Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 14 maggio 2014, n. 20028

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito – Presidente
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1941/2007 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del 21/09/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe, che ha concluso per l’annullamento per (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto; inammissibilita’ per (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21 settembre 2011 la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Chieti in data 20 dicembre 2006, ha assolto (OMISSIS) dal reato di lesioni personali di cui al capo sub b) per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena per la residua imputazione di cui al capo sub a) (articoli 110, 81 e 337 c.p.), quanto al (OMISSIS), in mesi quattro e giorni quattordici di reclusione, e quanto a (OMISSIS) in mesi otto di reclusione, confermando nel resto la gravata sentenza.
2. Avverso la suddetta pronuncia della Corte d’appello di L’Aquila ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di (OMISSIS), prospettando due motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
2.1. Omessa motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), con riferimento alla necessita’ di riqualificare il fatto contestato al capo sub a) dell’imputazione ai sensi dell’articolo 612 c.p., articolo 61 c.p., n. 10, e di pronunciare quindi una sentenza di proscioglimento per difetto della condizione di procedibilita’, in assenza di querela: nonostante le critiche circostanziate e specifiche rivolte alla sentenza di primo grado, la Corte d’appello non avrebbe motivato il proprio convincimento circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 337 c.p.
Nella ricostruzione del fatto operata dalla Corte d’appello, del resto, non risultano valorizzati elementi materiali che possano apprezzarsi quali indici del dolo specifico dell’agente, e proprio la descrizione della sua condotta materiale da atto che egli aveva posto in essere un comportamento meramente minatorio, cui non aveva fatto seguito alcuna forma, anche solo verbale, di resistenza al compimento del servizio da parte dei militari intervenuti nell’occasione.
2.2. Omessa motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), con riferimento alla richiesta di riforma del trattamento sanzionatorio formulata dalla difesa con l’atto di appello, ove erano stati indicati specifici elementi a sostegno della richiesta di concessione delle attenuanti generiche e della pena sostitutiva ai sensi della Legge n. 689 del 1981, articolo 53 ss. (il contesto non allarmante dell’azione, l’esiguita’ dell’apporto causale della condotta, il buon inserimento sociale dell’imputato, ecc).
3. Avverso la suddetta pronuncia della Corte d’appello di L’Aquila, inoltre, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di (OMISSIS), prospettando due motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
3.1. Violazione dell’articolo 606 c.p.p. lettera b), d) ed e), con riferimento alla mancata valutazione di elementi, dedotti nei motivi d’appello, che avevano un chiaro carattere di decisivita’ nel senso di condurre all’esclusione della penale responsabilita’ dell’imputata.
La Corte distrettuale, in particolare, non avrebbe offerto un ragionamento coerente in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 337 c.p., ne’ avrebbe esaminato l’invocata ipotesi della minaccia aggravata ex articolo 61 c.p., n. 10, avendo l’imputata semplicemente manifestato rabbia per le conseguenze dell’atto d’ufficio ed essendo la resistenza punibile a titolo di dolo specifico, con la conseguenza che avrebbe dovuto dichiararsi l’improcedibilita’ per difetto di querela.
3.2. Violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essenzialmente ricavato dai precedenti penali a carico dell’imputata, sebbene gli stessi non siano in linea di principio ostativi alla concessione del beneficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso di (OMISSIS) e’ fondato e va pertanto accolto per le ragioni di seguito indicate.5. Dalla ricostruzione dei fatti operata nella motivazione della impugnata pronunzia risulta, in particolare: a) che il predetto imputato si e’ limitato a reagire verbalmente, “con evidenti minacce”, all’intervento degli operanti, ma poi si e’ acquietato, salendo, senza opporre resistenza, sull’autovettura di servizio; b) che appare una “forzatura” l’ipotesi di un rafforzamento del proposito criminoso della coimputata attraverso la pronuncia di frasi dal contenuto minaccioso; c) che comunque non puo’ dirsi raggiunta la prova di una sua partecipazione agli atti di violenza in quel frangente posti in essere dalla coimputata.
Sul contenuto delle doglianze al riguardo puntualmente e specificamente prospettate dalla difesa (v., supra, il par. 2.1.), tuttavia, non v’e’ traccia di un’adeguata risposta da parte della Corte distrettuale.
Sui temi oggetto di ricorso v’e’ da osservare che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale puo’ essere integrato anche da una condotta ingiuriosa nei confronti del soggetto passivo, purche’ la stessa, lungi dal rappresentare l’espressione di uno sfogo di sentimenti ostili e di disprezzo, riveli la volonta’ di opporsi allo svolgimento dell’atto di ufficio e risulti chiaro il nesso di causalita’ psicologica tra l’offesa arrecata e le funzioni esercitate (Sez. 6, n. 1737 del 14/12/2012, dep. 14/01/2013, Rv. 254203; Sez. 6, n. 44976 del 13/11/2008, dep. 03/12/2008, Rv. 241660).
Nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale, infatti, il dolo specifico si concreta nel fine di ostacolare l’attivita’ pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, cosicche’ il comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad altro titolo, non integra il delitto in questione (Sez. 6, n. 36367 del 06/06/2013, dep. 05/09/2013, Rv. 257100).
E’ inoltre necessario considerare che la violenza o la minaccia devono essere reali, connotando in termini di effettivita’ causale la loro idoneita’ a coartare o ad ostacolare l’agire del pubblico ufficiale, in ragione del dolo specifico che deve sorreggere il comportamento del soggetto agente (Sez. 6, n. 45868 del 15/05/2012, dep. 23/11/2012, Rv. 253983). Le espressioni di minaccia rivolte al pubblico ufficiale, infatti, potrebbero non rivelare in concreto alcuna volonta’ di opporsi allo svolgimento dell’atto d’ufficio, ma rappresentare, piuttosto, una forma di contestazione della pregressa attivita’ svolta dal pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 31544 del 18/06/2009, dep. 30/07/2009, Rv. 244695).
Analoga lacuna motivazionale, infine, e’ ravvisabile riguardo all’ulteriore profilo di doglianza in subordine rappresentato dalla difesa (v., supra, il par. 2.2.).
S’impone, dunque, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per un nuovo giudizio che, nella piena liberta’ del relativo apprezzamento di merito, dovra’ colmare le su indicate lacune motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto in questa Sede stabiliti.
6. Parzialmente fondato, entro i limiti di seguito specificati, deve ritenersi, di contro, il ricorso proposto da (OMISSIS).
Non meritevole di accoglimento, anzitutto, deve considerarsi il primo motivo di doglianza, essendo le relative censure sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni gia’ esposte, e congruamente disattese, in sede di appello – e finanche dinanzi al Giudice di prime cure – ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle emergenze processuali, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, sollecitando in tal guisa l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearita’ e della logica conseguenzialita’ che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Il ricorso, dunque, non e’ propriamente volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicita’ ictu oculi percepibili, bensi’ ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, si’ da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente confutato la diversa ricostruzione prospettata nelle deduzioni e nei rilievi difensivi, ponendo in evidenza, segnatamente: a) che, all’atto dell’intervento dei Carabinieri presso l’esercizio ove il loro intervento era stato invocato, l’imputata vi si opponeva fisicamente con calci e pugni, si’ da impedire i necessari atti di identificazione delle persone accusate di molestare gli avventori; b) che la predetta imputata, inoltre, all’atto del trasferimento in caserma sull’autovettura di sevizio, cercava di aggredire uno degli operanti, ponendo in essere, successivamente, atti di autolesionismo accompagnati da continue minacce nei confronti dei pubblici ufficiali.
Sulla stregua delle su esposte emergenze probatorie, dunque, deve ritenersi che la Corte d’appello, sul punto, abbia fatto buon governo del quadro di principi che regolano la materia in esame, correttamente applicando l’insegnamento da questa Suprema Corte elaborato, ove si consideri che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, la condotta penalmente rilevante deve intendersi rappresentata da qualsivoglia attivita’ omissiva o commissiva che si traduca in un atteggiamento, anche talora implicito, purche’ percepibile ex adverso, che impedisca, intralci, valga a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarita’ del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, e cio’ indipendentemente dal fatto che l’atto di ufficio possa comunque essere eseguito (Sez. 6, n. 8667 del 28/05/1999, dep. 07/07/1999, Rv. 214199).
Nel caso in esame, dunque, come osservato dalla Corte di merito, a nulla rileva che i Carabinieri abbiano poi compiuto l’atto d’ufficio cui l’imputata si era opposta.
Non e’ necessario, infatti, che sia impedita, in concreto, la liberta’ di azione del pubblico ufficiale, ma e’ sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti (da ultimo, v. Sez. 6, n. 46743 del 06/11/2013, dep. 22/11/2013, Rv. 257512).
7. Sul secondo profilo di doglianza (v., supra, il par. 3.2.) dalla difesa esposto, tuttavia, la Corte d’appello non si e’ adeguatamente pronunziata, procedendo alla rideterminazione della pena inflitta all’imputata, senza affrontare lo specifico punto alla sua cognizione sottoposto in sede di gravame.
E’ noto che il giudice di merito ha il dovere di prendere in esame tutte le istanze difensive e di specificare le ragioni in base alle quali esse vengono accolte ovvero respinte. Pertanto la sentenza deve essere annullata sul relativo capo, se il giudice di merito, come avvenuto nel caso in esame, abbia omesso di motivare la mancata concessione di una circostanza attenuante espressamente indicata dalla difesa con istanza ne’ generica, ne’ manifestamente infondata (Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, dep. 23/04/1990, Rv. 184129).
In relazione alla su indicata censura s’impone, dunque, l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata, per un nuovo giudizio che, nella piena liberta’ del relativo apprezzamento di merito, dovra’ colmare la su indicata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in questa Sede stabiliti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in ordine al dolo e nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Perugia.
Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS).

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