge al sindacato di legittimita’, in difetto dell’esposizione di alcun preciso e concreto elemento sintomatico dell’appartenenza dell’indagato al sodalizio de quo.
I servizi valorizzati non appaiono essenziali ai fini dell’operativita’ dell’associazione, ne’ tali da implicare un particolare intuitus personae in favore del (OMISSIS), trattandosi – come premesso – di servizi di routine agevolmente fungibili, e risultano svolti in via del tutto occasionale; essi appaiono allo stato sintomatici di mera contiguita’, non e’ dato sapere quanto consapevole, o quanto esclusivamente motivata dal mero legame di connazionalita’ e compresenza in Italia, ne’ tali – per la loro generica natura – da tradire necessariamente agli occhi dell’indagato la destinazione a vantaggio di un sodalizio criminale. Tra l’altro, l’inconsapevolezza del (OMISSIS) quanto alle reali attivita’ dei fruitori dei suoi servizi sembrerebbe poter essere confermata dal fatto che egli si fosse sempre attivato in piena trasparenza, agendo a proprio nome, senza utilizzare identita’ di comodo, come pure gli sarebbe stato estremamente agevole, se egli fosse stato davvero inserito nell’individuato contesto associativo internazionale.
3. I rilievi che precedono assorbono ogni altra doglianza difensiva.
4. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Bari che dovra’ nuovamente valutare gli elementi di prova disponibili al fine di accertare se sussistano o meno gravi indizi di colpevolezza in riferimento al delitto in ordine al quale il (OMISSIS) e’ stato colpito dalla misura della custodia cautelare in carcere.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame.

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