aggressione cane

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 29 maggio 2014, n. 22229

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 20/11/2012 il Tribunale di Lecce confermi la sentenza del giudice di primo grado che aveva riconosciuto G.E. colpevole dei reati di lesioni colpose, minaccia e ingiuria commessi nei confronti delle parti civili C.G. e A.T., condannandolo in favore delle medesime al risarcimento dei danni. I giudici di merito fondavano il loro giudizio sulla convergente narrazione delle persone offese. Le stesse avevano riferito che il 3 agosto si trovavano in un lido della località balneare di San Foca quando erano sopraggiunti un ragazzo e una ragazza che portavano con sé un cane di razza pitbull privo di museruola. Mentre il G. faceva il bagno, fu raggiunto a nuoto e aggredito dal cane, riportando le lesioni personali di cui al referto. Ancorchè giovane che portava con sé il cane si fosse rifiutato di fornire le sue generalità, per il tramite del numero di targa dell’autovettura a bordo della quale costui si era allontanato si risaliva all’identità del medesimo.
All’udienza la persona offesa, dopo aver proceduto alla descrizione dell’imputato, dichiarava di averlo visto più volte anche successivamente al fatto, poiché si era recato a trovarlo in ospedale ove era stato ricoverato, oltre che presso il suo posto di lavoro.
Veniva effettuata ricognizione formale con esito positivo.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato.
2.1. Deduce, con il primo motivo, nullità per violazione degli artt. 213 e 214 c.p.p. Rileva che il Tribunale avrebbe dovuto, prima di effettuare la ricognizione, richiedere al teste la descrizione delle fattezze fisiche del soggetto autore del fatto. In mancanza la ricognizione era da intendersi nulla e inutilizzabile, con le conseguenze che ne derivavano per la decisione gravata, fondata su una prova invalida.
2.2. Deduce, ancora, vizio motivazionale, poiché la sentenza non aveva chiarito gli elementi in forza dei quali il ricorrente dovesse essere reputato proprietario del cane, né le ragioni per le quali fosse configurabile in capo al predetto la colpa.

Considerato in diritto

1. In ordine al primo motivo di ricorso, va rilevato che i rilievi in ordine alla irritualità della ricognizione non appaiono connotati del requisito della decisività, posto che è in atti la prova delle dichiarazioni accusatorie della parte lesa nei confronti dell’imputato, rilevanti in termini di testimonianza e dotate di adeguata attendibilità ove si rilevi che, secondo affermazione dei teste non contestata, egli ebbe modo di conoscere l’imputato e le sue fattezze non solo in occasione del fatto, ma anche nel corso delle successive visite di costui in ospedale e sul posto di lavoro, visite non altrimenti giustificabili se non in forza dei fatti pregressi. Tali circostanze rendono estremamente attendibile il riconoscimento informale effettuato dalla persona offesa, peraltro convergente con l’accertamento che l’E. era effettivamente proprietario tanto dell’auto la cui targa era stata annotata nell’immediatezza del fatto, quanto di un cane coincidente per razza con quello che aveva provocato l’aggressione.
Tali ultime considerazioni, significative della congruità dell’iter logico seguito dal giudicante, valgono a escludere i vizi motivazionali rilevati sub 2 (ravvisabili solo in caso di grave lacuna o evidente illogicità e contraddittorietà del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze di cui agli atti del processo), fermo restando che il profilo di colpa attribuito all’imputato, per come emerge chiaramente dagli atti e dalla sentenza impugnata, consiste nella mancata adeguata custodia dell’animale, custodia che gli competeva in qualità di proprietario.
Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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