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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 22 luglio 2013, n. 31356

Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza in data 21/24.12.2010, il tribunale di Camerino ha assolto A..M. dal reato di omicidio colposo in danno di F..S. (deceduto in data (OMISSIS)) ascritto all’imputato in qualità di amministratore unico della ditta Lean Steak Farm e proprietario di un immobile sito nel territorio del comune di (omissis) , annesso all’azienda agraria dallo stesso imputato gestita in loco.
Al M. era stata originariamente contestata la violazione, oltre ai tradizionali parametri della colpa generica, delle norme di colpa specifica analiticamente indicate nel capo d’imputazione (con riferimento anche alla normativa di prevenzione antincendi), per avere il M. ospitato lo S. presso l’indicato immobile di sua proprietà, trascurando di ottemperare all’obbligo di sgombro dello stesso in conformità al corrispondente provvedimento sindacale adottato, sin dal 1998 (e mai revocato), sul presupposto delle condizioni di precarietà e di parziale inagibilità del bene, nel senso che lo stesso doveva considerarsi totalmente inabitabile e accessibile unicamente allo scopo di effettuare sopralluoghi, verifiche o al fine di iniziare opere di ristrutturazione.
In particolare, lo S. era nella specie deceduto per effetto delle gravi lesioni allo stesso provocate dal crollo di detto immobile originato dall’esplosione causata da una fuga di gas verificatasi all’interno dell’edificio e dovuta, secondo le indicazioni di cui al capo d’imputazione, allo stato di fatiscenza dell’impianto di riscaldamento alimentato da un serbatoio di GPL fuori terra posto all’esterno dell’immobile, e collegato all’impianto interno mediante una tubazione di adduzione sostituita pochi mesi prima dell’evento in esame.
Secondo l’accusa sollevata nei confronti dell’imputato, quest’ultimo avrebbe omesso di dotare l’impianto di riscaldamento dell’acqua (di cui l’edificio era provvisto) di aperture dirette verso l’esterno, omettendo altresì di verificare la conformità dell’intero impianto alle previste norme di sicurezza, con particolare riguardo allo stato e alla capacità di tenuta delle tubazioni.
Nel dettaglio, l’impianto interno risultava contrario alle norme di sicurezza in quanto i locali di installazione e utilizzo delle apparecchiature (eccezion fatta per la caldaia murale) risultavano sprovvisti di aperture di ventilazione, in basso, e di aerazione, in alto; non risultava il verbale di verifica dell’impianto in conformità alle norme di sicurezza previste; la lunghezza dei tubi flessibili risultava di gran lunga maggiore (circa il metri complessivi) rispetto alla massima lunghezza prevista dalle norme cautelari (1,5 metri); le stufe catalitiche rinvenute all’interno dell’immobile risultavano collegate all’impianto fisso di adduzione del gas, venendo quindi utilizzate in modo difforme dalle istruzioni previste dal costruttore e dalle norme di sicurezza.
Nel giorno del suo decesso, lo S. , mentre si apprestava a fare una doccia al piano terra dell’edificio (tanto che, dopo l’esplosione, veniva rinvenuto il rubinetto dell’acqua calda girato nel senso dell’apertura, mentre quello dell’acqua fredda era in posizione di chiusura), veniva travolto dalle macerie delle strutture del piano superiore dell’immobile a seguito del relativo crollo causato dall’esplosione sopra descritta.
Sulla base della ricostruzione dei fatti contenuta nel capo d’accusa, nel caso di specie si era ragionevolmente verificata una dispersione in corrispondenza del piano superiore dell’edificio che aveva determinato, dopo un certo periodo di tempo, una miscela infiammabile gas-aria che, quantomeno nella zona di innesco (ragionevolmente causato da un’apparecchiatura elettrica con resistenza a vista lasciata accesa nel locale adiacente la cucinai ovvero dall’avvio del motore del frigorifero posto all’interno del locale cucina), aveva raggiunto una concentrazione almeno pari al limite inferiore del campo d’infiammabilità del GPL; e tanto, a causa della mancanza di aperture di ventilazione ed aerazione tali da non consentire di evitare (o più verosimilmente di limitare) la formazione della miscela infiammabile.
Con la decisione assunta in prime cure, il tribunale di Camerino ha ritenuto insussistente la prova certa del nesso di causalità tra le omissioni contestate all’imputato e il decesso dello S. , non essendo possibile escludere che l’esplosione si sarebbe comunque verificata una volta ipotizzate come compiute, sul piano controfattuale, tutte le azioni individuate come dovute dall’imputato, atteso che non era stato possibile identificare con certezza la causa della dispersione del gas GPL, in ipotesi ascrivibile anche ad eventuali azioni involontarie dell’altro abitante dell’immobile (tale D.D. ).
Con sentenza resa in data 3.4.2012, la corte d’appello di Ancona, su impugnazione delle parti civili (poi rinunciata) e del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Camerino, ha integralmente riformato la sentenza di primo grado, pervenendo all’accertamento della piena responsabilità penale dell’imputato condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione.
Nella specie, la corte territoriale ha rilevato come il rapporto causale tra la condotta dell’imputato e il decesso dello S. fosse agevolmente ricostruibile attraverso la considerazione della consentita utilizzazione di un fabbricato in cui era installato un impianto non conforme alle norme cautelari, omettendo al contempo di intervenire al fine di sanare le carenze di detto impianto.
In particolare, le spiegazioni alternative ipotizzate dal primo giudice (quanto alle eventuali azioni involontarie dell’altro abitante dell’immobile) dovevano riguardarsi alla stregua di asserzioni meramente congetturali, solo astrattamente possibili e prive di riscontri probatori suscettibili di fondarne una prospettazione in termini di concreta plausibilità logica, in ogni caso tali da non escludere la persistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo verificatosi, tenuto conto della specifica posizione di garanzia del M. , tale da imporre di ravvisare una responsabilità dello stesso per non aver provveduto all’adozione di idonei dispositivi volti a impedire fughe di gas in assenza di fiamma, e per non aver adeguato l’impianto di riscaldamento al fine di escludere il possibile collegamento di stufe catalitiche mediante tubi flessibili generatori di eventuali rughe di gas.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi d’impugnazione.
2.1. – Con il primo motivo il ricorrente si duole della mancanza, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione della sentenza d’appello, per avere la corte territoriale omesso di ascrivere alcun rilievo alla circostanza che l’immobile in esame era stato dall’imputato affidato allo S. con piena libertà e autonomia di gestione, come dimostrato dal fatto che la sostituzione della caldaia all’interno dell’immobile de quo era stata realizzata proprio su impulso dello stesso S. , che aveva pertanto assunto, per conto dell’imputato, il compito di seguire sotto ogni aspetto i lavori di ristrutturazione (anche) dell’immobile in esame (oltre all’attività aziendale dello stesso imputato), comprensivi degli interventi sull’impianto di deposito, adduzione e utilizzazione del gas GPL presente nell’immobile.
In ogni caso, tanto lo S. quanto l’imputato si trovavano nelle condizioni di poter ragionevolmente confidare nella piena adeguatezza e sicurezza dell’impianto di riscaldamento, essendo emerso, dalle testimonianze assunte nel corso del procedimento, che la società Idrotek (che aveva provveduto, su incarico dello S. alla sostituzione della caldaia) aveva rilasciato due distinte dichiarazioni di conformità dell’impianto a regola d’arte, tanto in occasione dell’installazione, del collaudo e della prima accensione della nuova caldaia, quanto in occasione del successivo lavoro di sostituzione del tubo di adduzione del gas dal serbatoio esterno all’abitazione, con la conseguenza che nessun ulteriore adempimento poteva ritenersi esigibile dall’imputato, avuto altresì riguardo all’assoluta imprevedibilità del comportamento dell’altro occupante dell’immobile nell’abusivo allacciamento di altre stufe all’impianto del gas.
2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 40 c.p. e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale addebitato la fuga di gas alla carenza dell’impianto di riscaldamento dell’immobile de quo, escludendo l’incidenza di eventuali fattori causali alternativi idonei a escludere la riconducibilità dell’evento lesivo verificatosi alle presunte carenze predetto impianto; e tanto, in conformità alle asserzioni fatte proprie dalla relazione dello stesso perito nominato dal giudice di primo grado, che ha riconosciuto di non poter escludere il rilievo causale di eventuali comportamenti imprudenti dell’altro abitante dell’edificio, il cui controllo non poteva certamente ritenersi riconducibile all’ambito di esigibilità della condotta dell’imputato.

Considerato in diritto

3. – Entrambi i motivi di ricorso – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati.
Preliminarmente, mette conto di sottolineare come del tutto correttamente la corte territoriale abbia richiamato il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità ai sensi del quale deve ritenersi responsabile a titolo di omicidio colposo il proprietario che abbia ceduto a terzi il godimento di un appartamento dotato di un impianto per il riscaldamento in pessimo stato di manutenzione, qualora l’evento lesivo sia riconducibile al cattivo funzionamento di tale impianto, atteso che il proprietario di un immobile è titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti del cessionario delle facoltà di godimento del bene; posizione di garanzia, in virtù della quale il proprietario è tenuto a consegnare al secondo un impianto di riscaldamento revisionato, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali (cfr. Cass., Sez. 4, n. 34843/2010, Rv. 248351; Cass., Sez. 4, n. 32298/2006, Rv. 235369; Cass., Sez. 4, n. 38818/2005, Rv. 232426).
Nel caso di specie, appare del tutto privo di rilievo l’assunto sostenuto dal ricorrente – secondo cui lo stesso avrebbe trasferito al proprio ospite il compito di assumere in piena autonomia la gestione dei processi di ristrutturazione della propria azienda (comprensivi della ristrutturazione dello stesso immobile abitato) -, stante il carattere meramente assertivo della circostanza, in ogni caso di per sé inidonea a sollevare il proprietario dalla posizione di garanzia allo stesso rigorosamente ascritta dal sistema, in ragione del particolare legame esistente tra la persona del proprietario e il bene su cui incide il relativo potere dominicale (cui risulta indissolubilmente connessa la correlativa responsabilità in ordine ai danni dallo stesso bene provocati a terzi), in assenza (come nella specie) di un formale, chiaro ed inequivoco trasferimento di detta responsabilità in capo ad altro soggetto.
Del tutto privo di rilevanza deve inoltre ritenersi l’assunto del ricorrente in ordine all’inesigibilità del controllo della funzionalità dell’impianto a seguito del rilascio delle dichiarazioni di conformità a regola d’arte ad opera della ditta richiamata in ricorso, atteso che (come evidenziato dalle stesse indicazioni del ricorrente) le ridette dichiarazioni di conformità risultano rilasciate a seguito di interventi eseguiti su parti diverse (o comunque marginali) dell’impianto di riscaldamento, ossia in occasione dell’installazione di una nuova caldaia e del tubo di collegamento dell’impianto al serbatoio esterno del gas, senza che tali interventi avessero mai riguardato direttamente l’impianto di riscaldamento nelle sue diramazioni interne, la relativa struttura e il controllo del relativo stato, con la conseguenza che le dichiarazioni contestualmente rilasciate dal relativo autore non avrebbero potuto legittimamente estendersi alla piena conformità a norma dell’impianto nel suo complesso (mai direttamente revisionato), né avrebbero potuto giustificare alcun fondato e ragionevole affidamento sulla relativa piena funzionalità non immediatamente connessa al controllato funzionamento delle sole nuove parti aggiunte o sostituite.
Ciò premesso, deve ritenersi dotata di logica coerenza e di conseguente linearità argomentativa l’asserzione della corte territoriale nella parte in cui sottolinea come la responsabilità dell’imputato non potesse essere esclusa in ragione della complessità tecnica degli adempimenti necessari a rendere l’impianto adeguato alle prescrizioni di settore, atteso che l’imputato non poteva non essere consapevole della vetustà dell’impianto e della conseguente esistenza di situazioni di rischio che ne potevano conseguire per i soggetti ai quali era stata consentita l’utilizzazione del fabbricato; con la conseguente esigibilità dell’obbligo dell’imputato di rendere l’impianto conforme alla normativa, ovvero di impedire, in presenza delle indicate carenze, l’utilizzazione dell’immobile a terzi; sì che la violazione di tali obblighi è valsa a integrare, in assenza di alcun ragionevole dubbio, la colpa idonea a integrare gli estremi del contestato delitto (v. fl. 25 della sentenza d’appello).
Quanto all’eventuale incidenza causale dell’imprudente intervento dell’altro abitante dell’immobile nella determinazione delle condizioni predisponenti la dispersione del gas GPL all’interno del fabbricato, vale evidenziare come del tutto logicamente (e con motivazione immune da censure d’indole logico-giuridica) la corte territoriale abbia ascritto a tale prospettazione il ruolo di una mera ipotesi congetturale, priva di riscontri probatori idonei a conferirne una concreta effettività, rilevando come il processo di ricostruzione dei nessi causali nella specie in azione dovesse muovere dall’individuazione degli elementi probatori idonei a conferire rilievo all’ipotesi concreta dotata della più elevata probabilità logica di verificazione (prossima alla certezza), nell’occasione individuata attraverso la corroborazione dell’ipotesi accusatoria prospettata con le caratteristiche dell’impianto di riscaldamento in esame in connessione con il tipo di evento lesivo in concreto verificatosi, in assenza del benché mimmo elemento probatorio di riscontro idoneo a fondare la concreta e ragionevole prospettabilità di fattori causali alternativi.
Sotto altro profilo, la stessa corte territoriale ha del tutto coerentemente sottolineato come non fosse in ogni caso possibile escludere la persistente del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo verificatosi, tenuto conto degli specifici contenuti riconducibili alla posizione di garanzia del M. , tali da imporre di ravvisare una responsabilità dello stesso per non aver provveduto all’adozione di idonei dispositivi volti a impedire fughe di gas in assenza di fiamma, e per non aver adeguato l’impianto di riscaldamento al fine di escludere il possibile collegamento di stufe catalitiche mediante tubi flessibili generatori di eventuali fughe di gas; e tanto al fine di scongiurare ogni possibile comportamento imprudente, da parte di terzi frequentatori dell’immobile, potenzialmente idoneo, sul piano causale, a determinare la verificazione di eventi lesivi del tipo di quelli oggetto dell’odierno esame.
4 – Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dal ricorrente segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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