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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 22 luglio 2013, n. 31290

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHI Luisa – Presidente –

Dott. IZZO Fausto – rel. Consigliere –

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E.G., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 15/5/2012 (n. 1474/11);

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Fausto Izzo;

udite le conclusioni del Procuratore Generale Dr. Gaeta Pietro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Messina con sentenza emessa in data 2/7/2010 confermava la sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Messina, emessa in sede di rito abbreviato, con la quale E. G. era stato condannato alla pena di anni 4 di reclusione per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 56 e 609 quater c.p., per aver compiuto condotte idonee e dirette in modo non equivoco a compiere atti sessuali con i minori L.P.D.R., P. S., U.C., L.M.; atti consistiti nell’avvicinare i minori e richiedere agli stessi il compimento di atti sessuali; nonchè per il delitto di cui all’art. 582, per avere provocato uno stato d’ansia reattivo al L.P.; nonchè, ancora, per il delitto di violazione degli obblighi della sorveglianza speciale (acc. in (OMISSIS)).

2. A seguito della proposizione di ricorso per cassazione, la 3^ sezione di questa Corte, con sentenza del 21/9/2011, annullava con rinvio il provvedimento impugnato. Osservava la Corte che i giudici di merito, nel pronunciare la condanna, avevano aderito a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in caso di violenza sessuale su minori, il bene giuridico tutelato non è la libertà di autodeterminazione, poichè il minore non è in grado di esprimere un valido consenso, ma l’integrità psico-fisica, che nel caso di specie era stata lesa dalle condotte dell’imputato, dagli approcci pesanti e insistenti, che i giudici avevano valutato idonei a realizzare l’offesa al bene giuridico, non potendosi parlare di “mere molestie a sfondo sessuale”. In particolare il delitto era stato ritenuto configurabile anche in assenza di un contatto fisico tra imputato e persona offesa, sempre che la condotta fosse oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale e denotasse il requisito soggettivo della intenzionalità.

Ciò premesso, riteneva la Corte che se è vero che il delitto di atti sessuali con minorenne si configura a prescindere o meno dal consenso della vittima, non soltanto perchè la violenza è presunta dalla legge, ma anche perchè la persona offesa è considerata immatura ed incapace di disporre consapevolmente del proprio corpo a fini sessuali (cfr. Sez. 3, n. 27588 del 15/6/2010, Rv. 248107), è anche vero che ai fini dell’integrazione del tentativo è necessaria vi sia l’intenzione dell’agente di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali; sia, sul piano oggettivo, l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, anche, eventualmente, ma non necessariamente, attraverso contatti fisici, sia pure di tipo superficiale o fugace, non indirizzati verso zone c.d. erogene (Cfr. Sez. 3, n. 21840 del 17/2/2011, L, Rv. 249993).

Nel caso oggetto di giudizio, quanto ai requisiti della condotta, in particolare la sua idoneità e non equivocità, i giudici di merito non avevano fornito una motivazione sufficiente in ordine agli specifici comportamenti ascrivibili all’imputato, nel momento in cui ne avevano affermato la responsabilità in relazione ai reati come contestati, limitandosi a citare solo lo strattona mento posto in essere dall’ E. nei confronti del piccolo L.. Pertanto, rilevato il vizio di motivazione, annullava con rinvio la sentenza impugnata, invitando il giudice di merito a valutare l’alternativa della sussistenza del tentativo di violenza sessuale o di mere molestie.

3. Con sentenza resa all’udienza del 15/5/2012 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la condanna irrogata in primo grado.

Osservava la Corte di merito che:

– dalle querele presentate, dalle indagini svolte e dalle deposizioni raccolte era emerso che in più occasioni l’imputato aveva adescato minori abitanti nel suo quartiere, invitandoli a seguirlo in ascensore oppure nel parco o in casa, pronunciando poi frasi del tipo: “ti faccio la terapia”; “ti metto una cosa lunga dietro”, invitandoli inoltre a praticare sesso orale. Tutto ciò accompagnando le parole con gesti concreti, quali l’appostamento nei luoghi di frequentazione dei minori; in un caso, lo strattonamento per il braccio; in talune circostanze fino ad inginocchiarsi di fronte al minore. – tali condotte, per la loro invasività ed idoneità a compromettere lo sviluppo psicofisico dei minori, non potevano essere qualificate mere molestie, ma debordavano nel tentativo di violenza sessuale che, secondo la più recente giurisprudenza, prescindeva dal contatto fisico.

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente, lamentando:

4.1. la violazione di legge, per non essere stata la sentenza notificata all’effettivo suo difensore, Avv. Alberto Calzavara, ma all’Avv. Fortunatina Giufrè.

4.2. la erronea applicazione della legge e la insufficienza della motivazione laddove al corte aveva pronunciato la condanna senza che fosse provata la idoneità delle condotte a ledere la sfera sessuale fisica delle vittime; invero nessun contatto corporeo vi era stato tra le parti, nè era stato provato che le condotte poste in esser avrebbero potuto determinare il consenso delle vittime.

4.3. il difetto di motivazione sul mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. In ordine alla censura di natura processuale formulata, va premesso che nel proporre la doglianza l’imputato non ha documentato la circostanza di avere nominato l’Avv. Alberto Calzavara come suo unico difensore. Pertanto il ricorso, sul punto, è privo di autosufficienza.

In ogni caso, va ricordato che la mancata notifica dell’avviso di deposito della sentenza al difensore, comporta solo la inefficacia per quest’ultimo della decorrenza del termine per impugnazione (cfr.

Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22504 del 23/05/2006 Cc. (dep. 27/06/2006), Rv. 234709). Nel caso di specie, però, neanche tale effetto si è verificato in quanto, non essendo l’Avv. Calzavara iscritto nell’Albo Speciale della Corte di Cassazione, non era legittimato a proporre ricorso (art. 613 c.p.p.). Peraltro, ad ulteriore supporto dell’infondatezza della doglianza, va rammentato che questa Corte di legittimità ha statuito che l’omessa notificazione dell’avviso di deposito della sentenza a uno dei difensori è sanata dalla circostanza che l’imputato proponga personalmente impugnazione o che a tanto provveda l’altro difensore, in quanto il diritto dell’imputato ad impugnare ha natura unitaria e fa capo esclusivamente all’interessato, anche se al difensore è attribuita facoltà di esercitarlo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2613 del 20/12/2004 Ud. (dep. 27/01/2005), Rv. 230534). Nel caso che ci occupa l’imputato ha personalmente proposto ricorso, mentre non avrebbe potuto provvedervi l’Avv. Calzavara, in quanto non iscritto nell’Albo Speciale.

3.2. Infondata è anche la censura che lamenta la assenza di tipicità del fatto commesso.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affrontato l’argomento della differenza tra il delitto di violenza sessuale e la contravvenzione di molestie, specificando che la nozione di “atti sessuali”, cui fa riferimento l’art. 609 bis c.p., poichè nasce dalla somma delle due nozioni di congiunzione carnale e di atti di libidine che la legislazione previgente considerava e disciplinava separatamente, non può non comportare un coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2941 del 28/09/1999 Cc. (dep. 03/11/1999), Rv. 215100).

Si è dedotto da ciò che non possono qualificarsi come “atti sessuali”, nel senso richiesto dalla norma incriminatrice, tutti quegli atti, i quali, pur essendo espressivi di concupiscenza sessuale, siano però inidonei (come nel caso dell’esibizionismo, dell’autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o del “voyeurismo”), ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima (cfr. anche, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23094 del 11/05/2011 Ud. (dep. 08/06/2011), Rv. 250654; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7365 del 18/01/2012 Ud. (dep. 24/02/2012), Rv. 252132).

Una volta ritenuta la “corporeità” un elemento necessario per caratterizzare un atto come “sessuale”, va da sè che non sono tipiche tutte quelle condotte che non coinvolgono il corpo della vittima, in quanto non costretta a “compiere” o a “subire” gli atti sessuali. In applicazione di tale principio, coerentemente è stata esclusa la configurabilità della tentata violenza sessuale con riguardo ad un fatto di masturbazione dinanzi ad una minore (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23094 del 11/05/2011 Ud. (dep. 08/06/2011), Rv. 250654).

3.3. Ciò detto, nel caso oggetto di giudizio non va dimenticato che i delitti per i quali l’ E. è stato condannato non sono stati consumati, ma sono rimasti al livello di tentativo.

Pertanto, ciò che la corte di merito era chiamata a valutare come provata, non era la corporeità degli atti commessi dall’imputato, ma la loro idoneità ed univocità a determinare la invasione della sfera corporea delle vittime, attraverso un giudizio ex ante in relazione al caso concreto.

Orbene, come evidenziato dalla corte di merito, la condotta posta in essere dall’ E., di volta in volta, in danno dei minori, è stata costituita, come già ricordato, da inviti a seguirlo in ascensore oppure nel parco o in casa, pronunciando poi frasi quali:

“ti faccio la terapia”; “ti metto una cosa lunga dietro”; nonchè inviti a praticare sesso orale. Tutto ciò accompagnando le parole con gesti concreti, quali l’appostamento nei luoghi di frequentazione dei minori; in un caso, con lo strattonamento per il braccio.

La particolare invasività della condotta, il vero e proprio “accerchiamento” della vittima, correttamente è stata ritenuta dal giudice di merito, con valutazione ex ante, idonea alla costrizione ovvero a carpire il consenso agli atti sessuali invocati. Quanto alla univocità della condotta, essa emerge oggettivamente non solo dal tenore non equivoco delle frasi pronunciate, ma anche dal fatto che gli inviti a consumare gli atti sessuali sono stati accompagnati dalla indicazione di luoghi di consumazione in grado di garantire una sfera di intimità (casa, ascensore, parco).

3.4. Infine, in ordine alla invocata attenuante della minore gravità del fatto, con coerente motivazione la corte di merito ne ha escluso la ricorrenza, considerato che le condotte sono state poste in essere in danno di minori ed in modo reiterato.

Non va, inoltre, obliterato l’insegnamento di questa corte, secondo cui ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel tentativo di violenza sessuale non si deve tenere conto dell’azione effettivamente compiuta dall’agente, ma di quella che lo stesso aveva intenzione di porre in essere e che non è stata realizzata per cause indipendenti dalla sua volontà (Cass. Sez. 3, Sentenza n.44416 del 09/11/2011 Ud. (dep. 30/11/2011), Rv. 251216).

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2013.

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