CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza  1 aprile 2014, n. 14992

Fatto e diritto

1. B.S., tramite i fiduciari, propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania con la quale è stata data conferma integrale alla condanna alla pena di giustizia resa in primo grado dal Tribunale di Siracusa ai danni del ricorrente, ritenuto responsabile del reato di evasione.
2. In fatto, ristretto agli arresti domiciliari ma autorizzato a svolgere attività lavorativa dalle 18 alle due di ogni giorno, il B., in esito ad un controllo, è stato rivenuto sul luogo ove prestava la detta attività autorizzata ma in un orario antecedente quello della autorizzazione stessa (le 17,30 piuttosto che le 18).
3. Due i motivi.
3.1 Con il primo si lamenta violazione dell’art 385 cp. Il fatto più che dare luogo ad una ipotesi di evasione, concretava una trasgressione agli obblighi imposti con la misura cautelare domiciliare, da sanzionare con la revoca della misura ex art 276 cpp o violazione del disposto di cui al’art 650 cp. Il ricorrente, è stato infatti rinvenuto presso il luogo di applicazione della misura, indicato in via sostitutiva rispetto all’abituale momento di custodia, in ragione della resa autorizzazione lavorativa. 3.2 Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata in punto alle generiche, denegate. La decisione della Corte territoriale non avrebbe in alcun modo considerato ontologicamente la condotta (la violazione in funzione dell’esercizio dell’attività lavorativa) e si fonderebbe su considerazioni assolutamente illogiche ( il dolo espresso e non meglio precisato nella consumazione delittuosa; la pendenza giudiziaria tale da giustificare il giudizio negativo sulla personalità, per forza di cose immanente nell’evasione, l’insofferenza agli obblighi prescritti dalla condizione cautelare).
4. Il ricorso è infondato avuto riguardo ad entrambi i motivi di ricorso.
5. Va ricordato che la misura cautelare domiciliare è una misura coercitiva inframurale equiparata, a tutti gli effetti, alla custodia in carcere. In ragione di un meno stringente quadro di ragioni socialpreventive, il condannato è ammesso a sopportare in luogo diverso dal carcere, cioè presso la propria abitazione o altre equipollenti strutture, la detenzione ma i limiti, di natura spaziale, motoria e relazionale, imposti con la custodia in carcere allo status libertatis del soggetto condannato sono tuttavia interamente riprodotti nella detenzione domiciliare.
6. In linea di principio, la fattispecie criminosa è integrata da un reato proprio a forma libera, nel senso che il bene giuridico protetto, cioè l’esigenza dell’amministrazione della giustizia di assicurare il costante rispetto delle decisioni giudiziarie limitative della libertà personale, realizzati con gli strumenti della custodia inframurale, può essere offeso con qualsiasi modalità esecutiva e quali che possano essere i motivi che (fatti salvi effettivi e rigorosamente dimostrati stati di necessità o altri eccezionali eventi) inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale ed a sottrarsi alla stessa. Non assumono in conseguenza rilievo alcuno, nella costante esperienza interpretativa di questa Corte, ai fini del perfezionamento del reato, ne’ la durata maggiore o minore del tempo in cui il soggetto si sottrae alla misura domestica, ne’ la distanza maggiore o minore dalla abitazione eletta a sede esecutiva della misura, da cui si accerti essersi costui allontanato.
7. La situazione non muta poi laddove ci si allontani dal luogo di custodia sia esso individuato, come nella specie, in quello di esecuzione dell’attività lavorativa all’uopo preventivamente autorizzata, considerato che, avuto riguardo a siffatta ultima ipotesi, con tale autorizzazione non si ha una sospensione del regime detentivo, ma una semplice sostituzione temporanea del luogo di custodia. In tale quadro va tuttavia rimarcato che l’autorizzazione data a chi si trovi sottoposto agli arresti domiciliari di allontanarsi dal luogo di detenzione (per accudire alle necessarie esigenze di vita quotidiana attraverso l’espletamento dell’attività lavorativa ) trova nei riferimenti cronologici segnati dal Giudice della cautela, ai sensi dell’art 284 comma III cpp, un limite invalicabile in senso temporale essendo i relativi ambiti da rispettare imposti al fine di scongiurare strumentalizzazioni di tale maggiore possibilità di movimento elidendo le possibilità di verifica del rispetto degli obblighi correlati allo stato detentivo.
8. Muovendo da tale imprescindibile chiave di lettura occorre accertare la presenza di condotte concretamente e logisticamente eccedenti detti limite tali da incidere sul rapporto tra il detenuto agli arresti domiciliari e i momenti controllo indefettibilmente correlati al luogo di esecuzione della misura. Ed in questo snodo valutativo si interpone il primo motivo di appello.
8.1 Sostiene il ricorrente che il reato contestato non potrebbe ritenersi configurabile nella specie giacchè, essendo stato rinvenuto il B. presso il luogo di lavoro ed in orario pressochè prossimo a quello della autorizzazione, per questo motivo non sabbe venuta meno la possibilità di verifica demandata agli organi di poliziona chiamati al controllo nel caso di specie. Tralascia tuttavia di considerare che l’orario di riferimento indicato nel relativo provvedimento autorizzativo non è quello di raggiungimento del posto di lavoro bensì quello di allontanamento dal luogo di custodia ordinaria l’abitazione ) ; sino a quel momento il ricorrente non può discrezionalmente allontanarsi dal luogo di custodia senza incorrere nel reato di evasione giacchè, entro quel dato temporale, l’attività di controllo legata al rispetto degli obblighi custodiali è indefettibilmente correlata al detto luogo di esecuzione.
8.2 In tale ottica, non solo assume indifferenza al fine la prossimità tra l’orario del controllo operato presso il luogo di lavoro e quello a partire dal quale il ricorrente avrebbe dovuto ivi recarsi in forza della autorizzazione, ma si rivela altresì fuorviante la stessa prospettazione difensiva con la quale si invoca una sorta di neutralizzazione delle esigenze di verifica legate al rispetto degli obblighi custodiali sul presupposto del rinvenimento del B., all’atto del controllo, presso il luogo lavorativo, temporaneamente sostitutivo, negli obblighi custodiali, al domicilio del ricorrente . E’ piuttosto evidente, infatti, che il ricorrente, in quel momento doveva trovarsi presso la propria abitazione laddove andavano, in quel frangente, espletati i controlli ; per contro la mera evenienza che il controllo nel caso venne effettuato presso il luogo di lavoro non spoglia di oggettività il dato sopra riferito, concretante l’evasione, giacchè, in violazione della autorizzazione il ricorrente pacificamente, non si trovava in quel momento presso la propria abitazione.
Da qui l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
9. Quanto infine alle generiche, rileva la Corte che nella motivazione, tra i diversi spunti argomentativi posti a fondamento della reiezione della relativa richiesta, si fa un coerente e convincente riferimento alla concreta volontà di sottrarsi agli obblighi imposti con la misura cautelare; e nel caso, quale momento idoneo a dettagliare ancora più marcatamente l’elemento soggettivo connotante, nella specie, la condotta tenuta dal ricorrente, appare tanto implicito quanto immediato il riferimento alla autorizzazione a recarsi antecedentemente al lavoro, in precedenza (alla condotta di reato contestata) negata al B. Trattasi, come è di tutta evidenza, di sintomo logico inequivoco della marcata noncuranza, da parte dell’interessato, al rispetto dei limiti sottesi alla autorizzazione ad allontanarsi per recarsi al lavoro, utile a sostenere, anche isolatamente, la decisione di denegare le generiche. Alla reiezione del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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