In tema di circolazione stradale, il principio di affidamento trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità e tale prevedibilità deve essere valutata non in astratto ma in concreto
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 24 maggio 2016, n. 21581
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 9 febbraio 2015, la Corte d’appello di Lecce confermava la condanna a un anno di reclusione e alle statuizioni civili ritenute di giustizia, con attenuanti generiche prevalenti e con concessione dei doppi benefici, emessa a carico di P.L. , in data 3 aprile 2013, dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Gallipoli, in ordine al reato p. e p. dall’art. 589, comma 2, cod. pen., commesso il (omissis) in (omissis) .
Oggetto del processo è un incidente stradale costato la vita a Q.C. . Secondo la ricostruzione dei fatti oggetto d’imputazione e recepita nella detta pronunzia, la P. , percorrendo la Via … alla guida della sua autovettura, effettuava una manovra di svolta a sinistra per immettersi in Viale (omissis) ; nel frattempo sopraggiungeva in prossimità dell’incrocio fra le due strade, procedendo su viale … a velocità assai elevata, il motociclo condotto dal Q. (sul quale viaggiava anche S.C. ). La P. , dopo essersi arrestata allo stop, non essendosi avvista dell’arrivo della moto del Q. (e dunque non dandogli la precedenza), proseguiva nella manovra di svolta a sinistra, che però effettuava seguendo una traiettoria con la quale finiva per impegnare non già la corsia di marcia nella quale intendeva immettersi, ma quella opposta, ossia quella su cui procedeva il Q. ; ne derivava la collisione fra l’auto condotta dalla P. e la moto condotta dal Q. , con conseguente decesso di quest’ultimo e ferimento del S. . Alla P. è contestata la violazione degli artt. 145 e 154 del Codice della Strada, per avere omesso di procedere alla manovra di svolta con la dovuta prudenza e dando precedenza alla moto del Q. , e per avere altresì omesso di eseguire la detta manovra in prossimità del centro dell’intersezione e a sinistra di questo, e in modo da non creare pericolo per gli altri utenti della strada: violazioni, queste, che, secondo la ricostruzione dell’episodio accolta dalla Corte di merito, cagionavano il sinistro.
Avverso la prefata sentenza ricorre la P. , per il tramite del suo difensore di fiducia; il ricorso è articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo l’esponente denuncia vizio di motivazione con riferimento alle ragioni del rigetto, da parte della Corte territoriale, della rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale mediante espletamento di perizia, tesa a determinare l’effettiva visibilità della motocicletta condotta dal Q. , stante la circostanza che essa procedeva a fari spenti. Si duole in particolare la ricorrente che il rigetto della perizia sia stato motivato dalla Corte nell’assunto che la perizia sarebbe stata invece volta a ricostruire la dinamica del sinistro, e che la stessa era ultronea in presenza di plurime consulenze tecniche sul punto. Tale errore ha avuto un’incidenza decisiva, tale essendo la questione della visibilità del ciclomotore da parte della P. al momento della manovra (il Q. , secondo quanto emerso in dibattimento, procedeva a forte velocità, nottetempo e a fari spenti); questione sulla quale la Corte di merito, pur a fronte del motivo d’appello articolato sul punto dalla difesa, ha argomentato in modo illogico e inadeguato, assumendo come accertata la ragionevole prevedibilità della condotta di guida della vittima.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine al fatto che il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale, nella parte relativa al c.d. principio d’affidamento, sarebbe estrapolato, senza un’autonoma rielaborazione, dalla sentenza in data 4 dicembre 2009 n. 46741 della 4 Sezione della Corte di Cassazione (nel motivo in esame si riportano più passaggi della sentenza impugnata nei quali si ripropongono testualmente alcuni stralci della predetta sentenza della Corte regolatrice); ma vengono omesse, nella motivazione della pronunzia della Corte di merito, le parti della sentenza di legittimità che sarebbero invece favorevoli alla posizione dell’imputata, laddove invece, in relazione allo stato dei luoghi (ora notturna, presenza di alberatura che copriva in buona parte la visuale, altre autovetture parcheggiate sulla corsia in cui la P. doveva immettersi, scarsa illuminazione artificiale) e alla condotta della vittima alla guida del suo ciclomotore (velocità elevatissima, fari spenti), quest’ultima si inseriva nella serie causale come elemento eziologico sopravvenuto di per sé sufficiente a determinare l’evento; nelle dette condizioni, per la P. era impossibile accorgersi del sopraggiungere della moto condotta dal Q. e non le si poteva chiedere di prevedere anche un comportamento del tutto anomalo come quello della vittima.
2.3. Con il terzo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in riferimento all’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale in relazione a specifici elementi fondamentali nella ricostruzione della dinamica del sinistro, posti a base dei motivi d’appello.
2.3.1. La prima questione proposta al riguardo dalla ricorrente riguarda il dato delle luci spente della moto del Q. , fornito dal teste Pa.Vi. (della cui deposizione vengono riportati alcuni stralci), dato che però la Corte di merito ritiene non sufficientemente provato perché non riferito dal Pa. nelle sommarie informazioni da lui rese in fase d’indagini, e che invece il giudice di primo grado aveva ritenuto ‘probabile’, valutando come attendibile la predetta deposizione; a tal proposito la ricorrente censura la motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale in quanto essa costituisce una rivalutazione ‘cartolare’ della deposizione del Pa. in termini di attendibilità intrinseca (ossia senza una rivalutazione complessiva del quadro probatorio), così ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale tracciato in proposito dalla Corte di Strasburgo.
2.3.2. Ulteriore questione proposta dalla ricorrente riguarda il dato del ‘rombo del motore’, che la Corte di merito pone a base del proprio convincimento circa la possibilità che la P. , udendo il rumore della moto del Q. , si accorgesse per tempo del suo sopraggiungere ed evitasse l’impatto: tale assunto viola il principio d’affidamento, in quanto non tiene conto che l’elevata velocità tenuta dalla vittima alla guida del suo motociclo (stimata in 100-110 kmh) era tale da non consentire alla P. di poter tempestivamente prevedere che costui stesse sopraggiungendo presso l’intersezione fra le due strade.
2.3.3. La ricorrente ripropone infine la questione del campo visivo, ridotto dalle alberature presenti, e della scarsa illuminazione pubblica: questione che, pur proposta nei motivi d’appello anche sulla base della consulenza disposta dal Pubblico ministero ed eseguita dall’ing. V. , è stata liquidata nella sentenza impugnata facendo riferimento alla ritenuta efficienza dell’illuminazione stradale ricavata dalle foto nn. 5 e 7 allegate ai rilievi tecnici eseguiti nell’immediatezza dai Carabinieri; in realtà, osserva la ricorrente, la scarsità dell’illuminazione viene riferita in dibattimento dall’app. C. , intervenuto sul posto subito dopo l’incidente e della cui deposizione viene riportato uno stralcio, il quale afferma che in realtà l’illuminazione pubblica e la visibilità erano ‘scarse’.
Considerato in diritto
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il rigetto della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale è stato motivato dalla Corte territoriale facendo bensì riferimento generico alla dinamica del sinistro, ma richiamando tutte le consulenze di parte assunte in primo grado, le quali (com’è agevole evincere dalla stessa sentenza impugnata e dallo stesso ricorso) vertevano anche sulla questione della visibilità della moto del Q. da parte della P. , questione affrontata dalla Corte di merito, sulla scorta delle prove testimoniali e delle consulenze assunte in primo grado, a pagina 5 della sentenza impugnata.
Il secondo motivo di ricorso, quanto meno nella parte in cui si censura la riproduzione grafica di una sentenza di legittimità, priva di autonoma rielaborazione da parte della Corte territoriale, è parimenti infondato: la giurisprudenza all’uopo richiamata dalla ricorrente sanziona la nullità per difetto di motivazione del provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della parte motiva di altra pronuncia, a meno che però detta tecnica di redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dalla ricorrente (Sez. 4, n. 7031 del 05/02/2013, Conti, Rv. 254937). In sostanza, il dictum della Corte regolatrice sul punto è teso a evitare che la decisione dell’organo giudicante sia ‘vestita’ esteriormente di una motivazione testualmente ripresa da altro provvedimento, ma sia adottata in assenza di qualsivoglia vaglio critico in ordine alle questioni di fatto e di diritto rilevanti a fini argomentativi; ma, nella specie, non si può negare che la sentenza impugnata abbia fornito una sua autonoma valutazione dei fatti per cui è processo, avendo ampiamente dato conto delle risultanze probatorie del giudizio di primo grado e avendo in proposito manifestato il proprio convincimento, al di là della riproduzione di alcune parti di altra sentenza emessa dalla Corte di legittimità, dalle quali in sostanza la Corte leccese ha, comunque, ritenuto di trarre argomenti a sostegno della propria decisione.
Residuano le ulteriori questioni, sostanzialmente attinenti alla motivazione della sentenza impugnata con riferimento al c.d. principio d’affidamento e alla ritenuta interruzione del nesso causale tra la condotta della ricorrente e l’evento, per effetto del comportamento del motociclista Q..
In proposito, il ricorso deve considerarsi, almeno in parte, fondato.
I rilievi critici che in proposito vanno mossi alla decisione della Corte di merito attengono in particolare a due questioni, ambedue di non poco rilievo ai fini della puntuale ricostruzione dei fatti e delle responsabilità: ossia quella relativa alla valutazione della circostanza riferita dal teste Pa. , secondo il quale il Q. viaggiava a fari spenti; e quella attinente alla visibilità e all’illuminazione pubblica dei luoghi ove avvenne il sinistro, definite come ‘scarse’ dal teste operante app. C. .
3.1. In ordine alla prima questione, la motivazione resa dalla Corte territoriale si appalesa lacunosa, laddove essa reputa come non sufficientemente comprovata in quanto ‘condizionata dal passare del tempo’ una circostanza, come quella delle luci spente della moto del Q. riportata da un teste oculare come il Pa. , sol perché questi non avrebbe riferito detto particolare quando fu sentito a sommarie informazioni. Va evidenziato che è la stessa Corte leccese a riconoscere che detta circostanza è ‘di intuitiva importanza per comprendere la dinamica del sinistro’; proprio per questo non è consentito ricavare da una valutazione affatto presuntiva e non ineccepibile sul piano logico, come quella espressa nell’impugnata sentenza, l’inattendibilità di una fonte di prova con riferimento a un elemento senz’altro potenzialmente incidente sulla visibilità della moto del Q. in avvicinamento all’incrocio (nottetempo e a una velocità pacificamente superiore ai 100 kmh) e, quindi, sulla concreta prevedibilità ed evitabilità dell’impatto con il motociclo da parte della P. .
In proposito, è bene chiarire che è insussistente il contrasto, denunciato dalla ricorrente, tra la valutazione espressa sul punto dalla Corte territoriale e i principi affermati dalla Corte di Strasburgo, atteso che le indicazioni fornite da quest’ultima con la sentenza Dan c. Moldavia e con altre successive sentenze, e richiamate anche dalla giurisprudenza di legittimità della Corte regolatrice, attengono ai casi in cui il giudice di appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione (cfr. Sez. 5, n. 29827 del 13/03/2015, Petrusic, Rv. 265139; Sez. 6, Sentenza n. 44084 del 23/09/2014, Mihasi, Rv. 260623), e non quindi al caso che ne occupa, attinente a una deposizione valutata in modo diverso in appello ma in seguito a sentenza di condanna in primo grado.
Tuttavia, è fuor di dubbio che l’apodittica rivalutazione in negativo dell’attendibilità del dichiarato del teste Pa. esclude, dalla ricostruzione dei fatti, un elemento che merita invece di essere correttamente valutato nella sua portata ai fini della prevedibilità in concreto, da parte della P. , del sopraggiungere di un veicolo avente diritto di precedenza, ma che viaggiava a velocità elevatissima (tale da consentirgli di percorrere 100 metri in circa 3 secondi), in orario notturno e – stando alle dichiarazioni del predetto testimone oculare – a fari spenti, con ciò che ne consegue in termini di visibilità del suo arrivo da parte dell’imputata.
3.2. Venendo alla seconda questione, deve osservarsi che quanto appena osservato assume ancor maggiore rilievo ove si consideri che la Corte di merito ha del tutto omesso di motivare in ordine alle dichiarazioni del teste operante C. (pur richiamate nei motivi d’appello per come riportati nella stessa sentenza) circa la visibilità notturna al momento del sinistro e l’illuminazione pubblica presente sul posto; se infatti è vero che la Corte territoriale ha fatto richiamo ai rilievi eseguiti dal Carabinieri nell’immediatezza, è parimenti vero che l’app. C. , intervenuto sul luogo dell’incidente subito dopo il verificarsi di esso, definì in sede testimoniale come ‘scarse’ la visibilità e l’illuminazione pubblica del luogo; al riguardo, sarebbe stato necessaria una più approfondita valutazione, atteso che anche tale elemento riguardante lo stato dei luoghi assume una potenziale incidenza sulla concreta possibilità, per la P. , di avvistare il repentino sopraggiungere di un motociclo a forte velocità e, a quanto pare, con i fari spenti.
3.3. Tanto premesso, è ormai cons. to l’orientamento della Corte di legittimità secondo il quale il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità (in epoca recente, per tutte, vds. Sez. 4, n. 8090 del 15/11/2013, dep. 2014, Saporito, Rv. 259277). Tale prevedibilità dev’essere però valutata non già in astratto, ma in concreto: ad affermarlo è proprio la giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata (Sez. 4, n. 46741 del 08/10/2009, Minunno, Rv. 245663), riferita a un caso in cui è stata ritenuta in concreto imprevedibile per l’imputato – che, a bordo di una autovettura, percorreva una strada statale, e stava avviando manovra di svolta a sinistra per accedere ad un’area di servizio che si trovava sul lato opposto della carreggiata, profittando del fatto che alcuni veicoli, tra cui in particolare un autoarticolato, che procedevano nell’opposto senso di marcia, si erano fermati per favorire la manovra – la condotta della parte lesa, una ciclomotorista che aveva sorpassato scorrettamente sulla destra la colonna ferma di autoveicoli, omettendo inoltre di fermarsi o rallentare in prossimità dell’ingresso all’impianto di distribuzione di carburanti.
Il criterio della prevedibilità in concreto si sostanzia nell’assunto che la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma anche va ragguagliata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, non massimata sul punto).
Inoltre, considerato che le regole di cautela che nel caso di specie si assumono violate si presentano come regole ‘elastiche’, che indicano, cioè, un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, è comunque necessario che l’imputazione soggettiva dell’evento avvenga attraverso un apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico da parte dall’agente modello (Sez. 4, n. 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 237050).
3.4. Tali richiami giurisprudenziali, riportati al caso che ne occupa, pongono il problema della concreta prevedibilità ed evitabilità nelle condizioni date, da parte della ricorrente, dello sviluppo antigiuridico della sua condotta, anche in considerazione del fatto che la valutazione in concreto della prevedibilità non può, nella specie, prescindere dal fatto, pacificamente acclarato, che la vittima percorreva in orario notturno un’arteria urbana a 100-110 chilometri l’ora: ossia a una velocità più che doppia rispetto a quella consentita e sicuramente tale da rendere meno prevedibile, per gli altri utenti della strada, l’avvicinamento di un motociclo; ciò, com’è agevole comprendere, assumerebbe rilievo ancor più evidente nel caso in cui fosse accertato che il Q. procedeva a fari spenti e che la visibilità era effettivamente scarsa.
Si manifesta perciò l’esigenza che, nella ricostruzione dell’accaduto, sia compiutamente chiarito l’aspetto della concreta possibilità, per la P. , di avvistare il sopraggiungere del motociclo condotto dal Q. , alla luce delle circostanze emerse dalle deposizioni dei testi Pa. e C. , in ordine alle quali la motivazione resa dalla Corte leccese si appalesa carente.
Tali le ragioni per le quali la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce per nuovo giudizio, nel quale dovrà procedersi a nuova valutazione dei punti sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Lecce
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