SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 29 marzo 2016, n.12675
Considerato in diritto
Il ricorso va rigettato.
La Corte territoriale ha disatteso i motivi del gravame, con il quale l’imputato aveva sostanzialmente contestato la sussistenza del fatto addebitatogli, stanti le ridotte dimensioni del fenomeno verificatosi e la riconducibilità dell’evento alle cattive caratteristiche costruttive del muro di contenimento del terreno sito a monte che non era stato però realizzato dalla società CAVADINO s.r.l. (della quale il coimputato G.A. era amministratore unico e dalla quale il B. era stato nominato direttore dei lavori).
Quella Corte ha premesso che, già nel marzo del 2007, la Cavadino s.r.l. aveva rilevato la necessità di stabilizzare quel pendio attraverso plurimi interventi sul materiale conferito e che anche l’imputato aveva, successivamente, constatato la necessità di modificare il progetto proprio a causa dell’oggettivo cambiamento dell’andamento del terreno. Il dato è stato valorizzato dalla Corte di merito per ritenere che i movimenti del terreno non furono improvvisi ed inaspettati nel mese di aprile 2009, ma tali da rendere necessario un continuo adeguamento delle scarpate e della tipologia delle opere di contenimento. Per quel giudice, anche se le condizioni del muro non realizzato dalla Cavadino s.r.l. possono aver contribuito alla frana, tuttavia il movimento gravitativo dei terreni eterogenei depositati sul luogo era certamente un dato storico, riscontrato ben due anni prima dell’evento, rilevando, sulla scorta delle conclusioni del consulente del P.M., che la frana era stata determinata da fattori predisponenti (come l’acclività del versante naturale e l’accumulo del materiale di riporto in condizioni di precaria stabilità); da fattori di preparazione (quali le condizioni di realizzazione del terrapieno); e da cause provocatrici (le abbondanti precipitazioni in rapporto alle caratteristiche costruttive del manufatto).
In particolare, per quel giudice è da considerarsi già poco coerente con lo stato dei luoghi la previsione di scarpate che non tenevano conto della differenza tra l’acclività naturale e l’assetto di pendenza, determinato dalla presenza di un considerevole quantitativo di materiale di riporto, estraneo di per sé alla conformazione del pendio; oltre che rilevante la circostanza che l’adeguamento degli interventi, deliberato l’anno successivo alla relazione del 2007, aveva prospettato pendenze più prudenziali, ma anche ‘sciaguratamente’ l’applicazione di rinforzi approssimati, con reti di contenimento di plastica, assolutamente inefficienti per lo scopo, senza operare una specifica verifica di stabilità geotecnica.
Da ciò quel giudice ha tratto la conclusione che lo scivolamento del materiale non era stato provocato da un improvviso crollo autonomo del muro mal costruito, quanto piuttosto dall’evoluzione di una situazione provocata definitivamente dalle precipitazioni dell’ultimo periodo che già da tempo tuttavia denotava l’instabilità del sito, senza la predisposizione di rimedi, per esempio, attraverso lo spostamento di parte del materiale accumulato, pur sollecitato all’inizio del 2007. I tale contesto di precarietà, non si era neppure tenuto conto delle caratteristiche geologiche del sito, classificato in classe III, per la quale sono prescritte limitazioni agli interventi di modificazione del suolo, in subordine ad adeguate precauzioni e verifiche.
Proprio in tale correlazione quel giudice ha rinvenuto il nesso causale tra l’accumulo di rifiuti effettuato dal G. e le modalità di realizzazione dell’intervento di messa in sicurezza eseguito dall’imputato B. , da un lato, e l’evento franoso, dall’altro, evento le cui dimensioni, poi, ha ritenuto tali da integrare le caratteristiche normative del disastro colposo (in motivazione il giudice rinvia efficacemente alla descrizione del fenomeno, in relazione alla estensione del sito e all’entità del crollo che ha riguardato l’intera parte centrale dei rifiuti e il trascinamento di tutti i gradoni predisposti dall’imputato, per un insieme pari a un terzo dell’intero accumulo, corrispondente idealmente alla facciata di un palazzo di due piani).
Le dimensioni del fenomeno sono peraltro confermate, secondo la Corte territoriale, anche dall’entità dei lavori di ripristino (ben quattro fasi di intervento, tutte indicate ‘in emergenza’, che hanno importato l’eliminazione dei detriti e una nuova profilatura del pendio devastato dal pesante accumulo delle terre alloctone).
Inoltre, il materiale franato è caduto su un parcheggio sterrato nel quale si trovavano alcuni mezzi e una struttura metallica mobile, beni rimasti schiacciati e deformati dalla frana. Il sito era a sua volta soprastante un altro parcheggio a raso con la (OMISSIS) , rimasto fortunatamente integro. Da ciò quel giudice ha tratto la conclusione che il luogo ove si era verificata la frana fosse tutt’altro che isolato e che fosse invece interessato da presenza antropica.
A fronte di tale argomentare, la parte ha dedotto i vizi sopra sommariamente indicati che si vanno ad esporre più nel dettaglio.
Si assume, innanzitutto, che il fenomeno verificatosi nell’(OMISSIS) non può essere considerato un disastro innominato, reato di pericolo astratto – cioè – che richiede la verificazione di un evento fortemente connotato sul piano naturalistico, caratterizzato da forza distruttiva di dimensioni assai rilevanti. Alla luce dei principi di diritto elaborati dal giudice di legittimità, non ogni fenomeno di smottamento può esser ricondotto al fenomeno di ‘frana’ giuridicamente inteso, tenuto conto anche dell’estratto del ‘Rapporto sulle frane di Italia’ predisposto nel 2007 sotto l’egida dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, pertinente alla situazione idrogeologica nella Regione Lombardia.
Nel caso di specie, continua la parte, dalle risultanze dibattimentali non emergerebbero gli indici di gravità individuati dalla giurisprudenza (vastità del fenomeno, forza distruttiva, difficoltà di contenimento, grado di pericolo astratto), elementi non rilevabili nella motivazione della sentenza censurata. Sarebbe stato frainteso il significato concreto delle misure rilevate, e non contestate dalla parte, laddove le sole dimensioni del fenomeno non sarebbero idonee a far ritenere integrata la fattispecie contestata.
Sul punto, la parte ha pure richiamato il parere dei propri consulenti, secondo cui l’evento avrebbe avuto una scarsa rilevanza dal punto di vista geologico, conclusioni che la Corte territoriale avrebbe inopinatamente ignorato nell’iter motivazionale.
In particolare, richiamando taluni passaggi della deposizione del proprio consulente, il ricorrente ha rilevato che costui aveva confutato l’assunto secondo cui l’elemento ‘volumetrico’ dovesse considerarsi centrale nella valutazione dell’evento franoso, come invece ha fatto il giudice d’appello sulla scorta dei rilievi fotografici e della relazione di sopralluogo del 28/04/2009 a firma dei geologi F. e D.N. . Costoro, infatti, avevano nell’occorso segnalato le attività da compiersi ‘in emergenza’, ma la descrizione dei luoghi e delle loro condizioni non poteva esser letta nel senso ritenuto in motivazione, non essendovi elementi per ritenere che, nel caso di specie, vi fosse stato un crollo effettivo, parlandosi solo di ‘materiale precipitato’.
Si è pure osservato che i dati emersi dal processo non avrebbero confermato la conclusione secondo cui l’evento era stato di difficile contenimento, le cautele suggerite dai tecnici (senso unico alternato sulla strada n. 340) essendo risultate persino eccessive, a fronte della modesta quantità di materiale da rimuovere. Nel caso di specie, gli interventi di contenimento erano stati limitati alla rimozione di un modesto quantitativo di terra e rocce e alla costruzione di un muro, interventi affidati all’impresa amministrata dall’imputato senza la necessità di una pianificazione dell’intervento o dell’avvio di procedure urbanistico-edilizie.
Si assume che anche la comunicazione via telefax dei Vigili del Fuoco datata (OMISSIS) darebbe conto della modestia del fenomeno osservato (‘crollo di muratura e cedimento del sovrastante terrapieno, Non lamentati feriti’), laddove il danneggiamento di alcuni veicoli, valorizzato dal giudicante, non poteva ritenersi conclusivo di un evento straordinario e di vasta portata.
Con specifico riferimento, poi, al nesso causale tra la condotta dell’imputato B. e l’evento, la parte ha sollevato censure riferibili ad entrambe le omissioni ascrittegli:
quanto all’omesso impedimento, n.q. di tecnico e progettista dell’opera di riqualificazione dell’area e realizzazione di autorimesse, del determinarsi del sovraccarico dei muri di contenimento, a causa dell’accumularsi di un ingente quantitativo di terra e rocce da scavo con pendenza elevata, si assume che la corte territoriale non avrebbe debitamente distinto le condotte del B. , da quella del coimputato G. (quest’ultimo nella qualità di amministratore della società Cavadino s.r.l., proprietaria dei terreni d’interesse), nulla potendo addebitarsi al B. , intervenuto nella vicenda solo nel 2008, allorché la quantità di materiale accumulato era già presente da almeno 4 anni, senza che egli abbia avuto alcun ruolo nel suo trasporto in loco;
quanto all’omessa verifica dell’esistenza di adeguati sistemi di drenaggio e scolo delle acque meteoriche, il giudice d’appello avrebbe pianamente recepito le conclusioni del consulente dell’accusa, smentite però dalle prove tecniche acquisite, secondo cui quel materiale doveva considerarsi ‘iperdrenante’, tale da favorire in massima misura lo scorrimento dell’acqua.
Inoltre la Corte milanese avrebbe commesso due macroscopici errori, nel valorizzare il dato storico, rappresentato da movimenti del terreno manifestatisi già nel 2008: secondo la difesa, quel fenomeno andava letto alla luce non della instabilità dei terreni della società Cavadino a r.l., bensì della situazione di fragilità dei terreni e dei manufatti ad essi sottostanti, di proprietà di terzi; inoltre il muro posto a monte del tracciato pedonale sarebbe stato per la Corte d’appello fragile, ma la stradina pedonale interessata dallo smottamento di terra e rocce nell’aprile 2009 era stata inibita al transito nel dicembre precedente, a causa di un provvedimento comunale di chiusura.
Pericolanti erano a valle la strada comunale e il muretto insistente sulla proprietà di terzi, ma il Comune non aveva approntato alcun intervento di sistemazione, e l’imputato, peraltro succeduto ad altro tecnico che aveva progettato il rimodellamento del pendio, non avrebbe potuto intervenire sulla proprietà comunale o di terzi, essendosi limitato a riprogettare la fisionomia delle balze, alleggerendone il peso e prevedendone una minore acclività.
Nessuna delle censure, pur ampiamente articolate dal ricorrente, è fondata.
Esse si risolvono in una vera e propria rivisitazione in fatto della dinamica dell’evento e nella contestazione della valutazione che la Corte territoriale ha fatto del compendio probatorio, con una motivazione che, tuttavia, è esente dai vizi denunciati.
In particolare, quanto alle dimensioni del fenomeno ed alla sua configurabilità in termini di disastro colposo, giovi considerare quanto più volte ribadito da questa stessa sezione, secondo cui ‘Il reato di disastro colposo di cui all’art. 449 cod. pen. richiede un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l’incolumità’ delle persone indeterminatamente considerate; è necessaria quindi una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l’effettività’ della capacita diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, casualmente, l’evento dannoso non si è verificato’ (Sez. 4 n. 7664 del 15/10/2009 Ud. (dep. 25/02/2010), Rv. 246848), essendo necessaria per la sua sussistenza, proprio per la natura di delitto colposo di comune pericolo, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno (in tal senso Sez. 4 n. 19342 del 20/02/2007, Rv. 236410).
Quanto alle caratteristiche dell’evento, si è pure chiarito che, ‘Ai fini della configurabilità del delitto di disastro ambientale colposo (artt. 434, comma secondo, e 449 cod. pen.) è necessario che l’evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità sia straordinariamente grave e complesso ma non nel senso di eccezionalmente immane, essendo necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone e che l’eccezionalità della dimensione dell’evento desti un esteso senso di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo’ (Sez. 5 n. 40330 in data 11/10/2006, rv. 236295).
La valutazione condotta dal giudice del merito, oltre che coerente con gli elementi di prova richiamati in sentenza, è anche pienamente rispettosa degli enunciati principi di diritto in ordine alle caratteristiche del disastro colposo. In motivazione, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, si dà ampiamente conto degli indici di gravità (vastità del fenomeno, forza distruttiva, difficoltà di contenimento, grado di pericolo astratto) del fenomeno venutosi a creare anche a causa del comportamento omissivo dell’imputato.
Quanto a quest’ultimo, inoltre, la Corte d’appello ha descritto la natura del fenomeno, tutt’altro che improvviso, distinguendo i fattori predisponenti, da quelli di preparazione e dalle cause che da ultimo hanno determinato la frana e rilevando, con specifico riguardo alla condotta del B. , che costui era ben consapevole delle peculiarità del sito e della necessità di approntare un sistema di contenimento che tenesse conto della sua naturale acclività, ma anche della presenza di un considerevole quantitativo di materiale da riporto che aveva influito sulle condizioni di stabilità precaria dello stesso.
Nel fare ciò, la Corte territoriale ha precisato che lo scivolamento non era stato provocato da un crollo improvviso, ma dall’evolversi di una situazione ben conosciuta, anche dal B. , di fronte alla quale non era stato predisposto un presidio idoneo. In tale contesto ha, quindi, ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che anche il muro di contenimento esistente (non realizzato dalla Cavadino s.r.l.) fosse inidoneo, stante la rilevata inadeguatezza delle misure, queste si approntate dalla società costruttrice, ben descritte nella sentenza censurata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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