cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 13 luglio 2015, n. 29916

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente

Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere

Dott. ZOSO Liana Maria Tere – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 438/2014 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del 11/11/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. M. Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all’articolo 186 C.d.S., lettera b), tassi alcolemici: 1,01 g/l e 1,03 g/l; condanna alla pena sospesa di mesi tre di arresto e 1500 euro di ammenda e applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di un anno.

Con il ricorso si duole della quantificazione della pena principale e della sanzione amministrativa accessoria, nonche’ del diniego delle attenuanti generiche e della mancata sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato nei soli termini di cui infra.

Sulla pena principale, corrispondendo alla doglianza, la Corte di merito ha giustificato la misura di quella irrogata valorizzando la gravita’ del fatto e un precedente specifico riportato sul certificato penale. Analogamente, e’ stata giustificata la misura della sanzione amministrativa. Sono valutazioni che il giudice ha effettuato motivando in modo non illogico, e qui non possono essere censurate.

Lo stesso deve dirsi quanto al diniego delle attenuanti generiche, giustificato in ragione della reiterazione della condotta, senza che tale circostanza potesse essere neutralizzata considerando la giovane eta’ e il riferito comportamento collaborante. Del resto, vale il principio secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (da ultimo, Sezione 3 , 4 dicembre 2014, M. ed altro). Detto altrimenti, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, e’ sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo, non e’ censurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato. Cio’ vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non e’ tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarita’ del caso, e’ sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (Sezione 3 , 8 ottobre 2009, Esposito).

Va soggiunto che la determinazione giudiziale regge al vaglio di legittimita’ anche laddove in ipotesi il precedente – come sostenuto in ricorso – fosse riferito a fatto poi depenalizzato. A tanto voler concedere la questione e’ stata affrontata dal giudicante, vale il principio secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena e quindi anche ai fini della concessione delle generiche, il giudice deve attenersi al disposto dell’articolo 133 c.p., che impone di tenere conto della gravita’ del reato e della capacita’ a delinquere del colpevole: a tale ultimo riguardo, assumendo rilievo, per espresso dettato dell’articolo 133, comma 2, n. 2, i precedenti penali e giudiziari e, in genere, la condotta e la vita del reo antecedenti al reato. Ne deriva che anche una condanna per “reato depenalizzato” puo’ essere utilizzata dal giudice nella determinazione della pena, in quanto fatto significativo della personalita’ del reo e della sua capacita’ a delinquere; cosi’ come di tale condanna puo’ tenersi conto ai fini della sostituzione delle pene detentive brevi, la cui determinazione e’ rimessa, giusta il disposto della Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 58, ad una valutazione discrezionale che deve essere condotta proprio in osservanza dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. (cfr. Sezione 4 , 9 dicembre 2010, Sgura).

Quanto al motivo sulla concessione del lavoro di pubblica utilita’, la sentenza merita invece censura.

In effetti, occorre partire dal rilievo che, in tema di trattamento sanzionatorio della contravvenzione di guida sotto l’influenza dell’alcool, il beneficio della sospensione condizionale della pena e’ incompatibile con la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria inflitta con il lavoro di pubblica utilita’ (articolo 186 C.d.S., comma 9 bis), non potendosi pervenire all’applicazione di una sanzione sostitutiva a sua volta condizionalmente sospesa.

Cio’ comporta che la richiesta della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ avanzata con i motivi di appello necessita della richiesta di rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena eventualmente concesso in precedenza, stante la incompatibilita’ tra i due istituti (Sezione 4 , 19 novembre 2013, Caputo).

In proposito, approfondendosi la questione e proprio in linea con la rilevata incompatibilita’ tra i due istituti, si e’ ulteriormente precisato che, allorquando l’imputato abbia in primo grado ottenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, l’eventuale sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ richiesta in appello comporta per il condannato una rinuncia implicita al beneficio medesimo, proprio stante la rilevata incompatibilita’ tra i due istituti (Sezione 4 , 27 gennaio 2015, Avondo).

Ne deriva, in sostanza, che l’introduzione in appello della richiesta di sostituzione con il lavoro di pubblica utilita’, doveva intendersi come di implicita rinuncia all’alternativo beneficio della sospensione condizionale.

Ha quindi errato la Corte di merito nella determinazione reiettiva della richiesta. Il giudice di appello sara’ ovviamente libera nel merito dell’apprezzamento in ordine alla accoglibilita’ in concreto della richiesta.

Si impone l’annullamento solo limitatamente a tale ultimo profilo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Cagliari, altra Sezione; rigetta il ricorso nel resto.

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