Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 1 aprile 2016, n. 1301

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 1303 del 2016, proposto da:

So. im. El. se. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Gi. Mi., con domicilio eletto presso Al. Pl. in Roma, via (…);

contro

Comune di Taranto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Ma. Co., con domicilio eletto presso Va. Ca. Mi. in Roma, Via (…);

Ministero dell’interno, Guardia di Finanza di Taranto – II Nucleo operativo, Ministero dell’economia e delle finanze, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, via (…);

Sindaco del Comune di Taranto quale Ufficiale di Governo;

Sindaco del Comune di Taranto;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – sede staccata di Lecce, Sezione I n. 3210/2015, resa tra le parti, concernente ordine di rimozione e smaltimento rifiuti abbandonati su area privata.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Taranto, del Ministero dell’interno, della Guardia di Finanza di Taranto – II Nucleo operativo e del Ministero dell’economia e delle finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Mi. e Ni. Pa. (su delega dell’avv. Co.);

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.

La società immobiliare El. se. s.r.l. ha impugnato l’ordinanza n. 10 del 16 febbraio 2015, con la quale il Sindaco di Taranto le ha ordinato di provvedere, nel termine di trenta giorni, alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti abbandonati sul terreno di sua proprietà e alla bonifica dell’area.

Con sentenza 6 novembre 2015, n. 3210, il T.A.R. per la Puglia – Lecce, sez. I, ha respinto il ricorso.

La società ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

La società ricostruisce la vicenda, ricordando le plurime denuncie presentate a diverse Autorità in relazione ai rifiuti abbandonati sull’area, vicina a un cantiere di un’opera pubblica, e le archiviazioni che hanno concluso alcuni procedimenti penali avviati nei suoi riguardi e nei riguardi della propria amministratrice.

Nel merito, deduce i motivi che seguono.

1. Sarebbe mancato il necessario contraddittorio e – diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R. – la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non sarebbe meramente formale, considerato il chiaro disposto dell’art. 192, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Sarebbe del pari mancata una reale istruttoria, poiché il Comune si sarebbe “adagiato” su una relazione della Guardia di finanza.

2. Quanto agli accorgimenti da adottare per evitare lo sversamento dei rifiuti, per la mancata adozione dei quali il T.A.R. ha affermato la colpa della società appellante, il prolungamento del solco al confine esistente avrebbe provocato problemi al regolare deflusso delle acque e alla sicurezza stradale; la costruzione di muri a secco, oltre a essere in contrasto con le caratteristiche della zona, sarebbe economicamente non esigibile.

3. Il primo giudice avrebbe omesso di pronunziare su alcuni motivi del ricorso. In particolare, vi sarebbe perplessità sulla natura del potere esercitato, mentre la competenza a disporre la bonifica dell’area apparterrebbe alla Provincia e dovrebbe svolgersi secondo un particolare iter procedurale.

4. Sarebbe infine irragionevolmente breve il termine per adempiere, che la sentenza impugnata ha stabilito in trenta giorni.

Con memoria depositata il 9 marzo 2015, il Comune di Taranto si è costituito in giudizio per esistere all’appello.

Si è del pari costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, per conto del Ministero dell’interno, del Ministero dell’economia e delle finanze e della Guardia di finanza – Comando provinciale di Taranto, senza svolgere difese.

Alla camera di consiglio del 31 marzo 2016, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei requisiti di legge e avendone informato le parti presenti in camera di consiglio, il Collegio è dell’avviso di poter definire sin d’ora la controversia nel merito con una sentenza in forma semplificata, a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

In via preliminare, il Collegio rileva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono considerarsi assodati i fatti oggetto di giudizio.

Il primo motivo dell’appello è fondato.

Viene in questione il citato comma 3 dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale stabilisce:

“Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.

Il Collegio ritiene di non avere ragione per discostarsi dall’orientamento consolidato (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061; Id., sez. II, parere 21 giugno 2013, n. 2916; Id., sez. V, 22 febbraio 2016, n. 705), secondo cui, in materia, il legislatore delegato ha inteso rafforzare e promuovere le esigenze di un’effettiva partecipazione allo specifico procedimento dei potenziali destinatari del provvedimento conclusivo. Di conseguenza, la preventiva, formale comunicazione dell’avvio del procedimento costituisce un adempimento indispensabile al fine dell’effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati e – diversamente da quanto ha affermato il T.A.R. – non si può applicare il temperamento che l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 apporta alla regola generale dell’art. 7 della stessa legge.

Nel caso di specie, è indiscusso che l’avviso di avvio del procedimento non sia stato comunicato alla parte destinataria dell’ordinanza sindacale, che ha visto leso il proprio diritto alla partecipazione procedimentale.

Da ciò l’illegittimità del provvedimento impugnato, con assorbimento dei motivi ulteriori dell’appello, tenuto conto dei principi elaborati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza 27 aprile 2015, n. 5.

Dalle considerazioni che precedono discende che, come già detto, l’appello è fondato e va pertanto accolto. In riforma della sentenza di primo grado, ne segue l’accoglimento del ricorso introduttivo con annullamento dell’atto impugnato e rimessione degli atti all’Autorità amministrativa, che provvederà anche tenendo conto dei principi affermati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (con le ordinanze n. 21 del 25 settembre 2013 e n. 25 del 13 novembre 2013), dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (con la sentenza 4 marzo 2015 in causa C-534/13) e dalla sezione V del Consiglio di Stato (con la sentenza 25 febbraio 2015, n. 933).

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Apprezzate le circostanze e, in particolare, la complessità della vicenda in punto di fatto, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunziando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso introduttivo, annullando il provvedimento impugnato e restituendo gli atti all’Autorità amministrativa.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 01 aprile 2016.

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