L’aver scelto una rotta a dir poco azzardata per mere finalità ludiche/spettacolari (il famoso “inchino” davanti all’Isola del Giglio) non fa scattare l’aggravante della colpa cosciente per il comandante della Concordia

Sentenza 19 luglio 2017, n. 35585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – rel. Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS);

2) PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI FIRENZE;

3) PARTE CIVILE (OMISSIS) E (OMISSIS) (gia’ EREDITA’ GIACENTE (OMISSIS));

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 31/05/2016 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dai Consiglieri Dr. MENICHETTI CARLA e Dr. PAVICH GIUSEPPE;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS); per l’annullamento con rinvio, in accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze, che attiene alla colpa con previsione con riferimento al capo A della rubrica, e per il rigetto nel resto del ricorso proposto dal Procuratore Generale; per la dichiarazione di irrevocabilita’ della decisione della Corte d’Appello di Firenze della responsabilita’ del ricorrente per tutti i capi a lui ascritti ex articolo 624 c.p.p.; per l’inammissibilita’ per rinuncia del ricorso proposto dalla parte civile eredita’ giacente (OMISSIS).

Dato atto che all’udienza del 20 aprile 2017 i difensori delle parti civili hanno cosi’ concluso:

– Per le parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore delle parti civili, conclusioni, nota spese ed ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) del foro di COSENZA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA, quale sostituto processuale (come da comunicazione verbale), dell’avv. (OMISSIS), ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di LATINA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di BOLOGNA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), ha depositato nomina a sostituto in udienza, nonche’ conclusioni e nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e quali genitori di (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), ha depositato conclusioni, nota spese, nomina a sostituto processuale e ha chiesto la conferma della sent. della Corte d’Appello di Firenze.

– l’avv. (OMISSIS) per il proprio assistito parte civile (OMISSIS), ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) quale esercente la potesta’ genitoriale di (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per l’INAIL – AVVOCATURA GENERALE l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA – nomina a sostituto depositata in udienza – ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di SASSARI ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di PALERMO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) E (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di BARI ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA ha depositato procura speciale, conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) E (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di GROSSETO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– l’avv. D’AMATO ha dichiarato di revocare la costituzione di parte civile delle seguenti parti civili: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) E (OMISSIS).

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) quali genitori esercenti la potesta’ genitoriale del minore (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) (nomina a sostituto dep. in udienza) ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) E (OMISSIS) rappresentate dai genitori esercenti la potesta’ genitoriale (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv (OMISSIS) del foro di ROMA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di PESARO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) – nomina a sostituto dep. in udienza – ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in sost. dell’avv. (OMISSIS) – nomina a sostituto depositata in udienza – ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di MILANO, dopo averle illustrate svolgendo argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la parte civile (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) DEL FORO DI BIELLA, dopo averle illustrate con argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

– per la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE l’Avv. St. (OMISSIS) per L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dopo averle illustrate svolgendo argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d’Appello di Firenze.

Dato atto che all’udienza del 12 maggio 2017 l’avv. (OMISSIS) ha depositato rinnovo delle conclusioni e nota spese; e che gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato integrazione nota spese;

Dato atto che, per il RESPONSABILE CIVILE (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) si e’ rimesso alla decisione della Corte;

Dato atto che per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di Napoli ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso del P.G. e l’accoglimento del ricorso del proprio assistito evidenziandone i motivi.

Dato, infine, atto che per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) del foro di Napoli, dopo aver illustrato i motivi di ricorso, ha chiesto l’annullamento della impugnata sentenza.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Grosseto in composizione collegiale, con sentenza resa in data 11 febbraio 2015, dichiarava la penale responsabilita’ di (OMISSIS) quale imputato dei reati a lui ascritti ex articolo 40 c.p., comma 2, articolo 61 c.p., n. 3, articolo 113 c.p., articolo 449 c.p., comma 2, in riferimento all’articolo 428 c.p., e articolo 589 c.p., commi 2 e 4, articolo 1122 codice navale (capo A); ex articolo 81 c.p., comma 2 e articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 3, e Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 196, articolo 17, comma 1, lettera a) e b) e articolo 254, (capo B); ex articolo 81 c.p., comma 1 e articolo 591 c.p., comma 1, e articolo 1097 codice navale (capo C). In relazione ai detti reati, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 1122 c.n., contestata in relazione al delitto di naufragio, e quella della colpa cosciente in relazione al delitto di omicidio colposo plurimo ed al delitto di lesioni personali colpose, applicati gli aumenti per l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 3 in relazione al delitto di naufragio, di cui all’articolo 589 c.p., comma 2, nonche’ di cui all’articolo 112 c.p., comma 1, n. 3, in relazione alle contravvenzioni dolose di cui al capo B), unificate le suddette contravvenzioni nel vincolo della continuazione e ritenuto, infine, il concorso formale tra i due reati di cui al capo C), detto Tribunale condannava lo (OMISSIS) alla pena complessiva di anni sedici di reclusione e mesi uno di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali. A titolo di pene accessorie, ai sensi degli articoli 29, 30, 31 e 32 c.p., lo (OMISSIS) veniva dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, interdetto dalla professione di comandante di nave per il periodo di anni cinque nonche’ in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena, ed inoltre, ai sensi dell’articolo 1082 c.n., comma 1, n. 1, articoli 1083, 1103 e 1097 c.n., veniva dichiarato interdetto dal titolo ovvero dalla professione di comandante per mesi quattro.

Seguivano le statuizioni civili: (OMISSIS) e il responsabile civile (OMISSIS) s.p.a. venivano condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni (in molti casi con assegnazione di somme a titolo di provvisionale) in favore delle numerose parti civili meglio specificate in dispositivo (fra cui alcuni Enti esponenziali) e alla rifusione delle spese di giustizia sostenute dalle parti civili stesse.

Avverso detta sentenza veniva proposto appello dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS) nell’interesse dell’imputato (OMISSIS), nonche’ personalmente da quest’ultimo, e veniva altresi’ proposto appello dal Procuratore della Repubblica di Grosseto e da 78 delle parti civili costituite.

La Corte d’appello di Firenze, 1 Sezione Penale, con sentenza resa il 31 maggio 2016, provvedendo sugli appelli, in parziale riforma della suddetta sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Grosseto in composizione collegiale, applicava a (OMISSIS) la pena accessoria dell’interdizione per cinque anni dai titoli professionali marittimi in relazione al delitto di naufragio colposo, confermando nel resto le sanzioni penali a suo carico. Dichiarava inoltre inammissibile l’appello proposto dall’avv. (OMISSIS) nell’interesse dell’imputato.

Quanto alle statuizioni civili, la Corte distrettuale dichiarava non luogo a provvedere in ordine all’istanza di sospensiva delle provvisionali avanzata dal responsabile civile (OMISSIS); revocava le statuizioni civili pronunciate in primo grado in favore di alcune delle parti civili; condannava l’imputato e la societa’ responsabile civile all’esecuzione delle misure di riparazione primaria, complementare e compensativa di cui all’allegato 3, parte sesta, del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, da determinarsi a cura del Ministero dell’Ambiente, condannandoli, in caso di riparazione omessa, incompleta o difforme, al pagamento in favore del predetto Ministero dei costi delle attivita’ necessarie a ottenerne la completa e corretta attuazione; provvedeva inoltre alla rideterminazione delle somme dovute a titolo di risarcimento o di provvisionale nei riguardi di alcune parti civili, confermando nel resto le statuizioni civili di primo grado e condannando imputato e responsabile civile al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio in favore delle parti civili ivi meglio specificate.

SINTETICA RICOSTRUZIONE DEI FATTI:

2. La ricostruzione della vicenda per cui e’ processo, che ci si accinge sinteticamente ad esporre sulla base di quanto ritenuto accertato in fatto dai giudici di merito, e’ il frutto di una complessa attivita’ istruttoria svolta durante il procedimento di primo grado: attivita’ consistita, in primo luogo, nell’espletamento di alcune perizie in sede d’incidente probatorio e, in secondo luogo, nell’assunzione, durante l’istruzione dibattimentale, di un imponente numero di fonti orali di prova, nell’espletamento di ulteriori perizie (trascrizione di intercettazioni, traduzione di documenti, perizia fonica, perizia su resti umani ecc.), nell’acquisizione di documenti e nell’esame dell’imputato: il tutto descritto alle pagine da 51 a 57 della sentenza del Tribunale di Grosseto.

2.1. Oggetto del processo sono gli accadimenti antecedenti, concomitanti e successivi all’impatto fra la nave (OMISSIS) e il fondale roccioso prospiciente (OMISSIS), impatto che cagiono’ l’apertura di una falla di grandi dimensioni sullo scafo della nave e il suo progressivo affondamento sulla fiancata destra.

Nelle ore successive all’impatto, si verificava una condizione di grave emergenza, che rendeva necessaria l’attivazione delle operazioni volte al salvataggio delle oltre 4.000 persone presenti a bordo della nave: operazioni che venivano eseguite nelle condizioni e con le modalita’ che saranno descritte piu’ avanti.

In tale situazione, per ragioni che hanno formato diffusamente oggetto della ricostruzione degli eventi nel corso del giudizio di merito – e alle quali si fara’ richiamo – si verificava il decesso di 32 persone (nella quasi totalita’ per asfissia da annegamento), mentre altre 193 persone riportavano conseguenze lesive.

E’ opportuno premettere che nessuna delle vittime e’ deceduta, e poche di esse hanno riportato lesioni, al momento dell’urto della nave con lo scoglio; i decessi e la maggior parte delle conseguenze lesive si sono verificati essenzialmente nella fase successiva a tale momento.

2.2. Per ragioni di chiarezza espositiva, nonche’ per meglio comprendere gli addebiti mossi al comandante (OMISSIS) in relazione alle diverse fasi dell’episodio, si riassume di seguito la sequenza fattuale, che – e’ bene precisarlo – e’ tratta dalla ricostruzione operata nell’istruzione dibattimentale.

Tale sequenza viene suddivisa in due fasi: la prima, fino all’impatto della (OMISSIS) con uno scoglio prossimo alla costa dell'(OMISSIS) e al conseguente naufragio della nave; la seconda, successiva all’impatto e riferita al verificarsi dell’emergenza a bordo dell’unita’.

IL NAUFRAGIO:

3. Alle ore 19,00 del (OMISSIS), e’ prevista la partenza della Nave (OMISSIS) dal porto di (OMISSIS), per il rientro a (OMISSIS). La rotta e’ originariamente programmata dalla Societa’ di Gestione (OMISSIS) e comunicata all’Autorita’ Marittima: si prevede di tenere una rotta di 302 fino al traverso di (OMISSIS) posizionato sul (OMISSIS), in modo da mantenere una distanza minima dalla costa, nel passaggio tra il suddetto promontorio e l'(OMISSIS), di 3,3 miglia, per poi continuare con rotta 321 sino al canale di (OMISSIS).

3.1. Alle ore 18,27, tuttavia (ossia circa mezz’ora prima della partenza), la rotta programmata viene modificata: cio’ avviene, secondo la ricostruzione degli eventi accolta nel giudizio di merito (pp. 63 e ss. sentenza impugnata; pp. 133 e ss. sentenza di primo grado), su iniziativa del Comandante della nave, (OMISSIS), che chiede all’Ufficiale Cartografo (OMISSIS) di modificare, da un certo punto della navigazione in poi, l’originaria rotta, in modo da poter effettuare un passaggio piu’ ravvicinato al(OMISSIS); su proposta del (OMISSIS), viene concordata una rotta che consenta di passare a circa mezzo miglio dall’isola, ossia piu’ vicini al (OMISSIS) rispetto alla rotta programmata in precedenza, ma in un punto nel quale il fondale e’ sufficientemente profondo. Il motivo del cambio di rotta, secondo i giudici di merito, e’ costituito da un omaggio (il c.d. “inchino”) che lo (OMISSIS) intende fare sia al maitre d’hotel della nave, (OMISSIS), la cui famiglia abita al (OMISSIS), sia al comandante (OMISSIS), in pensione dal 2007 e residente al (OMISSIS), al quale lo (OMISSIS) e’ legato per esserne stato allievo.

3.2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, peraltro, lo (OMISSIS) manifesta in tale occasione il suo intendimento di passare “un po’ piu’ sotto”, indicando sulla carta un punto piu’ a sud verso il quale dirigere la rotta (ossia puntando, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, verso il faro di (OMISSIS), estrema punta meridionale del (OMISSIS): vds. pag. 135 sentenza Tribunale di Grosseto, corredata della carta nautica originale usata dal (OMISSIS)); ma, di fronte alla proposta dell’ufficiale cartografo di tracciare una nuova rotta passando piu’ a sud, il comandante risponde negativamente, preannunciando che si sarebbe personalmente occupato della manovra (cio’ e’ stato ritenuto sulla base delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nella sua deposizione, e in particolare dall’espressione “No, no, poi vado io” che il (OMISSIS) attribuisce allo (OMISSIS) nel riferire il dialogo: p. 135 sentenza di primo grado, p. 64 sentenza impugnata).

3.3. Comunque, quando la nave parte da (OMISSIS), la rotta che viene seguita inizialmente e’ quella originariamente programmata (ossia 302). Il comandante (OMISSIS) prenota la cena e ordina al primo ufficiale di turno in plancia ( (OMISSIS)) di avvisarlo cinque miglia prima dell’arrivo al (OMISSIS); successivamente, dopo aver saputo da (OMISSIS) che la nave sta procedendo alla velocita’ di 16 nodi e che arrivera’ al (OMISSIS) attorno alle 21,30, dispone che la velocita’ venga ridotta, in modo da arrivare al (OMISSIS) attorno alle 21,45 e da poter, nel frattempo, finire la cena.

3.4. Alle ore 21,04, come da istruzioni impartite da (OMISSIS) al (OMISSIS), la velocita’ viene portata a 15,5 nodi e la rotta viene modificata da 302 a 278: in tal modo, la nave punta verso l'(OMISSIS).

Tra le 21,17 e le 21,19, il primo ufficiale (OMISSIS) avvisa (OMISSIS) che la nave si trova a sei miglia di distanza dall’isola; (OMISSIS) pero’ non si presenta subito in plancia, ma vi si reca circa un quarto d’ora dopo (attorno alle ore 21,34), quando la nave dista 2,15 miglia da (OMISSIS) (il punto piu’ vicino del(OMISSIS)) e a 2,54 miglia dalle (OMISSIS).

La velocita’ e’, a quel punto, di 15,4 miglia. E’ necessario tenere presente che la nave, in quel momento, non e’ ancora giunta nel punto (detto will over point) in cui la rotta tracciata da (OMISSIS) (d’intesa con (OMISSIS)) dev’essere ulteriormente modificata mediante un’accostata e portata a 334, in modo da poter procedere parallelamente all’isola alla distanza programmata.

3.5. All’arrivo di (OMISSIS), all’interno della plancia, sono presenti gli ufficiali del turno di guardia 20.00/24.00, ovvero il primo ufficiale (OMISSIS), titolare della guardia (che si trova vicino al radar centrale della console di destra), il secondo ufficiale (OMISSIS), il terzo ufficiale (OMISSIS) e l’allievo ufficiale (OMISSIS), nonche’ il timoniere (OMISSIS), che in quel momento e’ in servizio di vedetta (la navigazione, in quel momento, procede infatti con pilota automatico). Sul ponte di comando sono poi presenti il maÃÆ’®tre (OMISSIS) e l’Hotel director (OMISSIS).

3.6. Poco dopo il suo arrivo in plancia, attorno alle 21,35, (OMISSIS) chiede ad (OMISSIS) a quale velocita’ si stia procedendo (velocita’ che, in quel momento, e’ di 15,5 nodi); dopodiche’ -sebbene egli non abbia ancora assunto formalmente il comando della manovra – impartisce l’ordine di procedere con “timone a mano”, ossia non piu’ con il pilota automatico (pag. 66 sentenza impugnata, pag. 144 sentenza di primo grado); l’ordine, benche’ definito da (OMISSIS) come un semplice “suggerimento” (p. 144 sentenza Trib. Grosseto), viene subito ripetuto da (OMISSIS) e il timoniere (OMISSIS) lascia il suo posto di vedetta (che non viene assunto da nessun altro) e si porta al timone.

3.7. Da quel momento in poi, sebbene (OMISSIS) non abbia formalizzato l’assunzione del comando della manovra (del quale e’ ancora formalmente titolare l’ (OMISSIS), come primo ufficiale di turno), si susseguono gli ordini sulla rotta da assumere: dapprima (OMISSIS) ordina a (OMISSIS) di assumere la rotta 278, quindi la rotta viene modificata, stavolta su iniziativa di (OMISSIS), dapprima a 285, poi a 290: a quel punto il will over point non e’ stato ancora raggiunto e la nave e’ in tempo per poter procedere all’accostata ed assumere la rotta di 334.

Poi, alle ore 21:36:38, (OMISSIS) impartisce ad (OMISSIS) l’ordine “Metti un attimo un CPA di zero, cinque”. In concreto, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, con tale ordine si intende fissare un VRM (Variable Range Marker), ossia un raggio d’attenzione da monitorare sul radar, per segnalare ed avere una immediata percezione sullo schermo del radar di ostacoli e bersagli entro il suddetto raggio d’attenzione (nella specie, di 0,5 miglia).

(OMISSIS), ancora formalmente titolare del comando della manovra, esegue l’ordine.

Alle 21:37:47, il timoniere conferma il raggiungimento della rotta 290, ordinata da (OMISSIS) circa un minuto prima.

3.8. Pochi istanti dopo (alle ore 21:37:54), (OMISSIS) telefona al Comandante (OMISSIS), preannunciandogli il passaggio davanti al (OMISSIS) (salvo scoprire, durante la conversazione, che in realta’ (OMISSIS) non e’ al (OMISSIS), ma a (OMISSIS)); nel corso della telefonata, (OMISSIS) pronunzia le seguenti parole: “Va be’; io… anche se passiamo zero-tre, zero-quattro, ci sta acqua la’ sotto, vero- Okay Ho capito, quindi stiamo tranquilli…si’, si’, mo’ faccio tanti fischi e salutiamo a tutti. Va bene. E poi ci sentiamo”.

Da tali frasi i giudici di merito hanno tratto la conclusione che la reale intenzione di (OMISSIS) e’ quella di effettuare un passaggio assai ravvicinato, addirittura a 0,3 o 0,4 miglia dalla costa, e per questo motivo egli si informa se il fondale e’ sufficientemente profondo per far passare la nave.

La conversazione con (OMISSIS) si conclude alle ore 21:38:43.

3.9. Poco dopo (alle 21:39:16), (OMISSIS) richiama ad alta voce l’attenzione della plancia, e quindi anche del Comandante, sul fatto che la navigazione prosegue con la rotta 290, che nel frattempo e’ stata raggiunta.

(OMISSIS) ordina dapprima che si proceda ancora con rotta 290 (“alla via due, nove, zero”); e subito dopo (alle 21:39:17) assume anche formalmente il comando della manovra, divenendone il responsabile ai sensi del Codice della Navigazione, e lo fa pronunziando la frase convenzionale “Master takes the conn”.

A quel punto, il will over point e’ ormai stato raggiunto, ed anzi la rotta della nave – secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito – dovrebbe gia’ essere quella di 334 impostata da (OMISSIS).

3.10. Assunto il comando della manovra a tutti gli effetti, (OMISSIS) ordina procedersi con rotta 300 e dispone che la velocita’ venga portata a 16 nodi.

Alle 21:40:02, (OMISSIS) ordina di assumere la rotta 310 e di proseguire l’accostata in modo assai graduale (“come slowly, slowly to 310… easy”); in tal modo, secondo l’assunto recepito dai giudici di merito, l’elevata velocita’ della nave e l’esigenza di garantire comunque il comfort dei passeggeri comportano che un ampio tratto venga percorso nella direzione originaria, prima che la nave, gradualmente, si porti sulla nuova rotta. Con la prora ancora a 295 e, quindi, senza aver ancora raggiunto la rotta di 310, dopo meno di 50 secondi (alle 21:40:50) (OMISSIS) ordina un nuovo cambio di rotta, stavolta per 325; l’ordine non viene ben compreso dal timoniere, che non parla ne’ capisce l’italiano e ha difficolta’ anche con la lingua inglese, e che ripete 315; poi viene corretto dapprima da (OMISSIS) che ripete 335 (lo stesso (OMISSIS) dichiarera’ di avere consapevolmente dato quest’ordine, nel tentativo di accelerare la correzione di rotta) e di nuovo da (OMISSIS) che ribadisce 325.

Dopodiche’, per quasi due minuti, non vengono impartiti ordini.

3.11. La velocita’ della nave, le caratteristiche dimensionali della stessa e piu’ in generale le leggi fisiche che ne governano i movimenti fanno si’ che la (OMISSIS), prima di poter cambiare rotta, si diriga ancora, rapidamente, verso la costa del (OMISSIS).

Alle ore 21:42:09 (OMISSIS) ordina la prora a 330 ed il timoniere esegue, sempre con angoli di barra bassi; alle ore 21:43:11 il comandante impartisce un nuovo ordine per 335; e, dopo pochi secondi, precisamente alle ore 21:43:36, ordina di mettere la prora a 340. In quel momento, peraltro, la rotta della nave e’ ancora su 326 per effetto del normale ritardo nella risposta ai comandi, per una nave di quelle dimensioni, tenuto conto delle interferenze meteomarine e quale diretta conseguenza dell’ordine di effettuare le manovre molto lentamente, per non turbare il comfort dei passeggeri.

Alle ore 21:43:45 (OMISSIS) ordina una rotta di 350; il timoniere, sulle prime, non comprende l’ordine, impartito in lingua inglese (lingua con la quale, evidentemente, il (OMISSIS) non ha dimestichezza); (OMISSIS), assieme ad (OMISSIS), ripete l’ordine, precisando “Otherwise we go on the rocks” (altrimenti finiamo sugli scogli).

Alle ore 21:43:36 la nave si trova a 0,35 miglia dal basso fondale delle (OMISSIS), ovvero a soli 648 metri, e sta procedendo verso la costa, con direzione pressoche’ tangente alla stessa, a 15,9 nodi di velocita’.

Alle ore 21:44:14 – con la nave che e’ gia’ ad una distanza dalle (OMISSIS) di appena 0,18 miglia, pari a circa 333 metri, e procede a una velocita’ di 16 nodi il Comandante ordina “Starboard 10”, ovvero timone 10 a dritta; alle ore 21:44:18, ormai a circa 0.16 miglia dalle (OMISSIS), cioe’ a soli 296 metri, (OMISSIS) ordina “Starboard 20”; alle 21:44:21 il comandante ordina “Hard Starboard” ovvero tutto a dritta; ma la lentezza con la quale, per le ragioni fisiche gia’ viste, la nave risponde ai comandi fa si’ che la correzione di rotta sia assai piu’ progressiva e ritardata. Nel frattempo, i passeggeri avvertono il violento sbandamento della nave. Inoltre, la manovra repentina porta ad accentuare il movimento di traslazione della poppa verso la costa, in quella che e’ stata definita una sorta di enorme derapata, il cui effetto e’ quello di avvicinare ulteriormente la parte terminale sinistra della nave verso lo scoglio.

Alle ore 21:44:34 – mentre la nave e’ giunta ormai a 0,09 miglia dalle (OMISSIS) (ossia a 166 metri) – (OMISSIS) impartisce l’ordine di timone al centro (Midship). Alle ore 21:44:44 si susseguono gli ordini di accostata a sinistra: dapprima Port 10 (la nave e’ a quel punto a sole 0.073 miglia dalle (OMISSIS), ossia a 135 metri), poi Port 20 (con la nave ormai ad appena 0.067 miglia dalle (OMISSIS), pari a 125 metri).

3.12. A questo punto si verifica, secondo la versione accolta dai giudici di merito, l’errore del timoniere, che non esegue prontamente quanto ordinato in rapida sequenza ed anzi, quando (OMISSIS) ordina in successione di accostare a sinistra (prima di 10, poi di 20), accosta nuovamente a dritta, passando per 10 (alle 21:44:48) sino a circa 20 (alle 21:44:50), come se avesse inteso diritta anziche’ sinistra, per poi autonomamente riportare la barra a sinistra, come ordinato, con un ritardo stimato dai periti in circa 13 secondi.

Alle ore 21:45:05, a una velocita’ di 14,4 nodi e una distanza dalla costa di 0,086 (pari a 160 metri), (OMISSIS) ordina, nell’ultimo tentativo di evitare l’urto, Hard to port, ovvero tutto il timore a sinistra.

3.13. E’ questa la fase in cui (OMISSIS) tenta la cosiddetta manovra a baionetta: una serie di ordini ravvicinati per cercare di contrastare la tendenza della poppa ad allargarsi in direzione della costa, facendo ruotare il timone dapprima al centro e poi, per angoli crescenti, verso sinistra (quello che e’ stato definito come un enorme controsterzo), in modo da allontanare la poppa dal basso fondale al quale essa si sta avvicinando.

3.14. Alle ore 21:45:07, la nave, che (nonostante la manovra disperata) con la prua si sta allontanando dalla costa e con la poppa sta scivolando verso l’isola, ad una distanza di 0.094 miglia (pari a 175 metri) e alla velocita’ di 14,2 nodi, urta con il basso fondale a pochi metri (circa 60 metri) dallo scoglio emerso piu’ vicino, facente parte del gruppo di scogli conosciuto come (OMISSIS).

L’impatto cagiona una deformazione complessiva dello scafo di quasi 53 metri di lunghezza per 7,3 metri di altezza, nel punto piu’ alto, con uno squarcio principale lungo 35,859 metri ed altri cinque minori, in una zona vitale della nave. Quest’ultima, fin da subito, rimane priva di propulsione e quindi ingovernabile, a causa dell’entrata di una quantita’ di acqua talmente ingente da mandare in avaria istantaneamente i motori elettrici principali e tutti i motori diesel dei generatori principali, nonche’, subito dopo, il quadro elettrico principale. Da cio’ deriva, pertanto, dapprima la perdita di galleggiabilita’ e, a seguire, il successivo ingavonamento e arenamento della nave, parzialmente sommersa, sui bassi fondali del (OMISSIS), in prossimita’ del porto (vicino agli scogli della (OMISSIS)).

L’EMERGENZA A BORDO:

4. La lacerazione principale ha interessato i compartimenti stagni dal n. 4 al n. 7 (estremi compresi), mentre una lacerazione minore ha prodotto una via d’acqua nel compartimento n. 8. Soprattutto nei compartimenti 4, 5 e 6 la velocita’ di allagamento e’ risultata altissima. Dopo alcuni secondi, durante i quali la (OMISSIS) si muove per forza d’inerzia accostando verso destra, alle ore 21:45:17 viene a mancare la propulsione e soltanto due secondi dopo si verifica il primo blackout.

4.1. (OMISSIS) impartisce l’ordine di chiudere le porte stagne a poppa (che in realta’ sarebbero risultate gia’ chiuse in quel momento). Indi impartisce, alternandoli, l’ordine “barra al centro”, poi l’ordine “barra a sinistra”, nel tentativo di disincagliare la nave. I timoni, dopo poco, risultano bloccati a seguito della mancanza di alimentazione, come si e’ desunto dall’attivazione degli allarmi di avaria delle pompe timone 1, 3 e 4 (21:46:52). In quel momento, il Comandante ordina di chiamare il nostromo per farlo andare a prua ed (OMISSIS) effettua la chiamata via radio. Lo stesso (OMISSIS) dice ad alta voce di far chiamare il comandante in seconda e comunica, alle 21:47:19, che le porte stagne sono tutte chiuse.

Nel frattempo, l’impatto con il basso fondale scoglioso viene percepito dai passeggeri, molti dei quali sono a cena nelle principali sale ristorante della nave (“Milano” e “Roma”), ed e’ cosi’ forte da provocare una significativa vibrazione e uno sbandamento della nave, tanto che finiscono a terra piatti e stoviglie varie.

La nave comincia a inclinarsi sul lato dritto.

4.2. Alle ore 21:49, vi e’ un colloquio telefonico fra (OMISSIS) e il direttore di macchina, (OMISSIS), il quale informa il comandante sulla gravita’ della situazione, dicendogli che entra molta acqua; in un successivo colloquio telefonico, alle ore 21:51, (OMISSIS) informa (OMISSIS) che non puo’ essere acceso nessun motore e che il quadro elettrico e’ allagato. Non appena il direttore di macchina informa il comandante che non e’ possibile entrare in macchina dal lato dritto e che l’acqua e’ arrivata fino all’officina, (OMISSIS) gli chiede “Allora stiamo andando a fondo, non ho capito-“, ottenendone una conferma da (OMISSIS). Allorche’ (OMISSIS) chiede al direttore se la nave puo’ partire o meno, (OMISSIS) risponde che la nave non puo’ partire; (OMISSIS) allora conclude: “Va buo, quando arriviamo sui 60 diamo fondo all’ancora, va”.

4.3. Nonostante sia stato messo a parte della presenza di una falla imponente, (OMISSIS), secondo la ricostruzione operata nel giudizio di merito, non inoltra alcuna comunicazione alla Direzione Marittima di (OMISSIS). Si mette invece in contatto telefonico con (OMISSIS), FCC (sigla che sta per “Fleet Crisis Coordinatori”, ossia capo dell’unita’ di crisi della flotta) della (OMISSIS), e gli comunica di avere urtato con la poppa su un basso fondale, su quello che egli definisce un “piccolo scoglietto” (p. 86 sentenza impugnata); gli segnala inoltre che la nave e’ in black out e che egli sta dando fondo a un’ancora. Nel che gli avrebbe dato il comandante (OMISSIS) sulla possibilita’ di avvicinarsi alla costa senza pericolo.

4.4. Nel frattempo arrivano in plancia informazioni ancora piu’ preoccupanti: dapprima (alle 21:58) il comandante in seconda (OMISSIS) informa l’altro comandante in seconda, (OMISSIS), che non e’ possibile far partire le pompe perche’ sono sott’acqua; poi, ricevuta dal nostromo (OMISSIS) la segnalazione che “DG 1, 2 e 3 sono allagati”, segnala a (OMISSIS) che l’acqua continua a salire nei pressi del motore.

Alle 22:00 (OMISSIS), che e’ sceso in sala motori per verificare la situazione, si mette in contatto via radio con la plancia comunicando “Locali PEM allagati e DG1, DG2, DG3 allagati” e ipotizzando che “Saranno almeno tre compartimenti allagati”. Indi si sposta verso poppa estrema per cercare di capire da dove arriva l’acqua.

Secondo la Corte di merito, poiche’ i locali PEM e i DG 1, 2 e 3 riguardavano due compartimenti diversi (rispettivamente il 5 e il 7), con questa informazione la plancia viene di fatto informata che almeno due compartimenti sono gia’ interessati dall’allagamento.

Dopo la telefonata con (OMISSIS), (OMISSIS) dice ad (OMISSIS) di rispondere alla capitaneria di porto di (OMISSIS) che c’e’ stato un blackout, che c’e’ bisogno di un rimorchiatore e che si sta valutando la situazione; in tal modo, secondo la ricostruzione accolta dalla Corte distrettuale, egli omette di comunicare l’esistenza della falla e l’allagamento del quadro elettrico principale.

In ulteriore colloquio telefonico con il direttore di macchina (OMISSIS), alle 22:10, quest’ultimo ribadisce a (OMISSIS) che tutti i motori sono allagati, che il quadro elettrico principale e’ pieno d’acqua e che c’e’ stato uno squarcio laterale. La comunicazione di (OMISSIS) a (OMISSIS) in base alla quale risultano allagati anche i DG 4, 5 e 6 (ubicati nel compartimento 6) porta a concludere, secondo la Corte d’appello, che a quel punto (OMISSIS) e’ stato messo al corrente che sono tre i compartimenti allagati (non solo il 5 e il 7, ma anche il 6) e che la riserva di galleggiabilita’ indicata nella documentazione di bordo e’ gia’ stata superata (pag. 88 sentenza impugnata).

4.5. Alle 22:13, la Capitaneria di Porto di (OMISSIS) chiama la plancia della Concordia ma (OMISSIS) suggerisce a chi risponde alla chiamata (tale (OMISSIS)) di non riferire della falla. Viceversa, in una nuova telefonata a (OMISSIS) (alle 22:17), egli comunica che i motori elettrici e due compartimenti (quello di prora e quello di poppa) sono allagati, ma la nave e’ comunque in grado di galleggiare.

Nei minuti successivi, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) forniscono conferma in plancia che i motori da 1 a 6 e i locali PEM sono allagati.

Alle 22:25, (OMISSIS) comunica alla Capitaneria di Porto di (OMISSIS) che, oltre al blackout, vi e’ anche una falla a bordo.

Subito dopo chiama di nuovo (OMISSIS) e gli rivela che la nave ha i motori e tre compartimenti allagati.

4.6. Nel frattempo, i passeggeri non ricevono alcuna comunicazione, salvo la segnalazione, alle 21:54, di un problema elettrico ai generatori, in corso di soluzione: segnalazione sostanzialmente ribadita alle 22:05. I membri dell’equipaggio, a loro volta ignari della natura e della consistenza del problema (non essendone stati informati dal ponte di comando), non sono in grado di fornire notizie ai passeggeri circa l’accaduto, ma qualcuno di loro indossa gia’ il giubbotto di salvataggio e cio’ non si concilia con le rassicurazioni diffuse tramite gli annunci sul blackout.

Nel frattempo, in un concitato colloquio fra (OMISSIS) e il suo vice, (OMISSIS), quest’ultimo gli descrive la drammatica situazione, segnalandogli che i passeggeri stanno recandosi sulle lance; dopo avere inizialmente acconsentito a decretare l’emergenza generale e a ordinare l’abbandono nave, (OMISSIS) dice di aspettare, perche’ intende prima mettersi di nuovo in contatto con (OMISSIS). Nel frattempo, viene segnalato che la nave presenta uno sbandamento di 10 gradi.

4.7. Solo alle 22:33 viene schiacciato il pulsante dell’emergenza generale, mentre non viene ancora disposto l’abbandono nave.

Alle 22:36, i passeggeri vengono invitati a recarsi sulle muster stations per seguire le indicazioni del personale. Alle 22:43, vengono invitati ancora una volta a recarsi ai punti di riunione e a indossare il giubbotto di salvataggio, con la precisazione che di li’ a poco sarebbero stati trasferiti a terra sulla costa dell'(OMISSIS).

Contattato nuovamente dalla Capitaneria di (OMISSIS), (OMISSIS) precisa che la nave non si e’ ancora appoggiata sul fondo, che sta galleggiando e che ci sarebbe bisogno di un rimorchiatore.

Mentre si comincia a organizzare l’imbarco dei passeggeri sulle lance sul lato dritto, (OMISSIS) aspetta ancora prima di disporre l’abbandono nave, che viene infine ordinato alle 22:54.

Nel frattempo, pero’, la nave e’ gia’ inclinata di 20 gradi sul lato dritto; cio’, se da un lato consente ai passeggeri presenti su tale lato della nave di salire sulle scialuppe e mettersi in salvo, fa si’ che i passeggeri sul lato sinistro rimangano bloccati sul ponte 4, perche’ l’inclinazione della nave sul lato opposto non permette che le scialuppe di salvataggio presenti sul lato sinistro possano essere ammainate.

4.8. Numerosi passeggeri sono costretti quindi a gettarsi in mare; altri, in assenza di notizie sul da farsi, cercano di raggiungere zone della nave in cui vengono bloccati dall’acqua; successivamente alcuni di loro vengono trascinati nei vortici che l’acqua crea nel risalire lungo i vari ponti della nave.

Alle 23:08 (OMISSIS) chiama la moglie per rassicurarla, e successivamente chiama di nuovo (OMISSIS), segnalandogli fra l’altro che la nave e’ inclinata a dritta di 20 gradi.

Poco dopo, gli viene segnalato da (OMISSIS) che sul lato sinistro ci sono circa 2000 passeggeri.

Successivamente (ossia attorno alle 23:20, secondo la Corte d’appello), (OMISSIS) impartisce ai suoi ufficiali l’ordine di abbandonare la plancia; in seguito il comandante, dopo avere ispezionato alcuni ponti, si allontanera’ a bordo di una delle ultime scialuppe disponibili. Secondo la ricostruzione operata nel giudizio di merito, egli raggiungera’ gli scogli della (OMISSIS), ove rimarra’ all’incirca fino alle 02:00.

Le operazioni di soccorso, nel frattempo, proseguono fino alle ore 05:45.

4.9. Quanto ai decessi dei 32 passeggeri, secondo quanto emerso nell’istruzione dibattimentale, essi sono tutti intervenuti dopo le ore 24:00.

Come si e’ accennato, infatti, molti passeggeri erano rimasti ad aspettare sul lato sinistro per molto tempo, prima che iniziassero le operazioni di ammaino delle scialuppe di salvataggio; ad un certo punto, poiche’ le scialuppe posizionate sul lato sinistro non erano piu’ riuscite a raggiungere l’acqua a causa dell’inclinazione della nave, i passeggeri presenti su tale lato erano rimasti bloccati ed avevano atteso ancora, senza ricevere disposizioni dal personale; solo in un momento successivo (secondo alcuni testimoni, attorno alle ore 24:00), essi erano stati invitati da alcuni ufficiali (a loro volta privi di direttive da parte del comando della nave, secondo la ricostruzione accolta nella sentenza d’appello) a formare una catena umana per spostarsi sul lato dritto, e poter cosi’ raggiungere la zona da cui le lance potevano essere fatte partire.

Alcuni passeggeri sono deceduti durante questo tragitto, affogando in voragini che si erano aperte in seguito al ribaltamento della nave. Altri sono invece deceduti in un momento ancora successivo, ossia durante lo spostamento a ritroso da destra a sinistra, dopo essersi accorti, una volta giunti dall’altra parte, che l’acqua era ormai arrivata al ponte 3. Altri ancora sono deceduti per essere scivolati in mare a causa dell’eccessiva inclinazione della nave, o per esservisi gettati senza il giubbotto di salvataggio o senza saper nuotare, o perche’ risucchiati dai gorghi.

SINTESI DELLE ACCUSE:

5. Come si e’ detto, occorre tenere presente la suddivisione fondamentale fra la fase che ha condotto al naufragio della (OMISSIS) e la fase, successiva, dell’emergenza a bordo. Tale suddivisione e’ stata tenuta presente anche nell’esame degli addebiti mossi all’imputato (OMISSIS), in relazione a ciascuna delle suddette fasi.

Sia in ordine alla causazione colposa del naufragio della nave da crociera, sia in merito alla gestione dell’emergenza e ai delitti colposi di omicidio e lesioni personali, sono state contestate all’imputato numerose condotte (commissive ed omissive), che sono illustrate, sulla base dell’editto imputativo, alle pagine da 76 a 81 e da 94 a 98 della sentenza d’appello (nella parte in cui essa richiama la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Grosseto).

Si tratta, in estrema sintesi, di una serie di addebiti ascritti allo (OMISSIS) sia a titolo di colpa generica, sia a titolo di colpa specifica (riferiti cioe’ a condotte che, secondo la tesi d’accusa, avrebbero violato disposizioni legislative, convenzioni internazionali, regole e procedure relative a molteplici aspetti della navigazione) e riguardanti la sua condotta in navigazione e in comando, a proposito: della scelta di modificare la rotta programmata, per di piu’ senza un adeguato supporto cartografico; delle modalita’ di conduzione della nave e di avvicinamento alla costa del (OMISSIS), fino a pervenire a velocita’ elevata a ridosso della costa dell’isola, in acque caratterizzate da bassi fondali; del ritardo nella correzione della manovra, tale da non impedire l’urto con il fondale; nonche’ riguardanti le omissioni e i ritardi nel porre in essere, dopo l’incidente, azioni doverose che, se intraprese, avrebbero salvato vite umane, con particolare riferimento alle procedure previste nei casi di emergenza ed in specie per la segnalazione dell’emergenza generale e per l’abbandono della nave, nonche’ alle disposizioni circa le modalita’ di ammaino delle scialuppe di salvataggio.

5.1. Mentre con riferimento alla fase della navigazione fino al (OMISSIS), culminata con l’impatto con il fondale e con il naufragio, il Tribunale aveva riconosciuto l’aggravante della colpa con previsione (articolo 61 c.p., n. 3), tale aggravante era stata esclusa con riferimento alla fase successiva e, piu’ specificamente, ai decessi e alle lesioni conseguenti alle modalita’ di gestione dell’emergenza da parte dell’odierno imputato.

5.2. Ulteriori addebiti mossi allo (OMISSIS), riferiti a reati di natura contravvenzionale, riguardano l’omesso rapporto all’autorita’ marittima competente in merito all’accaduto (ed in specie alla collisione con il fondale e ai guasti che ne conseguirono) e, successivamente, le false informazioni (finalizzate a nascondere la reale situazione di emergenza in cui versava la nave) relative a elementi che, non tempestivamente conosciuti, creavano situazione di pericolo.

5.3. Infine, allo (OMISSIS) e’ contestato di essersi allontanato dalla (OMISSIS), cosi’ violando il dovere comportamentale sanzionato dall’articolo 1097 c.n., e di avere abbandonato centinaia di persone di cui doveva avere cura in qualita’ di comandante (articolo 591 c.p.).

LA DECISIONE DELLA CORTE D’APPELLO:

6. La Corte d’appello di Firenze era chiamata a decidere sugli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica di Grosseto, dall’imputato (personalmente e per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), articolando anche motivi nuovi in aggiunta a quelli in origine proposti), dal responsabile civile (OMISSIS) s.p.a. e da alcune parti civili.

6.1. In breve sintesi, quanto all’appello del Procuratore della Repubblica di Grosseto, la Corte distrettuale lo accoglieva parzialmente, con esclusivo riferimento alla pena accessoria dell’interdizione dell’imputato dai titoli professionali marittimi in relazione al delitto di naufragio colposo, pena che applicava; mentre rigettava la doglianza relativa all’esclusione, da parte del Tribunale, dell’aggravante della colpa con previsione con riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose commessi nella fase della gestione dell’emergenza.

6.2. La Corte di merito dichiarava poi inammissibile l’appello dell’avv. (OMISSIS), in quanto consistito nella mera trascrizione dell’arringa rassegnata dal detto difensore all’esito del giudizio di primo grado e, come tale, ritenuto privo di specificita’ in ordine alle ragioni in fatto e in diritto poste a sostegno del gravame.

Venivano altresi’, conseguentemente, dichiarati inammissibili i motivi nuovi presentati a esclusiva firma dell’avv. (OMISSIS), con i quali si sollecitava la parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante nuova audizione di alcuni testimoni.

6.3. A seguito di ampia disamina, svolta alle pagine da 155 a 440 della sentenza impugnata (cui, per brevita’, si fa rinvio), venivano poi rigettati dalla Corte territoriale, perche’ ritenuti infondati, i motivi d’appello rassegnati dall’avv. (OMISSIS) e personalmente dall’imputato, nonche’ i motivi nuovi congiuntamente presentati dall’imputato e dai suoi difensori.

6.4. Con i motivi in origine proposti dall’avv. (OMISSIS) (nella sintesi operata dalla sentenza d’appello) si contestava, in primo luogo, l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato (e, in subordine, si invocava l’esclusione dell’aggravante della colpa cosciente) in ordine al delitto di naufragio colposo, con particolare riguardo alle questioni riguardanti: 1) la rotta tracciata da (OMISSIS) e la rotta seguita da (OMISSIS); 2) la conduzione della nave, da parte di (OMISSIS), fuori dalla rotta tracciata da (OMISSIS) e il passaggio di una “pentola bollente” (ossia di una situazione gia’ gravemente compromessa) da (OMISSIS) nelle mani di (OMISSIS); 3) gli errori del timoniere e la loro incidenza causale. In secondo luogo le doglianze riguardavano i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose susseguenti alla fase del naufragio, in ordine ai quali si chiedeva l’assoluzione dell’imputato o in subordine la riduzione della pena (sul rilievo dell’asserito, prevalente concorso nei reati di altri ufficiali), con particolare attenzione agli aspetti concernenti: 1) le violazioni normative e i ritardi nella dichiarazione di emergenza generale e nell’invio dei segnali pan pan e, successivamente, di distress e mayday, finalizzati a consentire i soccorsi esterni e il relativo coordinamento; 2) il ritardo nell’ordine di abbandono della nave; 3) il mancato ammaino di tre scialuppe poste sul lato sinistro; 4) la impreparazione del personale e i malfunzionamenti. In terzo luogo, veniva richiesta l’esclusione della responsabilita’ dell’imputato in relazione ai reati di abbandono d’incapaci e di abbandono nave. Venivano altresi’ formulate richieste di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, mediante l’audizione di periti e consulenti di parte, l’espletamento di nuova perizia, l’esame di testimoni e l’acquisizione di documenti indicati dalla difesa. Ulteriori richieste riguardavano il trattamento sanzionatorio (applicazione del concorso formale e dell’istituto della continuazione ex articolo 81 c.p., comma 2; riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6; concessione delle attenuanti generiche prevalenti; riduzione della pena ai minimi edittali).

6.5. I motivi articolati personalmente dall’imputato nel suo atto d’appello venivano qualificati dalla Corte di merito come sostanzialmente ripropositivi di alcuni dei motivi di doglianza formulati dall’avv. (OMISSIS).

6.6. Quanto ai motivi nuovi congiuntamente proposti, essi erano volti a ottenere in primo luogo una parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante confronto fra lo (OMISSIS) e Ciro (OMISSIS) e/o mediante nuova audizione di alcuni testimoni; in secondo luogo, si chiedeva la declaratoria di nullita’ della sentenza impugnata, per mancato esame, da parte del Tribunale, di una memoria difensiva, chiedendo in subordine che venisse sul punto integrata la motivazione della sentenza di primo grado; in terzo luogo si contestava che lo (OMISSIS) intendesse discostarsi dalla rotta tracciata dall’Ufficiale Cartografo (OMISSIS); ulteriori motivi consistevano invece in una trascrizione di altri motivi d’appello precedentemente rassegnati.

La Corte fiorentina, come detto, dopo ampio e analitico esame dei singoli motivi d’appello, ne dichiarava per tutti l’infondatezza.

6.7. Neppure trovavano accoglimento i motivi d’appello rassegnati dalla (OMISSIS) s.p.a., nella qualita’ di responsabile civile.

La (OMISSIS) s.p.a. si doleva in primo luogo dell’accoglimento delle domande risarcitorie di 32 parti civili, le quali avevano precedentemente stipulato transazioni con la stessa (OMISSIS): su tale statuizione la Corte d’appello dichiarava non luogo a provvedere a seguito della revoca della costituzione delle suddette parti civili; quanto al motivo d’appello relativo all’accoglimento della domanda risarcitoria del Ministero dell’Ambiente, la Corte provvedeva in una con il motivo d’appello rassegnato dal detto Ministero, che veniva accolto, mentre veniva rigettato il motivo proposto dalla societa’ responsabile civile. Venivano parimenti rigettati dalla Corte territoriale i motivi d’appello proposti dalla (OMISSIS) avverso le statuizioni risarcitorie in favore del Comune di (OMISSIS) e della Regione Toscana; l’analogo motivo di doglianza relativo all’accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dalla Provincia di Grosseto veniva assorbito dalla revoca della costituzione di parte civile dell’Ente.

6.8. Venivano, infine, dichiarati parzialmente fondati gli appelli delle parti civili-passeggeri della (OMISSIS) e di alcuni Enti pubblici e privati. Veniva fra l’altro rigettato l’appello proposto dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), in origine costituitesi come eredita’ giacente di (OMISSIS) (morta in occasione del sinistro).

LE RINUNCE ALLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE:

6.9. Va fin d’ora dato atto che, nelle more del presente giudizio, in data 5 aprile 2017, le dette parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) – che avevano presentato ricorso per cassazione avverso i capi civili della prefata sentenza d’appello, dolendosi della misura del risarcimento liquidato in loro favore e del mancato riconoscimento anche di un danno punitivo – hanno depositato presso la Cancelleria di questa Corte rinuncia alla costituzione di parte civile e contestuale rinuncia al ricorso dalle stesse presentato.

Hanno inoltre rinunciato alla costituzione di parte civile la Regione Toscana (con atto depositato il 7 marzo 2017), nonche’ i signori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (con atto depositato il 17 febbraio 2017).

Hanno altresi’ revocato la costituzione di parte civile (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

I RICORSI:

7. Avverso la prefata sentenza d’appello hanno presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze, l’imputato (OMISSIS) (con atti a firma dei suoi difensori di fiducia, nonche’ a mezzo atti personalmente sottoscritti) e le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) (in origine come eredita’ giacente di (OMISSIS)), le quali come gia’ accennato hanno, nelle more del giudizio, rinunciato al ricorso.

Di seguito, quindi, verranno illustrati nell’ordine il ricorso del Procuratore generale della Corte d’appello di Firenze e, quindi, i ricorsi e i motivi nuovi (nonche’ le memorie integrative) rassegnati nell’interesse dell’imputato.

RICORSO DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

8. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze e’ affidato a due motivi.

8.1. Con il primo motivo si deduce difetto di motivazione e falsa (dis)applicazione dell’articolo 61 c.p., n. 3 con riguardo ai plurimi reati di omicidio colposo e lesioni colpose, oggetto della contestazione di cui al capo A) dell’imputazione.

Premette il P.G. ricorrente che il Procuratore della Repubblica di Grosseto, a fronte della esclusione della circostanza aggravante della colpa cosciente da parte del Tribunale in relazione ai reati in oggetto, aveva proposto appello sul punto, rilevando che la descrizione di quanto avvenuto il (OMISSIS) successivamente all’impatto della Concordia con il basso fondale delle (OMISSIS) rendeva palese la sussistenza di detta aggravante. Significativa a riguardo era la conversazione telefonica intervenuta alle ore 21:51:34 tra il comandante (OMISSIS) ed il direttore di macchina (OMISSIS), il quale aveva rappresentato una situazione di fatto talmente drammatica e catastrofica da aver indotto il comandante ad esclamare la frase “Cioe’, stamm jenn a ffunn, praticamente”. La consapevolezza esplicitata con queste parole dal comandante circa l’affondamento repentino della nave in conseguenza delle (primissime) parole del direttore di macchina (OMISSIS), a pochissimi minuti dall’impatto con le (OMISSIS), comportava, ipso facto, la rappresentazione del rischio concreto di perdita di vite umane o del ferimento di alcune o anche di una sola. Da altre due dichiarazioni registrate, risalenti alle 22:32 e alle 23:05, e dalla telefonata delle ore 1:46 con il comandante (OMISSIS) della Guardia Costiera di (OMISSIS), era emersa la rappresentazione nel comandante di un esito infausto conseguente all’urto, accadimento tuttavia escluso in ragione della sua abilita’ nel gestire la situazione di estrema emergenza. Nella prima, il comandante (OMISSIS) aveva parlato dell’imbarco dei passeggeri sulle lance ed aveva pronunciato la frase “…e poi Dio ci pensi”; nella seconda, aveva detto “io non voglio…io non faccio morire a nessuno qui”; nella telefonata infine, venuto a sapere delle prime vittime, non aveva perso il controllo ed aveva chiesto “quanti morti ci sono-“. Anche durante l’esame dibattimentale l’imputato aveva del resto ammesso che durante le fasi di emergenza e di abbandono della nave aveva temuto che la gente si buttasse in mare ed aveva ancora dichiarato che in ogni abbandono di nave si verificavano dei morti. Dunque l’imputato, secondo il P.M. appellante, aveva ammesso che l’evento tragico in questione, alternativo o cumulativo (di morti e feriti), lo aveva sempre avuto chiaro in mente, anche in considerazione del numero delle persone, 4229, che, tra passeggeri ed equipaggio, si trovavano a bordo. Pur nella consapevolezza di tale rischio, il comandante aveva omesso di attivare la procedura anti-falla, nascondendo la reale situazione alla gran parte dell’equipaggio, ai passeggeri, all’Autorita’ marittima e ritardando la comunicazione all’MRSC, il segnale di distress ed il contestuale mayday, il segnale di emergenza generale e poi quello di abbandono di nave. Di qui la certezza che il comandante (OMISSIS) aveva accettato la situazione di pericolo posta in essere con la sua condotta, caratterizzata dalla violazione di tutte le procedure finalizzate alla conservazione dell’integrita’ fisica e della vita delle persone imbarcate, prospettandosi che si potesse verificare la morte o il ferimento di alcune di loro, pur confidando nel fatto che tali eventi non si sarebbero verificati, convinzione che valeva ad escludere il dolo eventuale ma non la colpa cosciente. Il Tribunale invece, dal fatto che lo (OMISSIS) avesse indugiato a far chiamare i rimorchiatori, aveva desunto una sua non piena rappresentazione della gravita’ della situazione, da cui aveva fatto ulteriormente discendere il dubbio che egli non avesse davvero messo in conto, per una smisurata colpa o ignoranza, l’ipotesi che anche una sola persona a bordo potesse morire o ferirsi.

La Corte territoriale aveva ritenuto tale motivo di appello infondato.

Condividendo il giudizio controfattuale del Tribunale, aveva evidenziato che nella fase della gestione dell’emergenza, la chiamata dell’emergenza generale avrebbe dovuto essere fatta alle 21:58 e la diramazione dell’ordine di abbandono della nave alle ore 22:28.

Conseguentemente, per ascrivere allo (OMISSIS) l’aggravante della colpa cosciente in relazione ai reati colposi plurimi di omicidio e lesioni personali, causati appunto dai ritardi con i quali erano intervenute dette attivita’, sarebbe stato necessario dimostrare che, non oltre le 22:28 (o, comunque, le 22:30, ove si fosse ritenuto che l’emergenza generale avrebbe dovuto essere data quanto meno alle ore 22:00), l’imputato si fosse gia’ concretamente rappresentato gli eventi predetti come possibili/probabili conseguenze della sua condotta. Secondo i giudici di appello, le registrazioni valorizzate dal Procuratore di Grosseto nell’atto di gravame non erano di per se’ indicative di una colpa cosciente: l’espressione “Dio ci pensi”, pronunciata dall’imputato alle ore 22:32 mentre parlava con la capitaneria di (OMISSIS) che gli stava chiedendo informazioni sullo stato della crisi a bordo, era solo genericamente invocativa e non univocamente interpretabile nel senso sostenuto dall’appellante; l’altra frase pronunciata alle 23:05 mentre lo (OMISSIS), su un’ala della plancia, stava parlando in tono confidenziale con il maitre di bordo (OMISSIS) “io non voglio…non faccio morire a nessuno qui”, se era dimostrativa del fatto che in quel momento l’imputato si era rappresentato la possibilita’ della morte di alcune persone a bordo, non provava che analoga consapevolezza egli avesse avuto gia’ in precedenza, nei limiti di tempo innanzi ricordati. Anche la domanda rivolta al comandante (OMISSIS), dopo aver saputo delle prime vittime, di quanti morti ci fossero, era basata su una valutazione soggettiva di interpretazione non inoppugnabile, e comunque era intervenuta anch’essa in un momento successivo a quello che interessava ai fini della configurazione dell’aggravante in esame. Infine, la dichiarazione che “in ogni abbandono di nave si verificano morti”, insieme ad altre pronunciate nel corso dell’esame dibattimentale, appariva fortemente influenzata dalle sopravvenute esigenze difensive e non costituiva una effettiva ammissione della concreta previsione dei decessi e delle lesioni in quei frangenti.

Dunque, concludeva la Corte, la prova della colpa cosciente dell’imputato non poteva essere tratta, con ragionamento inferenziale sufficientemente affidabile, dagli elementi suggeriti dall’accusa, che apparivano indicativi della gravita’ della situazione di emergenza e, quindi, della prevedibilita’ in astratto dell’evento, ma non anche della previsione in concreto di esso da parte di (OMISSIS), il cui intento era piuttosto focalizzato sul tentativo di salvare la nave.

Con l’odierno ricorso, il P.G. evidenzia che, nonostante lo specifico rilievo del P.M. appellante, la Corte fiorentina aveva ignorato, cosi’ come aveva fatto il Tribunale, la specifica conversazione intercorsa fra il comandante (OMISSIS) ed il direttore di macchina (OMISSIS), che gli aveva confermato che alle ore 21:51 la nave stava andando a fondo, dimostrativa che in quel momento l’imputato si era certamente rappresentato non soltanto il rischio, bensi’ la concreta e certa morte di persone che si trovavano a bordo, ed aveva il tempo di emanare quell’efficace ordine di emergenza generale e di abbandono della nave che avrebbe comportato il non verificarsi delle morti e delle lesioni. Sottolinea che tale telefonata era intervenuta ben prima delle ore 21:58, ora entro la quale avrebbe dovuto essere diramata l’emergenza generale, e prima delle 22:28, ora entro la quale avrebbe dovuto ordinare l’abbandono della nave, e rileva che se tale telefonata fosse stata presa in considerazione, la Corte territoriale sarebbe giunta a conclusioni differenti rispetto al momento in cui l’imputato si era rappresentato concretamente l’evento.

A parere del ricorrente, l’impugnata sentenza e’ percio’ affetta da vizio della motivazione, poiche’, come risulta dal testo stesso dell’atto, non e’ stato preso in esame un decisivo elemento di prova, pur documentato in atti ed evidenziato dal P.M. nell’atto di appello, cosi’ come era stata data un’interpretazione illogica della dichiarazione autoaccusatoria resa in dibattimento allorquando l’imputato aveva affermato che gli abbandoni di nave comportano sempre dei morti.

8.2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione e falsa applicazione dell’articolo 133 c.p. in relazione alla determinazione della pena base per tutti i reati e all’entita’ dell’aumento per le aggravanti ed ex articolo 81 c.p..

Anche nell’esposizione di tale ragione di censura, il ricorrente riporta quanto argomentato dal Procuratore della Repubblica di Grosseto nei motivi di appello riguardanti il trattamento sanzionatorio, di cui aveva chiesto un aggravamento, ritenendo la modestia delle pene inflitte.

La pena applicata per il reato di naufragio e’ stata di quattro anni, inferiore alla meta’ della cornice edittale prevista per quel delitto, aumentata a cinque per l’aggravante della colpa cosciente.

Il Tribunale aveva definito “criminale” la scelta del comandante (OMISSIS) di portare una nave, con quelle caratteristiche di stazza ed a quella velocita’, cosi’ in prossimita’ dell’isola, ed aveva ritenuto che la quota principale di responsabilita’ andasse addossata – pur nel concorso con le condotte colpose degli ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS) che erano presenti sul ponte di comando – allo (OMISSIS), quale esclusivo responsabile della scelta di mutare la rotta, programmata in tutta sicurezza dall’ufficiale cartografo (OMISSIS), e di avvicinarsi all’isola, nella concreta previsione dell’evento che poi si era verificato. Nella parte della sentenza dedicata alla determinazione della pena aveva poi valutato a favore dell’imputato il concorso di colpe di altri soggetti, l’incensuratezza, il rispetto delle misure cautelari personali degli arresti domiciliari e dell’obbligo di dimora. Secondo il Procuratore di Grosseto appellante, gli ultimi due elementi appena menzionati andavano bilanciati con i motivi futili che avevano determinato il naufragio, con la pessima condotta processuale dell’imputato e con il comportamento volto a scaricare su altri la propria responsabilita’, e dunque la pena di soli quattro anni era stata applicata principalmente per aver tenuto conto delle responsabilita’ degli ufficiali (OMISSIS), (OMISSIS) e del timoniere (OMISSIS). Il Tribunale aveva pero’ poi configurato esclusivamente nei confronti di (OMISSIS) l’aggravante della colpa con previsione, ritenendo che gli altri tre componenti la guardia sul ponte di comando, nel tratto di navigazione prima dell’urto fatale, non fossero a conoscenza della nuova rotta, decisa dal comandante e non condivisa in alcun modo con altri. Appariva allora ulteriormente contraddittorio aver riconosciuto, da parte del Tribunale, tale aggravante in capo al solo (OMISSIS) e poi aver mitigato la pena in considerazione del contributo, davvero minimo, nella causazione del naufragio degli altri tre correi, i quali, proprio perche’ esclusi dalle decisioni improvvisate ed azzardate del loro comandante, avevano una ancor piu’ grande difficolta’ ad interagire ed a collaborare con lui. Anche l’aumento di pena per l’aggravante della colpa cosciente – pari ad un anno – nettamente inferiore al massimo applicabile, di un terzo rispetto alla pena base, non si conciliava con l’affermazione del Tribunale circa il massimo grado di colpa, generica e specifica, di natura professionale, ravvisata a carico dell’imputato, caratterizzata sia dalla colpevole sottovalutazione del pericolo di un evento, previsto e rappresentato nella sua mente, che dalla sopravvalutazione delle sue abilita’ marinaresche al fine di scongiurarlo.

La pena applicata per il reato di omicidio colposo e lesioni colpose plurimi e’ stata di anni 10 di reclusione, determinata partendo da una pena base di cinque anni per la morte della piccola (OMISSIS), una bambina di neanche sei anni di eta’, e raddoppiata per gli ulteriori 31 morti e 193 feriti.

Secondo il Procuratore appellante tale pena – per quanto gia’ detto in relazione al delitto di naufragio ed alla scarsa rilevanza della condotta colposa dei coimputati – doveva essere collocata in prossimita’ del massimo edittale, cosi’ come l’aumento, previsto dall’articolo 589 c.p., u.c., fino al triplo, stante il grado “monumentale” della colpa dell’imputato e l’assoluta futilita’ dell’origine delle condotte che un tale micidiale epilogo avevano determinato, il fatto cioe’ di aver voluto il comandante fare un favore ad un capo cameriere ed una bravata per pochi amici, passando con un transatlantico come la (OMISSIS) a pelo di scoglio con l'(OMISSIS).

Per la contravvenzione di omesse comunicazioni alle autorita’ marittime il Tribunale ha applicato la pena base di 15 giorni di arresto, aumentata a giorni 20 per l’aggravante dell’articolo 112 c.p., n. 3), ed ancora a giorni 30 per gli ulteriori tre fatti-reato in continuazione ex articolo 81 c.p., comma 2.

Il Procuratore di Grosseto aveva proposto appello anche avverso tale statuizione, censurando l’incongruita’ per difetto: a) della pena base, prossima al minimo edittale; b) dell’aumento di pena per la circostanza aggravante ritenuta; c) dell’aumento minimo per la continuazione dei fatti-reato contestati. La dolosa macchinazione dello (OMISSIS) nel far dare alle autorita’ marittime false informazioni sullo stato della nave, con il rischio concreto di un ritardo nei soccorsi, aveva costituito una condotta gravissima, resa ancor piu’ riprovevole dal fatto di aver abusato del suo ruolo gerarchico per far commettere il reato a tre dei suoi giovani ufficiali, che avevano poi dato quelle comunicazioni false su suo preciso input. Andava quindi aggravata la pena base, su cui conseguentemente calcolare l’aumento massimo di un terzo ex articolo 112 c.p., n. 3. Vi erano stati ben quattro episodi di false comunicazioni, ogni volta il reato era stato commesso con un diverso ufficiale (prima (OMISSIS), poi (OMISSIS), poi (OMISSIS), infine ancora (OMISSIS)), messo nella condizione di dire il falso e di cooperare nella disastrosa gestione dell’emergenza, e dunque anche l’aumento per la continuazione di soli 10 giorni era irrisorio.

Il reato di abbandono di persone incapaci (articolo 591 c.p.) e di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante (articolo 1097 c.n.) sono stati contestati e ritenuti dal Tribunale in rapporto di concorso formale eterogeneo, senza assorbimento dell’uno nell’altro.

L’appello del Procuratore di Grosseto aveva riguardato, anche in questo caso, due distinti punti del trattamento sanzionatorio, e segnatamente: a) la determinazione della pena base per il reato di cui all’articolo 591 c.p.; b) l’aumento di pena per il concorso formale ex articolo 81 c.p., comma 1, in relazione all’articolo 1097 c.n.. Il Tribunale aveva applicato la pena base di mesi 8 di reclusione, prossima al minimo (pari a mesi 6), nonostante la gravita’ oggettiva della condotta di abbandono di persone incapaci, alcune centinaia, e dell’intensita’ del pericolo di vita cui erano rimaste cosi’ esposte, tenendo conto delle peculiari motivazioni che avevano indotto l’imputato a tale gesto, maturato solo dopo essersi reso conto dell’imminenza di un pericolo di morte, che lo aveva reso incapace di adempiere al proprio dovere. Secondo l’appellante invece la decisione di scendere dalla nave era stata assunta dallo (OMISSIS) dopo essere salito sul ponte 11 per constatare personalmente la situazione, circostanza avvalorata dalla condotta successivamente tenuta:

sapendo che le persone erano in difficolta’ sul lato piu’ inclinato di sinistra, era prima sceso in cabina al ponte 7 per prelevare i documenti di bordo e poi si era portato sul ponte 3 di dritta dove le lance facevano la spola per portare le persone a terra. In soli 30 minuti l’imputato aveva deciso di scendere ed era concretamente sceso dalla nave, abbandonando le persone a bordo, dopo aver egli stesso creato quella incredibile situazione di pericolo con le sue decisioni di cambiare la rotta pianificata e di navigare a vista, con una irresponsabile gestione della situazione dopo l’urto, con i clamorosi ritardi accumulati prima di procedere con l’emergenza generale e l’ordine di abbandono della nave. Per questa “ignominiosa ed ingiustificabile fuga dalla nave in difficolta’” gli era stata comminata una pena di poco superiore al minimo, nonostante fosse l’unico accusato di tale reato e non dovesse quindi condividere la responsabilita’ con altri ufficiali, e dunque vi era stata una non plausibile sproporzione tra le dimensioni oggettive del fatto reato e la esigua pena inflitta. Le medesime considerazioni andavano estese all’aumento per il concorso formale con il reato di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante, determinato in soli mesi 4 di reclusione, in contrasto con tutto quanto era avvenuto e con il dovere giuridico e morale del comandante di assistere le persone a lui affidate.

Ulteriore motivo di appello del Procuratore di Grosseto aveva infine riguardato la durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai titoli professionali marittimi, a mente dell’articolo 1082 c.n., comma 1, n. 1) e articoli 1083 e 1103 c.n., applicata in misura pari all’aumento di mesi 4 per il reato di cui all’articolo 1097 c.n., da rideterminare in peius in conseguenza del richiesto aumento della detta sanzione.

La Corte di Firenze confermava il trattamento sanzionatorio inflitto in prime cure, ritenendo rispettati i criteri dell’articolo 133 c.p..

Secondo i giudici di appello, quanto al delitto di naufragio, il Tribunale aveva giustamente riconosciuto il ruolo preminente ricoperto da (OMISSIS), mentre i dati della giovane eta’, della minore esperienza e della mera subordinazione gerarchica dei corresponsabili nella fattispecie, erano da considerarsi in definitiva neutri, trattandosi peraltro di un contesto professionale in cui ciascuno ricopriva un proprio ruolo e quindi non giustificavano di per se’ un inasprimento di pena per l’imputato. Correttamente erano state poi valorizzate l’incensuratezza e l’osservanza degli obblighi imposti con le misure cautelari. Quanto alla colpa cosciente, la stessa ben poteva non rientrare nel giudizio di graduazione della colpa previsto dall’articolo 133 c.p., n. 3, anche perche’, cosi’ facendo, il Tribunale aveva evitato a monte una duplice operativita’ della previsione dell’evento in funzione della pena, la prima per stabilire la pena base e la seconda come aggravante, optando per una valenza sanzionatoria della colpa cosciente solo per quest’ultimo profilo.

Anche la pena irrogata per i reati colposi di omicidio e lesioni personali plurimi, secondo la decisione della Corte distrettuale, era stata corretta. Il Tribunale aveva addebitato a (OMISSIS) una responsabilita’ molto piu’ grave rispetto a quella degli altri imputati, in considerazione delle sue condotte, sviluppatesi nell’intero arco della vicenda, e del suo ruolo apicale, che gli garantiva l’esclusiva potesta’ decisionale, non mancando di rilevare le responsabilita’ del comandante in seconda (OMISSIS), la cui posizione era stata archiviata.

Congrue anche le pene applicate, nel rispetto dei criteri dell’articolo 133 c.p., per gli altri reati e la durata della pena accessoria, cosi’ come erano stati ben motivati dal Tribunale gli aumenti per le aggravanti e per la continuazione. In particolare, per le contravvenzioni di false comunicazioni all’autorita’ marittima, ritenute dolose, era stata comminata la pena dell’arresto, alternativa a quella dell’ammenda, ed applicato il massimo di un terzo per l’aggravante dell’articolo 112 c.p., comma 1, n. 3, mentre per i reati di abbandono della nave ed abbandono di persone incapaci si era tenuto conto del grado del dolo non particolarmente intenso e valorizzato il comprensibile stato di paura del comandante.

Il Procuratore Generale ricorrente ritiene invece che la Corte territoriale non abbia replicato adeguatamente e completamente alle articolate argomentazioni contenute nell’atto di appello del P.M., oltre che a quelle della requisitoria dello stesso Procuratore Generale di udienza, in ordine alle pene da infliggersi concretamente per i singoli reati. L’impugnata sentenza contiene solo uno stereotipato riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 c.p., di norma sufficiente per garantire che il giudice abbia esaminato tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi del reato per la determinazione della pena, ma non adeguato quando, come nella specie, l’applicazione di tali criteri sia stata diffusamente e partitamente contestata.

Le doglianze del P.M. appellante non hanno trovato alcuna dettagliata risposta argomentativa, essendosi la Corte fiorentina limitata a condividere in maniera acritica le considerazioni del Tribunale.

La mancata replica alle singole critiche dell’appellante integra il denunciato vizio di motivazione.

Di qui la richiesta di annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RICORSO AVV. (OMISSIS):

9. L’Avv. (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), ha presentato autonomo ricorso nel quale prospetta due motivi.

9.1. Con il primo motivo lamenta nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione all’articolo 581 c.p.p., articolo 585 c.p.p., commi 2, lettera c) e comma 4, articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 179 c.p.p..

A sostegno della doglianza espone che la Corte d’Appello ha dichiarato l’inammissibilita’ dei motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., comma 4, da lui sottoscritti e depositati il 12 aprile 2016, quale ritenuta conseguenza dell’intervenuta dichiarazione d’inammissibilita’ della impugnazione dell’appello a sua firma depositato il 24 settembre 2015, omettendo qualsiasi riferimento e valutazione dell’ulteriore atto di impugnazione depositato il 14 ottobre 2015. Fermo il diritto di ciascuno dei difensori dell’imputato di proporre diversi ed autonomi motivi di appello e stante la tempestivita’ dell’impugnazione rispetto alla scadenza dei termini di deposito, prorogata al 15 ottobre, la Corte si era limitata a fare riferimenti di mero carattere illustrativo all’atto di d’impugnazione depositato il 14 ottobre 2015 per poi dichiarare la inammissibilita’ dei motivi aggiunti.

9.2. Con il secondo motivo lamenta nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2, articolo 533 c.p.p., comma 1, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 605 c.p.p., comma 1, e articolo 24 Cost..

La completa omessa valutazione dell’atto di impugnazione del 14 ottobre 2015 e la illegittimita’ della dichiarazione di inammissibilita’ dei motivi nuovi a firma dell’esponente difensore, con la conseguente loro omessa valutazione, hanno comportato il mancato esame delle questioni proposte e leso il diritto di difesa.

Per tali ragioni conclude per l’annullamento della impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, affinche’ valuti gli specifici motivi di impugnazione depositati il 14 ottobre 2015, unitamente ai motivi aggiunti depositati il 12 aprile 2016 ed alla memoria ex articolo 121 c.p.p. depositata all’udienza del 19 maggio 2016.

Ricorso congiunto degli avv.ti (OMISSIS) E (OMISSIS) NELL’INTERESSE DELL’IMPUTATO (OMISSIS):

10. Il ricorso depositato dagli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), sempre nell’interesse di (OMISSIS), consta di nove motivi.

10.1. Con il primo motivo si denuncia nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 33 c.p.p. e Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, articolo 110, comma 6 (ordinamento giudiziario), in relazione all’articolo 178 c.p.p., comma 1 lettera A), e articolo 179 c.p.p., articoli 24, 25 e 111 Cost., violazione degli articoli 6 e 7 CEDU, per avere celebrato il processo un collegio (prima sezione penale della Corte territoriale) diverso da quello cui era tabellarmente destinato (terza sezione penale della Corte stessa) e per essere stato costituito un Collegio della Corte d’Appello di Firenze ad hoc, esclusivamente per la celebrazione del presente processo.

L’impugnata sentenza e’ stata emessa all’esito del processo celebrato dinanzi alla 1 Sezione penale della Corte d’Appello di Firenze, sebbene le tabelle relative all’organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2014-2016 prevedessero la competenza della III Sezione penale di quella Corte per la trattazione dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose. Si era pertanto realizzata una situazione extra ordinem, poiche’ era stato costituito un Collegio appositamente destinato, in via esclusiva, alla celebrazione del presente processo, nonostante il regolare funzionamento della 3 Sezione penale, che continuava a trattare, nel medesimo periodo, gli altri processi per omicidio colposo. Cio’ costituiva violazione dell’articolo 178 c.p.p., n. 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., disposizioni da leggersi alla luce dei principi costituzionali, tra loro strettamente correlati, della imparzialita’ e della precostituzione del giudice naturale, da inquadrare a loro volta nel contesto delle garanzie costituzionali previste per assicurare al cittadino un giusto processo.

A sostegno di tale motivo i difensori in data 15 febbraio 2017 hanno depositato copie conformi delle tabelle di organizzazione della Corte d’Appello di Firenze per l’indicato triennio di interesse.

10.2. Con il secondo motivo di ricorso, relativo al delitto di naufragio, si denunciano: a) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 62, 63, 64, 65, 191 e 526 c.p.p.; nullita’ della sentenza nella parte nella quale utilizza, nonostante che il consenso fosse stato prestato unicamente dai difensori e non anche dallo (OMISSIS), le dichiarazioni rese dall’indagato al P.M. e al G.I.P. nella fase delle prime indagini, peraltro ritenendole plusvalenti rispetto all’esame cui l’imputato si sottopose nel corso di ben cinque udienze dibattimentali; totale omessa motivazione sulle ragioni di tale decisione; b) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in riferimento all’articolo 192 c.p.p., comma 3 e articolo 210 c.p.p. nella parte nella quale i giudici del fatto hanno utilizzato come prova le dichiarazioni di (OMISSIS) sebbene fossero tutte prive di ogni riscontro; c) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in riferimento agli articoli 63, 64 e 191 c.p.p., articolo 193 c.p.p., comma 3 e articoli 197 bis e 526 c.p.p. per avere i giudici del fatto utilizzato come prova testimoniale le dichiarazioni di (OMISSIS) sebbene costui dovesse essere esaminato come imputato di reato connesso.

Secondo il ricorrente la sentenza affida la sua decisione a prove illegittimamente acquisite, in violazione o inosservanza delle norme processuali, incentrando la motivazione nell’indicazione delle prove che avevano consentito di ribadire che (OMISSIS) avesse deliberatamente e colposamente deciso di non rispettare la rotta da lui stesso compilata il mattino del (OMISSIS) con il cartografo (OMISSIS), rotta che prevedeva il passaggio in sicurezza della nave a non meno di mezzo miglio dagli scogli delle (OMISSIS). Le dette prove sono diffusamente indicate nell’interrogatorio di garanzia reso al G.I.P. dallo (OMISSIS), nelle dichiarazioni accusatorie del primo ufficiale (OMISSIS) e nelle dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale cartografo (OMISSIS).

Quanto all’interrogatorio di garanzia, lo stesso non e’ stato legittimamente acquisito in quanto il consenso alla sua acquisizione era stato prestato solo dai difensori e non esplicitato personalmente anche dall’imputato, come invece necessario; inoltre la Corte di Appello non ha indicato le ragioni per le quali, visto che l’imputato era stato diffusamente sentito in dibattimento sugli stessi punti, e che solo le dichiarazioni rese nel contraddittorio delle parti, su richiesta del P.M., hanno natura e valore di prova, aveva invece valorizzato le dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Di qui anche il vizio motivazionale.

Quanto alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), imputato di reato connesso, la Corte di Appello vi fa continuo riferimento per dimostrare la scelta del comandante di adottare la rotta che determino’ il naufragio, omettendo pero’ di indicare sia gli elementi esterni di prova a riscontro, sia la intrinseca credibilita’ del racconto. Tale vizio, a dire del ricorrente, si coniuga nello specifico con un insuperabile vizio motivazionale, avendo la Corte omesso totalmente di confrontarsi con le circostanze, fortemente significative, dedotte nei motivi di appello e dimostratrici del nesso esistito tra gli errori di (OMISSIS) e il naufragio. I giudici di merito avevano ribadito l’attendibilita’ del teste (OMISSIS) nella parte in cui aveva tentato di giustificare il suo fuori rotta attribuendo l’omessa manovra di accostata ad un segnale fattogli da (OMISSIS), sebbene si trattasse di una propalazione resa da un coimputato che aveva definito la sua posizione con un patteggiamento, e non fossero stati acquisiti riscontri oggettivi di tale segnale che (OMISSIS) avrebbe effettuato mostrandogli la mano con il palmo aperto, come a dire di aspettare che terminasse la telefonata in corso con il (OMISSIS), gesto che nessuno dei testi presenti in plancia ha dichiarato di aver visto. Vi era stato quindi un travisamento per omessa motivazione su circostanza dotata di valore determinante, con riferimento alle colpe del primo ufficiale nella causazione del naufragio ed alla loro autonoma efficienza causale.

Quanto alla testimonianza dell’ufficiale cartografo (OMISSIS), trattasi di una prova acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e, in quanto tale, inutilizzabile. Il procedimento nei confronti del (OMISSIS), per concorso nel reato di false comunicazioni alle autorita’ portuali, era stato archiviato, ma tale epilogo conclusivo da un lato non escludeva la necessita’ dell’assistenza difensiva del (OMISSIS) nel corso della deposizione testimoniale, e sotto altro aspetto comportava una ridotta valenza probatoria delle sue dichiarazioni. La Corte fiorentina si era invece limitata ad affermare che le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS) – laddove aveva detto ripetutamente che il comandante non intendeva seguire la rotta da lui tracciata quella mattina – erano dotate del valore della testimonianza, non dovendogli essere riconosciuta la qualifica di imputato di reato connesso, attesa l’intervenuta archiviazione, con cio’ incorrendo in assenza di motivazione rispetto ai rilievi difensivi e nell’inosservanza delle norme processuali.

Ulteriore omissione di motivazione attiene al fatto che non erano emersi altri elementi idonei a dimostrare che in effetti (OMISSIS) avesse manifestato il proposito di navigare “a vista”, ed anzi vi era una prova tecnico-documentale certa, rappresentata dalla perizia trascrittiva operata dai Carabinieri, che dimostrava l’inesistenza della frase che (OMISSIS) attribuisce a (OMISSIS) “poi vado io”, come ribadito dalla difesa anche nei motivi aggiunti di appello.

Anche qui la violazione di norme processuali si fonde con il travisamento della prova e la carenza motivazionale.

10.3. Con il terzo motivo, sempre relativo al delitto di naufragio, si denunciano: a) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b), con riferimento agli articoli 40 e 41 c.p., articolo 449 c.p., comma 2, articolo 27 Cost., commi 1 e 3. Violazione nesso conseguenzialita’; b) Illegittima sopravvalutazione dei profili di colpa “generici”. Omessa motivazione sulla eccepita non incidenza degli stessi sul determinismo dell’evento; c) Vizi della motivazione – Violazione dell’articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2: i profili di colpa “specifici” posti a fondamento della decisione sono affidati a circostanze insicure ed a congetture arbitrarie, peraltro inconciliabili con i dati obiettivi; d) Nullita’ della sentenza per essere incorsa in cinque travisamenti che hanno compromesso in modo decisivo l’interna coerenza logica della decisione; e) Illegittima sottovalutazione degli errori di altri ufficiali; f) Illegittima sottovalutazione di errori determinanti commessi dal timoniere; g) Omessa motivazione con riferimento alla dimostrata correttezza degli ordini impartiti da (OMISSIS); h) Omesso esame della memoria della difesa e delle allegate posizioni della nave estrapolate dalla scatola nera; i) Il concorso di colpe e omessa motivazione sulla denunciata interruzione del rapporto di causalita’ essendo state le cause sopravvenute autonomamente idonee a determinare l’evento.

La difesa nei motivi di appello aveva analizzato ad una ad una le singole regole cautelari violate e dimostrato come tali violazioni non avessero avuto alcun rapporto causale con gli eventi disastrosi. La Corte invece non ha svolto alcuna motivazione in tema di nesso di causalita’ tra la violazione della regola ed il danno, ovvero sulla causalita’ della colpa.

Inoltre, sempre omettendo di confrontarsi con gli argomenti difensivi, ha illegittimamente sopravvalutato i profili di colpa “generici” ricopiando le argomentazioni del Tribunale, senza applicare i principi in tema di responsabilita’ omissiva, verificando se senza le rilevate omissioni l’evento si sarebbe del pari verificato.

Ancora, ha posto a fondamento della sua decisione circostanze insicure, meramente probabili, per dimostrare che il comandante (OMISSIS) avesse scelto deliberatamente di non rispettare la rotta, avvicinando la nave in maniera imprudente ed eccessiva all'(OMISSIS), causandone cosi’ colposamente il naufragio: cita in proposito il colloquio con il comandante (OMISSIS), al quale aveva chiesto indicazioni sulla profondita’ del fondale, il colloquio con l’ (OMISSIS), di cui si e’ gia’ detto, ancora i colloqui successivi al naufragio con (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione ai quali e’ stata data un’interpretazione malevola di frasi pronunciate a caldo da una persona profondamente provata dall’evento, senza tenere conto del suo stato d’animo.

I profili di colpa specifici imputati all’odierno ricorrente corrispondono ad altrettanti travisamenti su circostanze determinanti.

Il primo, di cui si e’ gia’ detto, attiene alla credibilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS) circa il cambio di rotta, senza tener conto del timore dell’ufficiale di essere coinvolto nell’incriminazione.

Il secondo travisamento per omissione di prova favorevole all’imputato attiene al fatto che, appena assunto il comando, (OMISSIS) aveva chiesto al timoniere di impostare la rotta a 300 e dunque era convinto che la nave in quel momento si trovasse sulla rotta di 334, ignorando che l’ (OMISSIS) gli aveva consegnato la nave quando era gia’ fuori rotta di 35-36 gradi.

Il terzo travisamento attiene all’affermazione, puramente ipotetica, dei giudici di merito che (OMISSIS) quando assunse il comando si trovasse davanti al radar, circostanza smentita dal fatto che alle ore 21:35:52 egli aveva chiesto all’ (OMISSIS) la velocita’ ed il primo ufficiale gli aveva risposto 15,4 nodi, domanda non necessaria in quanto il dato era leggibile sulla schermata del radar e dunque dimostra che egli non era in quel momento davanti al monitor.

Quarto e quinto travisamento attengono alla posizione della nave prima del Way Point, avanzata di due miglia marine rispetto all’indicato 0,1 miglio, e della rotta effettiva, che non gli era stata comunicata.

Sotto altro profilo, la Corte fiorentina aveva sottovalutato l’apporto causale delle condotte degli altri ufficiali presenti, in particolare della condotta dell’ (OMISSIS) che aveva portato la nave fuori rotta, impedendo a (OMISSIS) la prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento.

Del pari erano stati sottovalutati i gravi e numerosi errori del timoniere nel ritardare l’esecuzione dei comandi – attribuiti in sentenza all’isteresi del timone ed alla eccessiva rapidita’ con la quale erano stati impartiti gli ordini – e che avevano inciso nella produzione deterministica quali fattori sopravvenuti di per se’ idonei a determinare gli eventi.

Neppure erano stati presi in considerazione i rilievi formulati nell’atto di appello che gli ordini impartiti da (OMISSIS), se eseguiti, avrebbero impedito l’evento; era stato omesso l’esame della memoria difensiva depositata il 19 maggio 2016 nella quale era stato documentato che allo (OMISSIS) era stata consegnata una nave gia’ irrimediabilmente fuori rotta; infine, nell’analisi del determinismo causale, non si era tenuto conto delle omissioni degli ufficiali e del timoniere che avevano reso irrilevanti i profili di colpa generica in cui era incorso per leggerezza il comandante nella manovra dell'”inchino”, data la correttezza degli ordini impartiti.

10.4. Con il quarto motivo, sempre riferito al naufragio, si denunciano: a) Violazione dell’articolo 603, comma 5 e articolo 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, con esplicito riferimento all’articolo 111 Cost.: l’omessa emissione, nel contraddittorio delle parti, di un’ordinanza reiettiva della richiesta di procedere a nuovo esame dei periti, ha illegittimamente sacrificato il diritto di difesa dello (OMISSIS); b) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) con riferimento all’articolo 603 c.p.p.; mancata assunzione di prove decisive, per non avere la Corte di merito disposto la rinnovazione per esaminare i periti sulle emergenze, ignote all’epoca del conferimento dei quesiti, diniego affidato a motivazione meramente apparente; mancanza di adeguata motivazione sulle ragioni per le quali non venne disposta una nuova perizia.

Il diritto alla difesa di (OMISSIS) era stato irrimediabilmente sacrificato per avere la Corte disatteso – con motivazione meramente apparente e comunque inadeguata – la richiesta di procedere ad un nuovo esame dei periti per rispondere ad una serie di dettagliati quesiti, indicati nell’atto di appello, che non erano mai stati proposti perche’ non erano stati ancora prelevati dalla scatola nera gli ordini impartiti da (OMISSIS), e l’ulteriore richiesta di disporre una nuova perizia collegiale per procedere ad una simulazione con l’impiego di un’unita’ navale avente le medesime caratteristiche costruttive della (OMISSIS). Di qui la necessita’ di un supplemento istruttorio in tal senso, per valutare anche l’incidenza nella causazione dell’evento delle condotte dell’ (OMISSIS) e del timoniere.

10.5. Con il quinto motivo, nuovamente riferito al naufragio, si lamenta violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 61 c.p., n. 3), articolo 121 c.p.p., articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 179 e 180 c.p.p., articoli 24 e 111 Cost., per avere la Corte d’Appello di Firenze, in relazione alla ritenuta circostanza aggravante della colpa cosciente o con previsione dell’evento: a) omesso totalmente di valutare la memoria difensiva, ritualmente depositata all’udienza del 20 maggio 2016, cosi’, oltre a violare alle regole che presiedono alla motivazione della sentenza, determinando una nullita’ di ordine generale prevista dall’articolo 178, lettera c), in conseguenza della lesione del diritto di intervento e assistenza difensiva dell’imputato; b) omesso di indicare gli elementi di prova della sussistenza della ritenuta circostanza aggravante. Si denuncia inoltre omessa motivazione e violazione del principio “in dubio pro reo” e dell’articolo 533 c.p.p., comma 1.

La Corte di Firenze, dopo aver dato atto del deposito di una memoria difensiva, non ne ha analizzato il contenuto e non ha offerto una risposta motivata alle deduzioni della difesa sul punto della ritenuta aggravante della colpa cosciente, deduzioni basate su circostanze che, se correttamente e compiutamente valutate, sarebbero state idonee ad incidere sull’attribuibilita’ all’imputato dell’aggravante in esame. Infatti, posta in primo luogo la mancata dimostrazione che il comandante intendesse seguire una rotta diversa rispetto a quella tracciata dal (OMISSIS), i colloqui registrati, nel periodo antecedente e successivo all’impatto – valorizzati dai giudici di merito e contestati dall’appellante, che riporta in ricorso il contenuto della citata memoria difensiva non fornivano alcuna prova dell’esistenza dei presupposti costitutivi della previsione dell’evento e dunque, con riferimento al naufragio, poteva al piu’ parlarsi di una colpa semplice dovuta a leggerezza o incoscienza.

La sentenza va annullata pertanto sul punto per vizio di motivazione ovvero, solo in subordine, per consentire l’applicazione ai reati colposi dell’istituto della continuazione, possibile secondo la giurisprudenza di legittimita’ quando si agisca con previsione dell’evento.

10.6. Con il sesto motivo, relativo alla gestione dell’emergenza e ai plurimi delitti colposi di omicidio e lesioni, si denuncia vizio di motivazione sindacabile ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e), in relazione all’articolo 546 c.p.p., lettera e), con riferimento agli articoli 40, 41, 42 e 43 c.p.: a) per essersi il giudice del gravame, dopo aver riassunto-ricopiato, peraltro travisandoli, i motivi di appello specificamente proposti, limitato a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini meramente ripetitivi, sebbene le soluzioni adottate dal Tribunale fossero state oggetto di specifiche censure. L’omessa risposta alle singole doglianze ha, cosi’, privato di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale; b) per avere la Corte, disapplicando il principio costituzionale di colpevolezza, con un illegittimo automatismo a danno del ricorrente, attesa la sua posizione di garanzia, ritenuta sussistente una sua responsabilita’ oggettiva limitandosi a ricopiare la motivazione del primo giudice in ordine alla violazione delle singole regole cautelari e totalmente omettendo di motivare in ordine alle circostanze che avrebbero permesso di affermare che l’evento rappresentava la concretizzazione del rischio che le regole presuntivamente violate miravano a prevenire.

Tutta la motivazione relativa alle imputazioni di omicidi colposi e lesioni colpose plurimi manca di rispondere alle censure prospettate con l’atto di appello, in particolare sotto il profilo della sussistenza dell’elemento psicologico.

Con riferimento al rimprovero di aver omesso e poi ritardato eccessivamente di emettere il segnale di emergenza generale, e’ stata travisata la telefonata intercorsa alle 21:52 con l’ufficiale di macchina (OMISSIS) circa l’allagamento del quadro elettrico, in quanto dalla trascrizione della conversazione registrata risultava invece che (OMISSIS) aveva comunicato notizie imprecise e confuse, che non avevano messo il comandante in condizione di avere un quadro reale della gravita’ della situazione, con riferimento particolare all’avvenuto allagamento di ben tre compartimenti.

Nonostante le puntuali argomentazioni difensive circa il disposto normativo che obbliga il comandante alla esatta conoscenza della compartimentazione della nave, ma non della ubicazione delle utenze (quadro elettrico) in relazione ai compartimenti, la Corte aveva poi omesso ogni motivazione, cosi’ come aveva omesso di valutare l’osservazione difensiva relativa al fatto che nel Damage Control Plan, approvato dal registro Navale Italiano, non era illustrata la collocazione del quadro elettrico.

Sempre dalla conversazione con il (OMISSIS) era emersa la possibilita’ di azionare una pompa di emergenza, altro elemento che non poteva che avvalorare l’ipotesi di uno squarcio laterale alto (e non sotto la linea di galleggiamento) con una rientrata d’acqua non dirompente, mentre da altre trascrizioni della scatola nera si riscontravano comunicazioni incerte circa il numero dei compartimenti allagati.

Quanto alla ritenuta rilevanza causale della mancata nomina dello Ship Crisis Coordinator, la Corte aveva ignorato la deduzione della difesa secondo cui la nomina di un delegato alle comunicazioni con la societa’ armatrice era solo una possibilita’ concessa al comandante, che (OMISSIS) aveva preferito non esercitare mantenendo colloqui diretti con il (OMISSIS).

Era poi errata l’affermazione che alle ore 21:50 o al massimo alle 22:00 il comandante avesse gia’ chiaramente rappresentata l’emergenza, in quanto fino alle ore 22:06 nelle comunicazioni con l’ufficiale (OMISSIS), presente in macchina, si parlava di due compartimenti allagati e della tenuta delle porte stagne. Solo alle 22:10:55 il comandante aveva ricevuto notizia anche dell’allagamento del compartimento 6, circostanza che comprometteva la stabilita’ della nave e suggeriva la necessita’ di dichiarare l’emergenza generale. In ogni caso, l’imputato aveva documentato, attraverso le esercitazioni antifalla svolte utilizzando il computer NAPA, che aveva acquisito conferma del fatto che la (OMISSIS) fosse in grado di galleggiare con tre compartimenti allagati, come ribadito anche dall’Ing. (OMISSIS) del RINA, che aveva dichiarato in dibattimento che, in base alle sue conoscenze tecniche, l’allagamento di tre compartimenti consentiva comunque alla nave di galleggiare. Stesso convincimento era stato espresso dagli ufficiali presenti in plancia di comando, ivi compreso il K2 (ossia il comandante in seconda) (OMISSIS) ed il primo ufficiale (OMISSIS). La Corte aveva invece tenuto conto che la nave era stata progettata per resistere all’allagamento di due qualsiasi compartimenti contigui (convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare SOLAS) e che il certificato della dichiarazione RINA attestava parimenti che l’allagamento di tre compartimenti contigui faceva venir meno la galleggiabilita’ della nave.

La Corte aveva poi argomentato sul ritardo nell’ammaino delle scialuppe e sul ritardo del segnale di emergenza generale, senza considerare che il comandante aveva evitato l’affondamento della nave, assecondandone lo scarrocciamento fino ad incagliarsi sugli scogli della (OMISSIS), di basso fondale e vicini a terra, e che una volta diramato il segnale di emergenza, attivando il Ruolo di Appello, soltanto il marinaio (OMISSIS) aveva raggiunto la scialuppa 6 a lui assegnata, mentre gli ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il marinaio (OMISSIS), non si erano presentati alle imbarcazioni di salvataggio loro assegnate.

Il vizio di motivazione e’ evidente: il rapporto di causalita’ con gli eventi mortali andava individuato nel naufragio, nell’urto, come gia’ detto non ascrivibile a (OMISSIS) ma agli altri ufficiali e al timoniere; l’emergenza che ne era seguita era stata gestita con ordini corretti poiche’ il comandante aveva tentato fino all’ultimo di salvare la nave, in osservanza della regola per la quale la nave e’ la migliore scialuppa di salvataggio dei trasportati; l’ordine di emergenza generale e di abbandono nave erano stati effettivamente ritardati, ma solo perche’ il comandante aveva nutrito la ragionevole speranza di non essere costretto a farlo; avviare le procedure di emergenza generale con la nave ancora a 800 metri dalla costa e tre compartimenti allagati, avrebbe comportato il serio e concreto pericolo di affondamento, con una perdita ancor piu’ elevata di vite umane.

Solo le 32 persone che erano rimaste bloccate sul lato di sinistra e non avevano potuto imbarcarsi sulle scialuppe avevano trovato la morte, e cio’ a causa del mancato ammaino delle tre lance, ma tali eventi non erano legati da alcun nesso di causalita’ con le condotte colpose ascritte all’imputato.

Il ricorrente lamenta poi, sempre nell’ambito di questo sesto motivo, che la Corte fiorentina avrebbe disapplicato il principio costituzionale di colpevolezza, ricorrendo ad una sorta di illegittimo automatismo a danno dell’imputato, attesa la sua posizione di garanzia, e ritenendo sussistente una sua responsabilita’ oggettiva, totalmente omettendo di motivare in ordine alle circostanze che avrebbero permesso di affermare che l’evento rappresentava la concretizzazione del rischio che le regole cautelari presuntivamente violate miravano a prevenire. Nella motivazione si evidenziava invece una culpa in re ipsa, disancorata da ogni accertamento concreto, e si ometteva di offrire un ragionamento adeguato e logicamente coerente, idoneo a dimostrare che se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata si sarebbe impedita la verificazione dell’evento.

10.7. Con il settimo motivo, riguardante i reati di abbandono, si denunciano: a) Travisamento per omessa motivazione su circostanze determinanti che consentivano di escludere che il comandante avesse abbandonato la nave essendo consapevole che a bordo c’erano ancora persone; b) Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e), in relazione agli articoli 1 e 54 c.p., articolo 25 Cost., comma 2, articolo 1097 c.n.. Non esiste il reato di mancato ritorno sulla nave; c) Motivazione apparente che distorce, snatura e stravolge, gli elementi di fatto cui fa riferimento quando in sentenza si afferma che il comandante avesse abbandonato la nave consapevole che a bordo c’erano ancora persone; d) Omessa motivazione sull’elemento soggettivo dei reati di abbandono.

La Corte d’Appello, conformemente al Tribunale, ha affermato che la prova della responsabilita’ per i reati di abbandono risiedeva sulla circostanza che (OMISSIS) aveva lasciato materialmente la (OMISSIS) salendo sul tetto della scialuppa prima di alcuni membri dell’equipaggio, che in quel momento era consapevole della presenza di altre persone a bordo, e che era sua intenzione abbandonare definitivamente la nave. Non aveva invece considerato quanto esposto dalla difesa nei motivi di appello, e dimostrato con richiamo a puntuali riscontri probatori, e precisamente: che (OMISSIS) era saltato a bordo della scialuppa pochi istanti prima che la nave si rovesciasse assumendo la posizione finale, ed aveva sbloccato la scialuppa che si era potuta allontanare salvando la vita delle persone a bordo; che aveva agito ricorrendo l’ipotesi del soccorso di necessita’, per salvare non se stesso ma terze persone esposte ad un pericolo attuale ed imminente; che era ignaro che sul lato sinistro della (OMISSIS) vi fossero ancora persone; che era sua intenzione risalire a bordo e per questo aveva richiamato l’attenzione di un gommoncino che in quel momento era spuntato da dietro alla poppa del relitto, ma non era riuscito per il rischio di affondamento di tale mezzo; che gli ordini del Capitano (OMISSIS) che gli intimava di risalire a bordo erano ineseguibili e sbagliati, dato che la nave era ormai inclinata di 90, fino a quando poi gli aveva intimato di non abbandonare la sua posizione attuale.

Nella pronuncia di condanna per il reato di abbandono la Corte aveva poi violato il principio di legalita’ in quanto, posta la necessita’ di salire sulla scialuppa prima che la nave si capovolgesse, la condotta materiale di abbandono e’ stata intesa come “mancato ritorno sulla nave”. Il fatto di non essere risalito a bordo, dimostrava cioe’, per i giudici di merito, che quando il comandante era saltato sulla scialuppa aveva gia’ l’intenzione di non risalire piu’ a bordo. E’ stata quindi individuata una condotta di reato diversa da quella disciplinata dalla fattispecie incriminatrice. Il dato processuale era stato poi travisato e letto in maniera incompleta e deformata, non idoneo a confutare il dato certo che la discesa di (OMISSIS) sulla scialuppa doveva essere momentanea, che egli aveva fatto di tutto per risalire a bordo, che era ignaro che vi fossero ancora persone da sbarcare.

Nulla si argomenta poi sull’elemento soggettivo del reato di abbandono, poiche’ se la Corte si sofferma sul dato rappresentativo della presenza di persone a bordo, non affronta poi il tema del dato volitivo dell’agente. Vi sarebbe stato quindi un appiattimento della sentenza sul solo momento rappresentativo del dolo, dunque un’indagine del profilo soggettivo affatto esaustiva, mancando qualsiasi confronto con la questione, altrettanto decisiva, relativa alla prospettiva della volizione dell’agente, quasi che la stessa non assumesse carattere dirimente ai fini della configurazione del delitto in esame.

10.8. Con l’ottavo motivo si lamenta violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per avere la Corte d’Appello di Firenze, illegittimamente, ritenuto sussistenti in capo al ricorrente le circostanze aggravanti della violazione della normativa antinfortunistica e dell’avere, nell’esercizio delle sue funzioni, determinato a commettere il reato persone a lui soggette, con riferimento al capo b) della rubrica.

Nei motivi di appello la difesa aveva evidenziato che ai sensi del Decreto Legislativo 27 luglio 1999, n. 271, articolo 5, comma 2, le misure relative alla prevenzione degli infortuni, all’igiene e alla sicurezza a bordo, sono a carico dell’armatore e che l’armatore ed il comandante della nave, nell’ambito delle rispettive competenze, sono obbligati (ai sensi del comma 5 del citato articolo), a designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori marittimi. Nel caso di specie, tale nomina era stata effettuata nella persona del K2, circostanza che esonerava il comandante (OMISSIS) da qualsiasi responsabilita’ in materia di sicurezza e prevenzione.

La Corte di Firenze, incorrendo in un eclatante vizio di motivazione, aveva richiamato l’articolo 7, lettera e) del citato decreto, che pone a carico del comandante un preciso obbligo, nel caso di incidente idoneo a esporre a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori, di adottare idonee misure volte sia a risolvere la causa dell’evento negativo, sia a limitare al minimo i rischi per i lavoratori. Aveva quindi ritenuto l’imputato responsabile di plurime violazioni di tale norma, per aver omesso di inviare il segnale per falla a bordo, tenendo cosi’ all’oscuro il resto dell’equipaggio sulla causa della situazione di crisi e, quindi, ritardato la chiamata dell’emergenza generale, prima, e l’autorizzazione all’abbandono nave, poi, esponendo cosi’ tutti i membri dell’equipaggio, oltre ovviamente i passeggeri, a gravi rischi per la propria sicurezza personale. Quanto alla nomina del K2 a responsabile per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva ritenuto che tale nomina non esonerasse il comandante della nave dalla responsabilita’ di adottare, in caso di incidente, ogni misura atta a rimuovere l’evento negativo e, comunque, a ridurre al minimo i rischi per i lavoratori, dato che la funzione del responsabile era di mero ausilio tecnico, diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro, o chi lo rappresenta, nella individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti.

Il ricorrente lamenta l’inconferenza del richiamo al del Decreto n. 271 del 1999, articolo 7, lettera e) e la illogicita’ della motivazione sul punto.

Altro profilo di illogicita’ della motivazione viene evidenziato con riferimento all’aggravante di cui all’articolo 112 c.p., comma 1 n. 3, – contestata in relazione al reato sub b) – in quanto era stato (OMISSIS) a ricevere informazioni errate dai suoi sottoposti.

La Corte invece, oltre a ritenere non veritiera e priva di fondamento probatorio detta affermazione difensiva, aveva comunque rilevato che la corresponsabilita’ degli ufficiali subordinati per tali condotte illecite, in quanto gli ordini del loro superiore erano manifestamente illeciti, non escludeva la sussistenza dell’aggravante in questione, essendo la condotta ampiamente provata ed avendo essi agito sotto il condizionamento psicologico, derivante dalla situazione di subalternita’ rispetto al loro comandante che tali condotte chiedeva di porre in essere.

Gli accertati illeciti degli ufficiali subordinati avrebbero dovuto invece portare ad escludere la responsabilita’ del comandante.

10.9. Con il nono motivo di ricorso si denuncia violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera c) ed e), in relazione all’articolo 62 c.p., n. 6, articoli 62 bis e 133 c.p. e articolo 27 Cost., comma 2, per avere la Corte d’Appello di Firenze omesso di motivare in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, invocate dalla difesa del ricorrente nel decimo motivo di gravame. Violazione di legge, violazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, omessa motivazione.

Nei motivi di appello il ricorrente aveva sottoposto all’attenzione della Corte, a sostegno della richiesta di concessione delle attenuanti generiche, i seguenti elementi di valutazione positiva: la condotta pienamente collaborativa tenuta con gli inquirenti sin dalle prime fasi delle indagini preliminari; il corretto comportamento processuale; la condotta, contemporanea e successiva al reato, essendosi adoperato per salvare vite umane, integrante anche la circostanza attenuante specifica dell’articolo 62 c.p., n. 6); l’incensuratezza; l’ineccepibile condotta di vita, tenuta prima dei fatti di causa, trattandosi di soggetto che, proprio in ragione della sua encomiabile carriera marinara, era approdato al Comando della (OMISSIS); l’assoluta eccezionalita’ della cornice di eventi in cui si iscrivono le condotte – comunque colpose – ascritte all’imputato, anche alla luce della totale solitudine, connessa alla scarsa ed inefficiente collaborazione ricevuta dagli altri membri dell’equipaggio, in cui l’imputato si trovo’ a fronteggiare una gigantesca emergenza.

La Corte di Firenze, con mere formule di stile, riteneva invece: che lo stato di incensuratezza non poteva giustificare, di per se’, la concessione delle attenuanti generiche, a seguito della modifica normativa apportata all’articolo 62 bis c.p., comma 3; che l’encomiabile carriera marinara non aveva attinenza e non poteva giustificare una riduzione di pena in rapporto con quanto accaduto nella vicenda in questione; che il complessivo comportamento processuale non era stato improntato al fondamentale principio di lealta’, per avere l’imputato contestato le diverse circostanze anche contro ogni dato oggettivo, al fine di sminuire quanto inizialmente dichiarato davanti al G.I.P.; che il grado di colpa che aveva connotato il naufragio era stato di grado elevato, e solo in minima parte ridotto in ragione della concorrente responsabilita’ di terzi, per le modalita’ della condotta, la molteplicita’ delle norme cautelari infrante ed i motivi vacui per i quali la nave, con oltre 4000 persone a bordo, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, era stata, per esclusiva decisione dell’imputato, condotta in quelle condizioni di estremo pericolo, fino a giungere a conseguenze disastrose; che non poteva essere concessa l’attenuante del ravvedimento operoso e neppure positivamente valutato l’intervento risolutore di (OMISSIS) nell’aver sbloccato la scialuppa di salvataggio, che altrimenti sarebbe stata schiacciata dal peso della nave, poiche’ egli era salito prima di altri sulla detta scialuppa e dato indicazioni al pilota su come allontanarsi dalla nave; che neppure erano ravvisabili “meriti” nell’aver deciso di non ancorare a largo per procedere immediatamente alle operazioni di evacuazione, ma di attendere che la nave si arenasse sul basso fondale in conseguenza dello scarrocciamento verso la costa.

In tal modo la Corte di Appello, secondo gli assunti difensivi, non aveva attribuito il reale valore alle condotte del ricorrente, sia prima che dopo il naufragio.

10.10. I motivi nuovi depositati dai difensori contengono un allegato parere pro veritate del prof. (OMISSIS) e in parte puntualizzano alcune censure gia’ prospettate con il ricorso principale e, sotto altro spetto, contestano le ragioni di ricorso del P.G.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, si insiste sull’eccezione di nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera a) sia perche’ il processo e’ stato trattato dalla Sezione Prima penale e non dalla Sezione Terza penale della Corte di merito, tabellarmente competente in materia, sia perche’ e’ stato costituito un collegio ad hoc. Sul punto la difesa lamenta che il Presidente della Corte d’Appello di Firenze ha rigettato tutte le richieste volte ad ottenere la composizione dei collegi per il periodo di interesse e che solo dopo il deposito del ricorso per cassazione e’ stata fornita copia conforme delle tabelle per il triennio 2014-2016.

Con riferimento al quinto motivo di ricorso, si espongono i principi in materia di colpa con previsione dell’evento e si contesta quanto argomentato in sentenza sulla responsabilita’ colposa aggravata per il naufragio.

Con riferimento al primo motivo di ricorso del P.G., volto all’annullamento della sentenza laddove esclude la colpa cosciente in relazione ai delitti di lesioni e omicidio plurimi, si esclude che gli indici sintomatici indicati dal P.G. siano indicativi di una previsione dell’evento, risolvendosi essenzialmente in affermazioni oggetto di captazione e dichiarazioni post factum del Comandante. In nessun caso si rispetta quanto indicato da dottrina e giurisprudenza in merito alla struttura della colpa con previsione, la quale richiede che l’autore metta in connessione causale la consapevole trasgressione delle regole di cautela con la previsione effettiva dell’evento.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso del P.G. se ne rileva l’inammissibilita’.

Con riferimento al sesto e settimo motivo di ricorso dell’imputato, si deposita un cd, asseritamente dimostrativo dei travisamenti della prova denunciati come vizio motivazionale.

10.11. Con memoria in data 4 aprile l’imputato svolge considerazioni integrative del ricorso presentato dai suoi difensori.

In particolare argomenta:

– sulla composizione del Collegio che ha celebrato il processo d’appello;

– sulle modalita’ con cui e’ stata contestata l’accusa di naufragio colposo: il numero delle condotte indicate dal P.M. ha impedito una valida difesa, mancando una indicazione chiara e precisa del fatto per il quale l’imputato e’ stato poi condannato;

– sull’accertamento del nesso di causalita’, evidenziando che sono state contestate condotte sia commissive che omissive;

– sull’elisione del nesso di causalita’ tra condotta dell’imputato ed evento, dovuto alle condotte di altri soggetti, cioe’ a fattori eccezionali e non prevedibili da soli idonei a determinare il naufragio (cambiamento di rotta rispetto a quella segnata dal cartografo (OMISSIS));

– sull’affidamento da parte del Comandante che ogni membro dell’equipaggio rispetti gli ordini impartiti, in virtu’ del rapporto rigorosamente gerarchico e la molteplicita’ dei ruoli ricoperti da ciascuno;

– sulla ritenuta aggravante della colpa cosciente in relazione al naufragio;

– sul trattamento sanzionatorio.

10.12. Con successiva memoria in data 14 aprile l’imputato rileva che sin dall’udienza preliminare la difesa aveva richiesto un approfondimento peritale circa la reale tenuta delle porte stagne, attesa l’enorme incidenza causale negli omicidi colposi (allegate le richieste). Era stata comunque richiesta la riconvocazione dei periti d’ufficio, in contraddittorio con i consulenti di parte, su una serie di punti. La Corte d’Appello ha ritenuto superfluo tale approfondimento istruttorio ritenendo che i quesiti proposti avessero gia’ trovato risposta. Insiste quindi per un annullamento con rinvio per tutti gli accertamenti indispensabili e necessari ai fini della verifica delle disfunzioni relative alla tenuta delle porte stagne che potrebbero aver da sole determinato gli eventi mortali.

10.13. Per tutti gli esposti motivi il ricorrente chiede l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza, per un nuovo giudizio da parte di altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, tabellarmente competente, in accoglimento del primo motivo, ovvero, in subordine, secondo le censure, anche di natura processuale, avanzate nelle singole ragioni di gravame.

LA MEMORIA DELLA PARTE CIVILE INAIL:

11. Con memoria depositata in atti, l’INAIL osserva, quale parte civile, che tutti i motivi di ricorso si rivelano inammissibili o, in subordine, infondati, trattandosi di censure non consentite nel giudizio di legittimita’, in quanto concernenti la ricostruzione e la rivalutazione del fatto, nonche’ l’apprezzamento del materiale probatorio utilizzato dalla Corte di Appello.

Ripercorre quindi il contenuto della impugnata sentenza, relativamente alle condotte ed ai profili di colpa ascritti all’imputato per il naufragio e quindi per la gestione dell’emergenza e per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose, soffermandosi da ultimo sul trattamento sanzionatorio.

Conclude per il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza d’appello.

L’istanza avanzata dall’avv. (OMISSIS) all’udienza del 20 aprile 2017 e la decisione della corte sul punto.

12. Alla udienza del 20 aprile 2017, dopo le relazioni riassuntive della sentenza impugnata, del contenuto dei ricorsi e delle memorie di parte, sono state rassegnate le conclusioni dal Procuratore Generale, dalle parti civili presenti e dall’Avv. (OMISSIS).

Il difensore Avv. (OMISSIS), prima di rassegnare le proprie conclusioni, ha chiesto di poter visionare in udienza il CD allegato alla memoria integrativa: il Procuratore Generale si e’ opposto e sul punto la Corte si e’ riservata, rinviando in prosieguo al 12 maggio.

All’odierna udienza l’Avv. (OMISSIS) si e’ opposto a che venisse data la parola alle parti civili in merito a tale richiesta.

Il Collegio si e’ riservato ed ha pronunciato ordinanza di rigetto dell’opposizione, dandone lettura in udienza, rilevando: che la richiesta di visionare il supporto informatico nel corso della discussione orale era stata formulata per la prima volta dall’Avv. (OMISSIS), dopo l’intervento del codifensore Avv. (OMISSIS), successivamente alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale e dalle parti civili presenti; che sulla stessa era stato acquisito il parere del Procuratore Generale; che pertanto andava assicurato il contraddittorio anche per le parti civili presenti in udienza.

A seguito del pieno contraddittorio tra le parti al riguardo, di cui a verbale, la Corte ha rigettato l’istanza proposta dall’avv. (OMISSIS) come da ordinanza letta in udienza.

Dopo la lettura di detta ordinanza, la discussione e’ stata ultimata con l’intervento e le conclusioni dell’avv. (OMISSIS).

Indi la Corte si e’ ritirata in camera di consiglio per deliberare.

Mette poi conto sottolineare, per completezza espositiva, che, con ordinanza in data 28 giugno 2017, si e’ provveduto alla correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo letto in udienza, su istanza delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), in ordine alla liquidazione delle spese in loro favore.

In tale provvedimento si e’ rilevato che le dette parti civili erano assistite da due diversi difensori, con conseguente diritto di ciascuna ad un’autonoma liquidazione del compenso, mentre nel dispositivo era stato liquidato un unico compenso come se vi fosse stato un unico difensore ad assistere entrambe.

Di qui la correzione dell’errore materiale nel senso che il compenso liquidato in complessivi Euro 3.000,00 in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) (dato dal compenso base di Euro 2.500,00 maggiorato del 20% ex Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 12, comma 2) va modificato nel senso di due autonome liquidazioni di Euro 2.500,00 ciascuna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente dato atto del contenuto dell’ordinanza di rigetto della richiesta dell’Avv. (OMISSIS) volta alla visione del CD allegato ai motivi in data 4 aprile 2017, di cui si e’ fatto cenno in narrativa, e che si ritiene opportuno riportare integralmente qui di seguito:

“Con memoria in data 4 aprile 2017, contenente motivi aggiunti, i difensori di (OMISSIS), con riferimento al sesto e settimo motivo di ricorso, hanno depositato un CD “contenente la prova documentale e filmica (trattasi di immagini tutte presenti nel fascicolo processuale, ed estrapolate dal CD depositato dai pubblici ministeri che fu proiettato in aula all’udienza del 3 dicembre 2014) dei denunciati travisamenti per omessa motivazione sulla rilevanza di dette prove e delle omissioni, in tema di violazione del diritto all’acquisizione di prove determinanti ed inconciliabili con il percorso giustificativo della decisione, nei quali sono incorsi i giudici del fatto con specifico riferimento ai reati di abbandono nave nonche’ degli omicidi colposi plurimi aggravati” (cosi’ si legge testualmente in detta memoria).

Alla scorsa udienza, dopo l’intervento dell’avv. (OMISSIS), l’Avv. (OMISSIS), altro difensore dello (OMISSIS), ha avanzato richiesta di visionare il contenuto di tale CD; nel proporre l’istanza, e nell’insistere nel suo accoglimento, la difesa dello (OMISSIS) ha precisato che la produzione di detto CD sarebbe riconducibile al denunciato vizio di travisamento della prova e che si tratterebbe comunque di “…immagini tutte presenti nel fascicolo processuale, ed estrapolate dal CD depositato dai pubblici ministeri che fu proiettato in aula all’udienza del 3 dicembre 2014…” (pag. 14 della memoria).

La richiesta difensiva, quale sopra precisata, e’ volta ad ottenere dunque la videoproiezione nell’aula di udienza di un supporto in formato CD, allegato ai motivi nuovi di ricorso – rassegnati, come detto, in data 4 aprile 2017 – che, in base a quanto si evince dallo stesso testo dei motivi nuovi, e’ stato realizzato “estrapolando” immagini da un CD depositato dai pubblici ministeri e visionato in aula nel corso del giudizio di merito, e non risulta aver formato oggetto di acquisizione agli atti nel corso del giudizio di merito.

L’istanza in esame non puo’ trovare accoglimento per le ragioni di seguito indicate.

Bisogna muovere innanzi tutto dalla formulazione delle norme che dettano le regole generali concernenti il giudizio di cassazione, ed in particolare: l’articolo 609 c.p.p., che limita la cognizione della Corte di Cassazione ai “motivi proposti”; l’articolo 614 c.p.p., in cui sono specificamente elencate le formalita’ e le cadenze di svolgimento dell’udienza: orbene, dalla lettura di tali disposizioni si rileva agevolmente come in sede di scrutinio di legittimita’ non vi sia alcuno spazio per l’assunzione di fonti di prova da parte del Collegio giudicante.

Con l’istanza in esame la difesa dell’imputato non chiede a questa Corte di valutare l’adeguatezza, la congruita’ e la logicita’ della motivazione del giudice di merito circa un apprezzamento probatorio espresso da detto giudice in ordine ad atti precisamente indicati ed esistenti nel processo, ma di valutare il contenuto di un supporto informatico, previa diretta visione dello stesso, realizzato a fini difensivi ma non sottoposto all’esame dei giudici di merito (i quali presero visione del diverso CD depositato dai pubblici ministeri): cosi’ chiedendo, in sostanza, a questa Corte di disporre una sorta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, invece del tutto estranea al giudizio di legittimita’ (trattandosi di facolta’ riservata al (solo) giudice dell’appello ex. articolo 603 c.p.p.).

Dunque, la visione in questa sede del CD in argomento snaturerebbe il giudizio di cassazione posto che determinerebbe un contatto immediato tra la Corte di cassazione ed un accertamento in fatto (praticamente, una valutazione probatoria direttamente in sede di legittimita’); al riguardo, deve invero ribadirsi anche in questa occasione che “il giudice di legittimita’ non puo’ conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perche’ cio’, dopo due gradi di merito, e’ estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perche’ non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introdu(OMISSIS) direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto piu’ se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente” (in termini: Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 Cc. – dep. 24/03/2015).

Secondo un principio di carattere generale – che scaturisce proprio dalle peculiarita’ del giudizio di cassazione – e’ cioe’ indispensabile una precedente esaustiva sollecitazione, al Giudice del secondo grado, di uno specifico apprezzamento di merito volto all’accertamento delle situazioni e degli aspetti in fatto che costituiscono il necessario presupposto su cui basare poi le doglianze di legittimita’. Trattasi di dictum ancora riaffermato in una recente decisione di questa Corte laddove e’ stato condivisibilmente precisato che la mancata tempestiva deduzione in sede di merito di uno specifico apprezzamento probatorio non puo’ essere superata neppure strumentalizzando in qualche modo l’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso: “…questo, in altri termini, non puo’ essere utilizzato per introdurre nel processo di legittimita’ aspetti in fatto, pur pertinenti ma che avrebbero dovuto essere proposti ai Giudici del merito (eventualmente poi dolendosi, in relazione ad essi, delle loro risposte mancate o viziate ai sensi della lettera E dell’articolo 606 c.p.p., comma 1)” (cosi’, testualmente, Sez. 6, n. 12645 del 2015).

Mette conto sottolineare, ad abundantiam – con riferimento alla produzione di documenti in genere – che nella giurisprudenza di questa Corte e’ stato piu’ volte precisato come la specificita’ del giudizio di legittimita’ comporti che nell’ambito dello stesso non possano essere prodotti nuovi documenti attinenti al merito della regiudicanda, ad eccezione di quelli che l’interessato non sia stato in condizione di esibire nei precedenti gradi di giudizio e dai quali puo’ derivare l’applicazione dello ius superveniens, di cause estintive o di disposizioni piu’ favorevoli, dal momento che la Corte di cassazione non puo’ mai procedere ad un esame degli atti, ma solo alla valutazione circa la esistenza della motivazione e della sua logicita’ (ex plurimis: Sez. 3, n. 27417 del 01/04/2014, C, Rv. 259188; Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Rv. 257541); principio affermato anche in relazione alla possibilita’ di svolgere indagini difensive ai sensi della legge n. 397/2000: “non e’ ammissibile nel giudizio di legittimita’, anche dopo l’entrata in vigore della legge 7 dicembre 2000, n.397, la produzione di nuovi documenti attinenti al merito della contestazione e all’applicazione degli istituti sostanziali, non potendosi interpretare come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di cassazione la lettera dell’articolo 327 bis c.p.p., comma 2 nella parte in cui attribuisce al difensore la facolta’ di svolgere “in ogni stato e grado del processo” investigazioni in favore del proprio assistito “nelle forme e per le finalita’ stabilite nel titolo 6 del presente libro'” (in termini: Sez. 3, n. 43307 del 19/10/2001 Ud. – dep. 03/12/2001 – Rv. 220601).

In linea con i principi appena ricordati, e’ stato altresi’ ulteriormente precisato che e’ ammessa la produzione di documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che detti documenti non costituiscano nuova prova e non comportino un’attivita’ di apprezzamento circa la loro validita’ formale e la loro efficacia nel contesto delle prove gia’ raccolte e valutate dai giudici di merito (cfr. Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390).

Nella specie, non si versa in alcuna delle ipotesi eccezionali in cui e’ consentita la produzione di nuovi documenti in questa sede, atteso che la finalita’ della produzione del CD (e della conseguente istanza di visionario) non e’ costituita dall’applicazione di disposizioni di favore, ma, come detto, e’ quella di proporre al Collegio una valutazione di materiale probatorio – un CD, giova ripeterlo, nemmeno sottoposto al vaglio dei giudici di merito – incompatibile con il sindacato di legittimita’ demandato a questa Corte per quanto sopra argomentato.

Ed e’ certamente significativa la differenza, in materia di possibilita’ di produrre “nuovi” documenti nel giudizio di cassazione, che si coglie tra il codice di rito previgente – il cui articolo 533 consentiva al difensore (anche) di presentare “nuovi documenti” entro 15 giorni dalla notificazione dell’avviso con il quale il cancelliere comunicava che gli atti erano pervenuti in Cassazione – e quello attualmente in vigore, come sottolineato da Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013 Cc. (Rv. 257541): “nel giudizio di legittimita’ non e’ consentita – non essendo riprodotto nel vigente codice di rito il previgente articolo 533 – la produzione di nuovi documenti, salvo il caso in cui essa non sia stata possibile nei precedenti gradi di giudizio e concerna documenti non attinenti al merito e dai quali possa derivare l’applicazione dello “ius superveniens, di cause estintive o di disposizioni piu’ favorevoli”.

Conclusivamente, alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, l’istanza in argomento non puo’ trovare accoglimento.

P.Q.M.:

Rigetta l’istanza e dispone procedersi oltre”.

2. Prima di procedere all’esame dei singoli motivi di ricorso del P.G. e dell’imputato, appare opportuno soffermarsi preliminarmente sulla disamina di alcune questioni che sono state sollevate dalle parti ricorrenti e che costituiscono aspetti comuni dei vari motivi.

Ci si riferisce alle problematiche relative alla colpa cosciente, ai profili del vizio della motivazione censurabili in sede di legittimita’, in particolare sotto il profilo del travisamento della prova in caso di c.d. “doppia conforme”, della possibilita’ di esaminare motivi in fatto e di procedere a nuova valutazione delle prove, ed ancora ai limiti del sindacato di questa Corte in ordine al trattamento sanzionatorio.

Inoltre, poiche’ il contenuto dei singoli motivi di ricorso e’ stato gia’ compiutamente analizzato nella premessa narrativa, a tale esposizione si intende fare riferimento per evitare inutili ripetizioni.

3. La colpa cosciente.

La tematica della colpa cosciente riguarda il primo motivo di ricorso del Procuratore Generale di Firenze, che lamenta la non corretta applicazione, o meglio la disapplicazione, dell’articolo 61 c.p., n. 3 in ordine ai reati di omicidio e lesioni plurimi colposi, ed il quinto motivo del ricorso dei difensori dell’imputato, che si dolgono invece, sotto un’opposta prospettazione, della ritenuta aggravante in relazione al delitto di naufragio.

La colpa cosciente o colpa con previsione costituisce il contenuto della circostanza aggravante comune disciplinata dall’articolo 61 c.p., n. 3, che prevede un aumento di pena per chi, nei delitti colposi, abbia agito nonostante la previsione dell’evento.

L’esplicazione contenutistica dell’aggravante in esame e’ frutto, come e’ noto, dell’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, che si e’ interrogata ed ha fornito risposte soprattutto in ordine alla linea di confine tra tale elemento soggettivo del reato ed il dolo eventuale.

La questione che interessa questo processo e’ in realta’ diversa: si controverte infatti sul discrimine tra colpa semplice e colpa aggravata, ma e’ evidente che la soluzione va trovata a monte nella definizione della “previsione dell’evento”, cui fara’ poi seguito l’analisi degli indicati motivi dei ricorsi, analisi che confrontera’ gli elementi concettuali che si andranno ad esporre in questa sede (sia pur brevemente data la complessita’ del tema), con gli elementi acquisiti al processo, su cui fondare la decisione.

L’articolo 42 c.p., dopo aver affermato che nessuno puo’ essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volonta’, dispone che nessuno puo’ essere punito per un delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.

L’articolo 43 definisce poi l’elemento psicologico del delitto, precisando che: e’ doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che e’ il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, e’ dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; e’ colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non e’ voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

L’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento integra l’aggravante in esame.

3.1. Tratto comune tra dolo eventuale e colpa cosciente e’ dunque la previsione dell’evento.

Secondo una risalente pronuncia, questa previsione dell’evento, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente nella volizione dell’azione ne accetta il rischio, cosi’ che la volonta’ investe anche l’evento rappresentato.

Nella colpa cosciente la verificabilita’ dell’evento rimane invece un’ipotesi astratta, che nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non e’ in alcun modo voluta (Sez. 1, n.832 del 8/11/1995, Rv.203484).

Nelle successive pronunce della giurisprudenza di legittimita’ si e’ andata ampliando la nozione di dolo eventuale, nel senso che lo si e’ ritenuto sussistente ogni qual volta l’agente si rappresenti un evento lesivo quale possibile conseguenza della propria condotta e, cio’ nonostante, non si trattenga dall’agire, accettando pertanto il rischio della sua verificazione.

A cio’ si e’ contrapposta la costruzione di una nozione di colpa cosciente piu’ ristretta, per la quale questa sussiste soltanto qualora l’agente, superando la iniziale rappresentazione dell’evento, ne escluda la possibilita’ di verificazione, giungendo cosi’ alla convinzione che questo non si verifichi.

Di qui allora una serie di pronunce significative – e ci si limita alle piu’ recenti – nelle quali si e’ statuito che la cosiddetta colpa cosciente (aggravata dalla previsione dell’evento) consiste nella rappresentazione dell’evento come possibile risultato della condotta e nella previsione e prospettazione che esso non si verifichera’, avendo l’agente il convincimento di poterlo evitare, e si differenzia pertanto dal dolo eventuale, per il fatto che quest’ultimo si risolve invece nell’accettazione del rischio di verificazione di un evento necessariamente specifico ma non direttamente voluto, sia pure rappresentato (Sez. 4, n.11222 del 18/2/2010, Rv. 249492; Sez. 4, n. 39898 del 377/2012, Rv. 254673; Sez. 4, n. 24612 del 10/4/2014, Rv. 259239).

3.2. Si e’ giunti poi alla nota sentenza delle Sezioni Unite 24/4/2014 n. 28343 pronunciata sul caso (OMISSIS), che ha individuato in modo chiaro l’essenza della colpa cosciente, tracciandone una netta linea di confine con il dolo eventuale.

Le Sezioni Unite partono da una premessa teorica, costituita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cui si e’ prima fatto richiamo) “che ha ravvisato nel dolo eventuale l’accettazione da parte dell’agente della concreta possibilita’, intesa in termini di elevata probabilita’, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo conseguito in via primaria: l’agente, pur non avendo avuto di mira un determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo di realizzarlo, sicche’ lo stesso non puo’ considerarsi non riferibile alla determinazione volitiva. Si versa invece nell’ambito della colpa cosciente, sempre alla stregua di tale giurisprudenza, quando l’agente abbia posto in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell’evento, ma ne abbia escluso la possibilita’ di realizzazione, non volendo ne’ accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione o nella ragionevole speranza di poterlo evitare. Occorre inoltre nel dolo eventuale una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro”.

Sempre sul confine tra dolo eventuale e colpa cosciente la sentenza prosegue rimarcando alcune “sfumature” nella giurisprudenza.

Ricorda che “in alcune pronunce la linea di demarcazione e’ individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente che, nel primo caso accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nel secondo, nonostante l’identita’ di prospettazione, respinge il rischio, confidando nella propria capacita’ di controllare l’azione, sicche’ esso non e’ voluto e non e’ accettato per il caso che si verifichi”. Si tratta di elementi psicologici che vanno ricostruiti affidandosi agli elementi sintomatici evidenziati dal comportamento del soggetto (Sez. 4, n. 11024 del 10/10/1996, Rv.207333).

“In altre pronunce, invece, la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente e’ piu’ orientata verso il profilo rappresentativo: nel primo la verificazione dell’evento si presenta come una concreta possibilita’ e l’agente, attraverso la volizione dell’azione, ne accetta il rischio; mentre nell’altra la verificabilita’ dell’evento rimane un’ipotesi astratta che nella coscienza dell’agente non viene concepita come concretamente realizzabile e pertanto non e’ in alcun modo voluta” (Sez. 1, n. 832/1995 cit.; Sez. 1, n. 4583 del 24/2/1994, Rv.198272).

La sentenza in esame sottolinea quindi la diversita’ di fondo tra colpevolezza dolosa e colpevolezza colposa e considera dirimente, per la soluzione della questione, l’atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta.

“Nel dolo non puo’ mancare la puntuale, chiara conoscenza di tutti gli elementi del fatto storico propri del modello legale descritto dalla norma incriminatrice. In particolare, le istanze di garanzia in ordine al rimprovero caratteristico della colpevolezza dolosa richiedono che l’evento oggetto della rappresentazione appartenga al mondo del reale, costituisca una prospettiva sufficientemente concreta, sia caratterizzato da un apprezzabile livello di probabilita’. Solo con riferimento ad un evento cosi’ definito e tratteggiato si puo’ istituire la relazione di adesione interiore che consente di configurare l’imputazione soggettiva. In breve, l’evento deve essere descritto in modo caratterizzante e come tale deve essere oggetto di chiara, lucida rappresentazione; quale presupposto cognitivo perche’ possa, rispetto ad esso, configurarsi l’atteggiamento di scelta d’azione antigiuridica tipica di tale forma di imputazione soggettiva”.

Diversa e’ la colpevolezza colposa, nella quale il codificatore ha configurato, “accanto all’istanza di prevedibilita’ dell’evento, implicitamente postulata da tale istituto, anche la situazione di concreta previsione dell’esito antigiuridico che caratterizza la colpa cosciente. Per evitare confondimenti con i distinti e gia’ indicati connotati della colpevolezza dolosa occorre partire dalla connessione tra regola cautelare ed evento. L’evento deve costituire concretizzazione del rischio che la cautela era chiamata a governare.

Dal punto di vista soggettivo per la configurabilita’ del rimprovero e’ sufficiente che tale connessione tra la violazione delle prescrizioni recate dalle norme cautelari e l’evento sia percepibile, riconoscibile dal soggetto chiamato a governare la situazione rischiosa. Nella colpa cosciente si verifica una situazione piu’ definita: la verificazione dell’illecito da prospettiva teorica diviene evenienza concretamente presente nella mente dell’agente; e mostra per cosi’ dire in azione l’istanza cautelare. L’agente ha concretamente presente la connessione causale rischiosa; il nesso tra cautela ed evento. L’evento diviene oggetto di una considerazione che disvela tale istanza cautelare, ne fa acquisire consapevolezza soggettiva. Di qui il piu’ grave rimprovero nei confronti di chi, pur consapevole della concreta temperie rischiosa in atto, si astenga dalle condotte doverose volte a presidiare quel rischio. In questa mancanza, in questa trascuratezza, e’ il nucleo della colpevolezza colposa contrassegnata dalla previsione dell’evento: si e’, consapevolmente, entro una situazione rischiosa e per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altra biasimevole ragione ci si astiene dall’agire doverosamente. Tale situazione e’ tutt’affatto diversa da quella prima delineata a proposito della puntuale conoscenza del fatto quale fondamento del rimprovero doloso, basato, lo si rammenta ancora, sulla positiva adesione all’evento collaterale che, ancor prima che accettato, e’ chiaramente rappresentato”.

3.3. Puo’ quindi affermarsi e concludersi, in questa sede di esame speculativo della questione, che, sebbene accomunati dalla “previsione dell’evento”, il dolo eventuale e la colpa cosciente sono figure che si pongono su piani ben distinti della soggettivita’ giuridica: nel dolo eventuale l’agente pone in essere la condotta antidoverosa voluta, non solo nella consapevolezza del rischio della realizzazione di un evento concretamente rientrante nella prevedibilita’, ma accetta l’evento medesimo quale ulteriore esito della sua azione od omissione; nella colpa cosciente invece l’autore si rappresenta solo l’astratta previsione di un evento, tra gli esiti possibili della sua condotta attiva od omissiva, ma ne sottostima fino ad escluderle le probabilita’ di verificazione.

Alla luce di questi arresti giurisprudenziali verranno esaminati i motivi di ricorso cui si e’ all’inizio fatto cenno, confrontandoli con le argomentazioni sviluppate dalla Corte d’Appello di Firenze, la quale, giova sin da ora anticipare, ha fatto buon governo degli enunciati principi giurisprudenziali, ravvisando in un’ipotesi delittuosa (omicidi e lesioni) la colpa semplice e nell’altra (naufragio) la colpa con previsione.

4. I limiti del sindacato di legittimita’: l’esame dei motivi in fatto e le questioni sul travisamento della prova.

In alcuni dei motivi di ricorso (come meglio si vedra’ nella disamina di ciascuno di essi) vengono prospettate talune questioni che, in concreto, si risolvono nel sollecitare una rivalutazione di questioni fattuali e di merito, o un diverso apprezzamento del materiale probatorio; altrove sono dedotte doglianze con le quali si denuncia il travisamento della prova.

Si tratta di questioni comuni a piu’ motivi di ricorso, riguardo alle quali e’ opportuno richiamare fin d’ora i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, e qui condivisi, a proposito di dette questioni, in modo da fare rinvio a tali principi, ove del caso, nella successiva disamina dei singoli motivi di lagnanza.

4.1. Senza fare, per il momento, specifico riferimento alle censure mosse dai ricorrenti (P.G. e imputato), e inquadrabili nei termini suddetti, possono di seguito fissarsi alcuni criteri generali, tesi a individuare lo spartiacque tra doglianze che attaccano la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, collocandosi nell’area di applicazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); e doglianze che, pur presentate come tese a lamentare tale vizio, insorgono in realta’ contro valutazioni e argomentazioni di ordine fattuale, come tali demandate in via esclusiva ai giudici di merito ed insuscettibili di vaglio in sede di giudizio di legittimita’.

La specifica questione in esame si pone non tanto nel caso di denunciata mancanza della motivazione, quanto piuttosto nel caso di motivi di ricorso che attaccano la contraddittorieta’ della motivazione stessa, o lamentano la manifesta carenza di tenuta logica dell’incedere argomentativo attraverso il quale il giudice del merito perviene alla sua decisione.

E’ appena il caso di ricordare che la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione, in base al testo vigente dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), devono risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero (giusta modifica introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, comma 1) da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.

Si tratta di questione che va, in generale, risolta avendo riguardo, da un lato, al contenuto e all’oggetto delle doglianze; e, dall’altro, al percorso motivazionale seguito nel provvedimento impugnato.

4.2. Quanto, in particolare, alla denuncia di illogicita’ manifesta della motivazione, essa – come condivisibilmente osservato anche da autorevole dottrina – sollecita la Corte di legittimita’ a controllare la correttezza dell’inferenza probatoria, ossia il rapporto tra la premessa (il fatto noto) e le conclusioni che se ne traggono (il fatto accertato); sussiste illogicita’ manifesta allorquando, ad esempio, venga fatto un richiamo chiaramente incongruo a leggi scientifiche, oppure a massime d’esperienza, utilizzando al posto di esse mere regole sociologiche non accertabili nel caso singolo.

Nella giurisprudenza di legittimita’ si e’ affermato che sussiste l’ipotesi di “manifesta” illogicita’ della motivazione quando il giudice di merito, nel compiere l’esame degli elementi probatori sottoposti alla sua analisi e nell’esplicitare, in sentenza, l’iter logico seguito, si esprima attraverso una motivazione incoerente, incompiuta, monca e parziale, ossia attraverso una “carenza di logica” nella motivazione: detta carenza va desunta, piu’ che dalla mancanza di parti espositive del discorso motivazionale, dall’assenza di singoli elementi esplicativi, i quali siano tali da costituire tappe indispensabili di un percorso logico-argomentativo, che deve necessariamente snodarsi tra i temi sui quali il giudice e’ tenuto a formulare la sua valutazione (cfr. Sez. 5, n. 4893 del 16/03/2000, Frasca, Rv. 215966). Sotto la specie della manifesta illogicita’, in coerenza con la nozione dottrinaria che si e’ dianzi evocata, e’ stata ricondotta anche la frattura logica evidente tra una premessa, o piu’ premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (cfr. Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132).

4.3. Quanto, invece, alla contraddittorieta’ della motivazione, essa puo’ consistere in una contraddittorieta’ di natura logica, quando il percorso motivazionale contiene un contrasto fra argomentazioni, derivante da un cattivo uso della logica comune: in tal caso la nozione puo’ considerarsi ricompresa in quella di illogicita’ manifesta, della quale costituisce una particolare declinazione.

Puo’ poi parlarsi di una contraddittorieta’ di ordine processuale, che costituisce il proprium della riforma del 2006 e che si sostanzia in ipotesi di “infedelta’” della motivazione rispetto al processo (per distorsione dei risultati probatori, o per valutazione di prove non assunte, o per omessa motivazione di prove assunte); o, come si afferma in giurisprudenza, nell’incompatibilita’ tra l’informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente negli atti processuali (Sez. 3, n. 12110 del 21/11/2008 – dep. 2009, Campanella e altro, Rv. 243247). A quest’ultima fattispecie e’ ascrivibile, in particolare, il vizio di “travisamento della prova”.

4.4. La denuncia di contraddittorieta’ o di manifesta illogicita’ della motivazione deve, insomma, sollecitare al giudice di legittimita’ l’esame del percorso argomentativo della decisione impugnata sotto il profilo della sussistenza dei vizi di cui si e’ finora data indicazione.

Infatti, il perimetro nel quale e’ ammesso il sindacato di legittimita’ su una decisione di merito si distingue a seconda che oggetto di’ denuncia da parte del ricorrente sia il giudizio di diritto (come nei motivi attinenti alla violazione di legge), ovvero il giudizio di fatto (come nelle censure per vizio di motivazione, fra cui rientrano quelle in esame). Nel primo caso, il controllo del giudice di legittimita’ investe la stessa decisione del giudice di merito; nel secondo caso che e’ quello che qui interessa – il controllo si limita alla sola giustificazione fornita dal giudice di merito.

4.5. Tanto premesso, il controllo demandato dall’ordinamento alla Corte regolatrice con riguardo alle censure mosse alla motivazione del provvedimento impugnato dev’essere rapportato alle peculiarita’ del giudizio di legittimita’ e deve, pertanto, confrontarsi con i limiti, ontologicamente invalicabili, di tale giudizio: limiti che, per quanto qui interessa, sono costituiti dalla preclusione, in sede di legittimita’, di un sindacato della decisione e del giudizio di merito sul fatto. Per chiarire meglio, mutuando le espressioni usate da qualificata dottrina, “il giudice di legittimita’ non puo’ formulare una propria ipotesi ricostruttiva del fatto ne’ proporre massime di esperienza alternative rispetto a quelle adottate dal giudice di merito, per quanto plausibili e logicamente sostenibili, ma deve limitarsi a verificare che l’ipotesi ricostruttiva formulata o accolta dal giudice del merito risulti coerentemente verificata sulla base di plausibili massime di esperienza”.

Percio’, da un lato, restano estranei al sindacato di legittimita’ i rilievi in merito al significato della prova e alla sua capacita’ dimostrativa (fatte salve le peculiari e circoscritte ipotesi di “travisamento della prova”, di cui si dira’ infra); dall’altro, tale sindacato ha il precipuo compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice del merito, ma non anche il contenuto della medesima.

E’ di tutta evidenza che la (solo apparente) latitudine delle nozioni di “contraddittorieta’” o di “manifesta illogicita’” della motivazione non consente al ricorrente di estenderne la portata fino al punto di ricomprendervi censure che, piuttosto che attaccare l’impianto argomentativo della decisione impugnata (sotto i profili di coerenza e logicita’, come dianzi chiarito), postulano una rielaborazione critica delle acquisizioni probatorie e una rivalutazione delle circostanze fattuali, cosi’ introducendo, surrettiziamente, elementi di valutazione idonei a trasfigurare il sindacato di legittimita’ in un “terzo grado” del giudizio di merito: cio’ che e’ del tutto incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento processuale.

Ne consegue che la rispondenza delle questioni proposte nei motivi di ricorso ai canoni di giudizio di legittimita’ in punto di vizio di motivazione presuppone che sia, bensi’, sottoposto a scrutinio il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito, nei termini ed entro i limiti stabiliti dall’articolo 606, comma 1, lettera e); ma deve estendersi anche all’accertamento della pertinenza – rispetto a tali canoni di giudizio – dei motivi di doglianza proposti, che non devono consistere in una sollecitazione, diretta alla Corte regolatrice, a sovrapporre il proprio giudizio sul fatto rispetto a quello del giudice di merito, o a rivalutare criticamente il materiale probatorio che questi ha gia’ sottoposto ad esame (cio’ che non e’ consentito, per quanto detto, in sede di giudizio di legittimita’).

4.6. Come si e’ accennato, venendo al giudizio che ne occupa, in piu’ motivi di ricorso vengono articolate, per l’appunto, doglianze propositive di questioni in fatto, in termini che, sulla base delle considerazioni che precedono, non sono consentiti in questa sede, essendo per quanto detto escluse dal novero delle doglianze proponibili in sede di legittimita’ quelle tese ad attaccare la persuasivita’ delle argomentazioni rese dai giudici di merito, o a prospettare un’interpretazione alternativa del materiale probatorio.

In proposito, deve ricordarsi il pacifico e costante indirizzo della giurisprudenza di legittimita’ anche in composizione apicale, in base al quale l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074).

Piu’ di recente, nel solco del medesimo indirizzo, si e’ affermato che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Ancora, in perfetta coerenza con gli arresti finora richiamati, si e’ osservato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965).

Conclusivamente, non possono formare oggetto di sindacato di legittimita’ le alternative delle prove assunte: la disamina di esse e’ demandata in via esclusiva al giudice del merito ed e’ sottratta allo scrutinio della Corte regolatrice, laddove dette doglianze non attingano profili di macroscopica illogicita’ o inadeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato.

4.7. Quanto, invece, alle censure nelle quali vengono dedotti profili di travisamento della prova, deve ribadirsi che tale vizio e’ ravvisabile non gia’ allorquando con esso venga denunciato un qualsiasi equivoco epistemologico e percettivo nel quale sia caduto il giudice del merito, ma esclusivamente entro un ben delimitato numero di ipotesi, nelle quali affiori la contraddittorieta’ del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze di cui agli atti del processo specificamente indicati dal ricorrente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684); con il corollario che la denuncia di tale contraddittorieta’ (in quanto volta a censurare un vizio fondante della decisione) deve possedere un’autonoma forza esplicativa e dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento della sentenza e da determinare al suo interno radicali incompatibilita’ (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621). Un diverso modo di procedere si risolverebbe in una impropria – e, per quanto gia’ osservato, improponibile – riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione, essendo, come si e’ detto, preclusa al giudice di merito, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa).

Cio’ vale in particolar modo laddove, come nella specie, la sentenza d’appello impugnata confermi la decisione del giudice di primo grado (c.d. “doppia conforme”).

Beninteso, la conformita’ fra la decisione d’appello e quella di primo grado non e’, in se’, ostativa alla denunzia del vizio in esame; ma e’ intuitivo che il duplice vaglio delle acquisizioni probatorie in sede di merito, con il medesimo esito valutativo, rafforza intrinsecamente le conclusioni cui gli organi giudicanti investiti di tale giudizio sono concordemente pervenuti e rende necessario che le censure, per dirsi fondate, colpiscano travisamenti probatori che si siano manifestati, in modo eclatante ed evidente, in ambo i gradi del giudizio di merito.

Al riguardo, e’ sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in base al quale, nell’ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), puo’ essere dedotto, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438); oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013 – dep. 06/11/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837).

5. Questioni generali in ordine al trattamento sanzionatorio.

Anche con riguardo al trattamento sanzionatorio vi sono piu’ motivi di doglianza, vertenti su vari aspetti della determinazione della pena e tesi a prospettare alla Corte la necessita’ di una rivalutazione delle statuizioni quoad poenam contenute nella sentenza impugnata, sia pure ai diversi fini perseguiti dal P.G. ricorrente (nel secondo motivo di ricorso) e dall’imputato nel suo ricorso (nel nono motivo del ricorso a firma degli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) e nella memoria da lui personalmente sottoscritta e depositata il 4 aprile 2017).

Salvo quanto si dira’ infra nell’esaminare i suddetti motivi di doglianza, conviene qui brevemente accennare ai principi generali che regolano la materia, secondo gli indirizzi espressi al riguardo dalla giurisprudenza di legittimita’: principi che verranno richiamati, ove necessario, nell’esposizione delle considerazioni in diritto concernenti i singoli motivi di ricorso.

5.1. La breve disamina che segue non riguarda le questioni attinenti alla sussistenza o meno di specifiche circostanze (come ad esempio a proposito del mancato riconoscimento, lamentato dallo (OMISSIS), della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, da lui ritenuta sussistente), questioni delle quali si parlera’ nei singoli motivi di pertinenza; ma concerne unicamente le doglianze riguardanti la dosimetria della pena nelle sue singole componenti (demandata alla scelta discrezionale del giudice di merito, sulla base dei criteri fissati dall’articolo 133 c.p.), nonche’ quelle riferite al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

5.2. Si premette che le doglianze che qui interessano sono prospettabili, in sede di giudizio di legittimita’, essenzialmente per carenze motivazionali, laddove tali carenze si appalesino riferibili all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nei termini di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); con l’ulteriore precisazione che in linea di massima l’onere argomentativo gravante sul giudice del merito tende a circoscriversi a misura che la determinazione della pena si collochi in prossimita’ dei limiti edittali, e ad espandersi – al contrario – laddove il trattamento sanzionatorio superi quello medio, rapportato agli estremi edittali.

5.3. Sotto il profilo generale, la graduazione della pena rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; non e’ percio’ consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Cio’ vale sia in termini generali (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), sia in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti (Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).

Ad esempio, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorche’ siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 – 2014, Waychey e altri, Rv. 258410).

Come premesso, l’onere motivazionale cresce a misura che la determinazione del trattamento sanzionatorio si allontani dalla soglia minima edittale e si approssimi a quella massima. Ad esempio si afferma che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (da ultimo vds. Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949; vds. altresi’ Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197); mentre, per converso, l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’articolo 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (cfr. Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153; vds. anche, in termini analoghi, Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).

Coerentemente con tale impostazione, si e’ affermato che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

5.4. Piu’ in particolare, sul piano dell’impegno motivazionale richiesto al giudice di merito in tema di determinazione della pena nel reato continuato, si condivide l’orientamento giurisprudenziale prevalente, piu’ volte ribadito anche di recente, in base al quale non sussiste obbligo di specifica motivazione per gli aumenti relativi ai reati satellite, essendo sufficienti a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cfr. Sez. 2, n. 50987 del 06/10/2016, Aquila, Rv. 268731; Sez. 2, n. 50699 del 04/10/2016, Chierchiello e altri, Rv. 268908; Sez. 2, n. 34662 del 07/07/2016, Felughi e altri, Rv. 267721).

A proposito, poi, della peculiare questione (pur affrontata dai ricorrenti, sotto prospettive ovviamente diverse) riguardante la determinazione del trattamento sanzionatorio nella sentenza impugnata in rapporto alla pena applicata ad altri concorrenti separatamente giudicati, deve muoversi dal principio generale in base al quale il giudice del merito, nell’ipotesi di piu’ soggetti imputati in concorso tra loro dello stesso reato, non e’ gravato dell’onere di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (per tutte vds. Sez. 2, n. 7191 del 20/01/2016, Barranca e altri, Rv. 266446; Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016 – dep. 2017, Bonacina e altro, Rv. 269317): cio’ in quanto non puo’ essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna e altri, Rv. 264020).

Tanto premesso, e’ di tutta evidenza che, se tale principio vale nell’ipotesi in cui piu’ imputati rispondano della medesima imputazione nell’ambito dello stesso processo, non dissimilmente deve opinarsi nel caso in cui il singolo imputato venga separatamente giudicato rispetto ad altri coimputati che hanno definito la loro posizione in altro giudizio: compito del giudice di merito e’, essenzialmente, quello di individualizzare il grado di responsabilita’ e di rimproverabilita’ della condotta dell’imputato, sulla base dei generali criteri di cui all’articolo 133 c.p., valutandone lo specifico disvalore in funzione delle esigenze di rieducazione sottese nel singolo caso alla sanzione da applicare, e fornendo di cio’ congrua motivazione in base ai generali principi valevoli nella determinazione del trattamento sanzionatorio.

5.5. Sotto il diverso e peculiare profilo della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, e’ pacifico in giurisprudenza che non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Biancofiore, Rv. 247959). Analogamente si e’ affermato in giurisprudenza che, nel concedere o negare le attenuanti generiche, il giudice di merito e’ investito di un ampio potere discrezionale, che non e’ sottratto al controllo di legittimita’, dovendo il giudice medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la concessione o il rifiuto di concessione, con l’indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta, senza che sia, peraltro, necessario valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (ex multis Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214570).

I SINGOLI MOTIVI DI RICORSO.

6. PRIMO MOTIVO RICORSO P.G..

Con tale motivo il Procuratore Generale ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, nell’escludere l’aggravante dell’articolo 61, n. 3 in relazione al reato di omicidio e lesioni colpose plurimi, sarebbe incorsa in vizio motivazionale per non aver preso in esame, nonostante specifico rilievo del Procuratore della Repubblica di Grosseto appellante, la conversazione intercorsa alle ore 21:51:34 tra il comandante (OMISSIS) ed il direttore di macchina (OMISSIS), che in quel momento gli aveva confermato che la nave stava andando a fondo, ed avere poi fornito un’interpretazione illogica alla dichiarazione autoaccusatoria dell’imputato, laddove aveva affermato in dibattimento che gli abbandoni di nave comportano sempre dei morti.

Nella memoria del 4 aprile 2017 i difensori dell’imputato, nell’opporsi all’accoglimento del motivo e richiamata la struttura della “colpa con previsione” delineata nella citata sentenza n. 38343/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, osservano che il Procuratore Generale ricorrente ha reclamato l’affermazione della colpa con previsione senza mettere in connessione causale le asserite violazioni delle regole cautelari, supposte come determinanti per la produzione degli esiti infausti (essenzialmente: tempestiva chiamata dell’emergenza generale, tempestivo ordine di abbandono della nave, un generale difetto organizzativo nelle operazioni di evacuazione), con la concreta ed effettiva previsione degli eventi (morte e lesioni di piu’ persone) che si pretenderebbe di ricavare da alcuni indici sintomatici, consistenti essenzialmente in affermazioni, oggetto di captazione, o di dichiarazioni post factum del Comandante. Rilevano ancora che nel ricorso del Procuratore Generale da una parte si mettono in evidenza elementi che sarebbero di per se’ sintomatici di effettiva previsione, dall’altra si punta il dito sulle violazioni cautelari che, pero’, di per se’ considerate, sarebbero al piu’ costitutive di responsabilita’ a titolo di colpa semplice.

A ben vedere, infatti, anche gli evocati indici sintomatici non sono in grado di incastonarsi nell’architettura della colpa con previsione. Gia’ il far leva sulla conversazione (OMISSIS) – (OMISSIS) delle ore 21:51:34 – che sarebbe dimostrativa di consapevolezza che la nave potesse affondare, e che conseguentemente ne potesse derivare il rischio di morte e/o ferimento di qualcuno dei molti passeggeri – equivale al piu’ a prospettare che il Comandante avrebbe dovuto rappresentarsi quegli eventi, ma non che se li sia concretamente rappresentati come conseguenza della violazione di regole cautelari preventive di quelli. Non solo, anche l’espressione pronunciata dal Comandante che si vorrebbe “molto indicativa di possibili rischi per le persone dei naufraghi da calare in mare sulle lance” (“Guarda io penso che non…praticamente stiamo imbarcando acqua, eh…mo’ noi stiamo a mettere i passeggeri sulle lance…tanto e’ calma piatta…e poi Dio ci pensi”, a pag. 3 dei motivi di ricorso del P.G.) certamente non ha nulla a che vedere con la previsione concreta di un evento conseguente a volontarie inosservanze di obblighi di diligenza. Come pure la frase “io non faccio morire nessuno” e’ ancora indicativa di consapevolezza di rischio astrattamente coessenziale a certe situazioni, cosi’ come l’altra “in ogni abbandono di nave muoiono delle persone” andrebbe contestualizzata nella situazione emotivamente rivissuta post factum al momento in cui e’ pronunciata e comunque non in connessione con violazioni di norme preventive.

Per tali considerazioni la difesa ha insistito per il rigetto del motivo.

6.1. Ritiene il Collegio che il motivo non sia fondato.

La Corte di Firenze ha motivato in maniera ampia e corretta sulle ragioni per le quali, in condivisione con quanto gia’ ritenuto dal Tribunale di Grosseto, non poteva essere ravvisata l’aggravante dell’articolo 61 c.p., n. 3 in relazione ai delitti di cui agli articoli 589 e 590 c.p..

Aderendo alla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, prima richiamata, secondo la quale nella colpa cosciente non e’ sufficiente la prevedibilita’, ma e’ necessaria la previsione dell’evento – ossia la prova che l’agente si sia in concreto rappresentato l’evento quale possibile/probabile conseguenza della sua condotta, pur nel convincimento di evitarlo – i giudici fiorentini non hanno ravvisato nella condotta dell’imputato elementi di natura sintomatica da cui dedurre in maniera certa che l’evento fosse stato da lui effettivamente previsto.

Si tratta di un’analisi di natura squisitamente fattuale, che puo’ essere scrutinata in questa sede per verificare se ad essa sia seguito un giudizio logicamente e giuridicamente corretto.

Sotto un primo profilo e’ stato escluso che il quid pluris connotante la colpa cosciente potesse essere costituito dalla sola gravita’ delle violazioni compiute, di talche’ non erano sufficienti, ai fini dell’accoglimento del motivo di gravame, i rilievi del P.M. circa la gravita’ della falla e il carattere catastrofico delle prime informazioni, circa le dimensioni della nave ed il numero dei passeggeri, circa le numerosissime inosservanze delle procedure poste a tutela della vita e della salute delle persone a bordo. Tali elementi, sebbene idonei a dimostrare che un agente modello avrebbe previsto il pericolo di morti/lesioni in ragione di quella situazione astratta complessiva (rappresentazione astratta dell’evento), non dimostravano che lo (OMISSIS), in concreto, si fosse effettivamente rappresentato quella situazione.

Sotto altro profilo si e’ evidenziato che, nella fase di gestione dell’emergenza, in condivisione con il giudizio controfattuale del Tribunale, la chiamata dell’emergenza generale avrebbe dovuto essere fatta alle 21:58 (al massimo alle 22:00) e la diramazione dell’ordine di abbandono della nave alle 22:28 (al massimo alle 22:30), con la conseguenza che, per ascrivere allo (OMISSIS) l’aggravante della colpa cosciente in relazione ai reati colposi plurimi di omicidio e lesioni personali, causati appunto dai ritardi con i quali sono intervenute dette attivita’, sarebbe stato necessario dimostrare che, non oltre le 22:28 (o, comunque le 22:30, ove si fosse ritenuto che l’emergenza generale avrebbe dovuto essere data quanto meno alle ore 22:00), l’imputato si fosse gia’ concretamente rappresentato gli eventi predetti come possibili/probabili conseguenze della sua condotta.

6.2. Vengono analizzate quattro frasi indicate nell’atto di gravame.

Al riguardo il P.M. appellante aveva osservato che alle ore 22:32 (OMISSIS) aveva pronunciato un’espressione ritenuta sintomatica della concreta previsione degli eventi, ovvero: “Guarda, io penso che non…praticamente stiamo imbarcando acqua, eh…mo’ noi stiamo a mettere i passeggeri nelle lance…. tanto e’ calma piatta… e poi Dio ci pensi” (espressione, come si e’ detto, su cui si sono soffermati anche i difensori nella citata memoria del 4 aprile 2017): tale frase, pronunciata da (OMISSIS) mentre parlava con la Capitaneria di Porto di (OMISSIS), che gli chiedeva informazioni sullo stato della crisi, non e’ stata interpretata dalla Corte distrettuale come univocamente sintomatica della consapevolezza e previsione degli eventi drammatici che sarebbero conseguiti al naufragio, sia per il contesto in cui era stata detta, sia per l’avanzato dato temporale in cui era avvenuta, sia per il suo contenuto genericamente invocativo.

Il P.M. aveva poi indicato un’altra frase, quella delle ore 23:05, registrata dal VDR mentre Io (OMISSIS), su un’ala della plancia, stava parlando in tono confidenziale con (OMISSIS) e diceva “Io non voglio…non faccio morire a nessuno qui”: tale frase, indubbiamente piu’ significativa di quanto il P.M. appellante volesse dimostrare, se era indicativa del fatto che in quel momento l’imputato si era reso conto della possibilita’ della morte di alcune delle persone a bordo, quando gia’ il K2 (OMISSIS) aveva dato l’annuncio in inglese di abbandono della nave, non provava che analoga consapevolezza egli avesse avuto in precedenza, nei limiti di tempo innanzi ricordati.

Quanto alla ulteriore frase, menzionata a supporto della sua tesi dall’impugnante parte pubblica, ovvero che – nel momento in cui veniva a sapere dal Comandante (OMISSIS) che c’erano i primi morti – (OMISSIS) non aveva perso il controllo e aveva chiesto allo stesso “quanti morti ci sono-“, la Corte ne aveva escluso la sintomaticita’ ai fini del riconoscimento dell’aggravante, sul rilievo che essa era basata su una valutazione soggettiva, non inoppugnabile, e comunque era anch’essa intervenuta in un momento molto successivo a quello indicato ai fini che interessa.

Infine, la rilevanza della dichiarazione resa dall’imputato in un passaggio del suo esame dibattimentale, ovvero che “in ogni abbandono di nave si verificano dei morti”, come molte altre pronunciate in quel contesto, e’ apparsa ai giudici di appello fortemente influenzata dalle sopravvenute esigenze difensive, nel tentativo di sminuire le proprie responsabilita’ rispetto alla gravita’ di quanto accaduto, piuttosto che costituire una effettiva ammissione della concreta previsione dei decessi e delle lesioni in quei frangenti.

Non era dunque possibile affermare con certezza se l’imputato avesse sottovalutato la situazione, a causa di una vera e propria “fuga dalla realta’” successivamente all’impatto con il basso fondale de (OMISSIS) – come gia’ ritenuto dal Tribunale – o, piuttosto, se la sua attenzione, e di conseguenza le sue condotte, fossero focalizzate sul tentativo di salvare la nave, come piu’ plausibile.

In ogni caso la prova della colpa cosciente non poteva essere tratta, con ragionamento inferenziale sufficientemente affidabile, dagli elementi suggeriti dall’accusa, che apparivano indicativi della gravita’ della situazione di emergenza e, quindi, della prevedibilita’ dell’evento, ma non anche della previsione in concreto da parte dello (OMISSIS).

Il Procuratore Generale di Firenze accetta solo in parte queste argomentazioni della Corte distrettuale, nel senso che ne critica due aspetti: ritiene illogica l’interpretazione teleologica data alle parole pronunciate dall’imputato in dibattimento, che sostanzialmente avrebbero invece natura confessoria, e censura la omessa considerazione del colloquio (OMISSIS) – (OMISSIS) delle ore 21:51:34 che, se valutato, avrebbe consentito di pervenire ad una decisione differente rispetto alla sussistenza dell’aggravante, perche’ da esso emergeva la prova certa che in quel momento, antecedente alle ore 21:58 l’imputato si era concretamente rappresentato l’evento.

Il tenore della comunicazione (pag.85 della sentenza) e’ il seguente.

“Direttore, almeno un motore si puo’ accendere-” chiedeva (OMISSIS) a (OMISSIS) che stava scendendo in sala macchine, ed aveva gia’ due minuti prima comunicato che c’era acqua e doveva mettere in moto le pompe.

“Non siamo ancora riusciti a scendere giu'”, rispondeva l’altro, spiegandogli subito dopo “Noi abbiamo l’acqua, non possiamo entrare in macchina dal lato dritto…dal lato sinistro. Qua la sfuggita…c’e’ l’acqua sino all’officina”.

“Allora stiamo andando a fondo, non ho capito-” si lasciava andare il comandante.

(OMISSIS), senza smentirlo, si limitava a rispondere: “Eh…Eh…Si, sta l’acqua fino all’officina”.

Quindi il direttore di macchina informava (OMISSIS) che in quel momento gli stavano dando la notizia che il quadro elettrico era allagato, ed allora questi diceva: “Io voglio sapere solo una cosa, se la nave puo’ partire oppure no. Altrimenti devo dare fondo”.

“La nave…. non possiamo partire” gli spiegava (OMISSIS) “Il quadro elettrico e’ allagato e non abbiamo corrente…. l’unica corrente e’ il diesel che sta sopra”. “Allora dobbiamo dare fondo all’ancora….” aggiungeva (OMISSIS).

E’ indubbio che tale conversazione non e’ stata valutata allorquando e’ stata data risposta all’appello del Procuratore di Grosseto, benche’ in esso segnalata come indicativa e sintomatica della previsione dell’evento gia’ in quel momento.

Ritiene questo Collegio che alla frase estrapolata dal menzionato colloquio “Allora stiamo andando a fondo” non poteva essere riconosciuta una valenza probatoria della previsione dell’evento, e percio’ la Corte di Firenze ha ritenuto implicitamente l’elemento non decisivo e ne ha omesso l’esame.

Oggettivamente e’ una frase che non dimostra che nel momento in cui l’ha pronunciata il Comandante avesse gia’ la rappresentazione degli eventi mortali e lesivi che sarebbero conseguiti al naufragio, naufragio che in quel momento non era stato ancora percepito in tutta la sua drammaticita’, poiche’ erano trascorsi solo pochi minuti dall’impatto contro gli scogli delle Scale, avvenuto alle ore 21:45:07.

Non puo’ dunque censurarsi come vizio motivazionale la circostanza che tale frase non sia stata valorizzata nel senso voluto dall’accusa, perche’ non era logicamente idonea a dimostrare sotto il profilo soggettivo la colpa cosciente, ma piuttosto era indice dell’ansia del Comandante – al quale era affidata la sorte di oltre quattromila persone oltre che della nave di enormi dimensioni e valore – di capire cosa fosse effettivamente successo per poter assumere le decisioni del caso.

Neppure puo’ ravvisarsi contraddittorieta’ nella motivazione della sentenza impugnata laddove invece tale aggravante e’ stata riconosciuta in relazione al delitto di naufragio colposo.

Diverso infatti e’ l’evento oggetto di previsione: la rappresentazione di un urto contro gli scogli, a seguito del mutamento di rotta rispetto a quella tracciata dal cartografo (OMISSIS), era un’evenienza che sicuramente il Comandante si era prospettato pur nella sconsiderata e superficiale convinzione di poterlo evitare; nel momento di poco successivo all’impatto, in cui intervenne la conversazione, egli invece ha dimostrato la paura di affondamento della nave ma non vi e’ prova che si fosse rappresentato anche i decessi e le lesioni che ne sarebbero derivati.

Neppure tale prova puo’ essere desunta dall’affermazione – “confessoria” secondo il P.G. ricorrente – resa dall’imputato in dibattimento, poiche’, come ben rilevato dai giudici fiorentini, mancava proprio la certezza che alle ore 22:28/22:30 quando doveva essere dato l’ordine di abbandono della nave, il Comandante avesse previsto i gravi eventi che ne sarebbero derivati, e dunque l’affermazione che “in ogni abbandono nave si verificano dei morti” era intesa piuttosto a sminuire le sue responsabilita’ ed a dimostrare che la sua gestione dell’emergenza era stata efficiente fino al punto da “limitare” il numero delle vittime e dei feriti.

Per tali considerazioni la censura appare priva di fondamento.

7. SECONDO MOTIVO RICORSO P.G..

Le censure mosse nel secondo motivo del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze possono riassumersi qui nei termini che seguono.

In primo luogo lamenta il P.G. ricorrente che, per il delitto di naufragio colposo, la Corte di merito si sarebbe limitata a riportare acriticamente la motivazione dei primi giudici, a fronte delle doglianze espresse dal P.M. appellante in ordine alla ritenuta mitezza della pena, richiamando – in modo definito come “stereotipato” – i criteri di cui all’articolo 133 c.p. e condividendo le considerazioni del Tribunale in ordine all’incidenza sulla pena dell’incensuratezza dell’imputato e del rispetto, da parte sua, delle prescrizioni cautelari.

In secondo luogo, le doglianze del P.G. si appuntano sulla modesta entita’ dell’aumento di pena per l’aggravante della colpa cosciente, che la Corte distrettuale ha giustificato con la proporzionalita’ con la pena base.

In terzo luogo, il P.G. contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo all’entita’ della pena per il reato di omicidio colposo e lesioni colpose e all’aumento per la continuazione, deducendo che la Corte di merito si sarebbe riportata, sostanzialmente in modo acritico, alle valutazioni espresse nella sentenza di primo grado.

In quarto luogo, analoghe doglianze vengono formulate con riguardo ai reati di abbandono di persone incapaci e di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante, le cui pene, giudicate troppo miti dal P.G. ricorrente, non risulterebbero adeguatamente giustificate nella motivazione della sentenza impugnata.

7.1. Il motivo di ricorso in esame, del quale lo stesso Procuratore generale d’udienza presso questa Corte ha chiesto il rigetto, e’ infondato.

Nella disamina del motivo de quo, dedotto sia per vizio di motivazione che per violazione di legge (in riferimento all’articolo 133 c.p.), occorre premettere – a completamento di quanto osservato supra, sul piano generale, a proposito delle doglianze in punto di trattamento sanzionatorio – che il vizio denunciabile in ordine alla determinazione della pena, e all’esercizio del potere discrezionale affidato sul punto al giudice del merito, e’ essenzialmente quello di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); mentre, per quanto concerne le censure tese a denunciare violazione di legge in riferimento all’articolo 133 c.p., ad esse puo’ in astratto riconoscersi fondamento solo laddove sia ravvisabile una mancanza assoluta di motivazione della sentenza in ordine alla determinazione della pena, che trasmoda nel vizio di violazione di legge (in proposito, vds. Sez. 3, n. 6828 del 17/12/2014 – dep. 2015, Seck, Rv. 262527).

Nel caso che ne occupa non si versa certamente in questa ipotesi, avuto riguardo all’ampio percorso argomentativo svolto dalla Corte di merito al paragrafo 3.2.20.10. della sentenza impugnata (pp. 414 e ss.): un percorso argomentativo che non solo non puo’ dirsi mancante, ma neppure e’ qualificabile come apparente, atteso che la Corte distrettuale offre specifica risposta a tutte le doglianze articolate sul punto, in particolare a quelle del Procuratore della Repubblica di Grosseto, avverso le statuizioni sanzionatorie della sentenza di primo grado, di cui il P.M. appellante lamentava l’eccessiva mitezza.

Quanto, invece, al dedotto vizio di motivazione, si richiamano qui tutte le considerazioni svolte nella premessa riguardante il trattamento sanzionatorio e gli arresti giurisprudenziali ivi menzionati: cio’ sia con riguardo alla determinazione della pena in generale, sia con riguardo alla commisurazione degli aumenti e delle diminuzioni per le circostanze ritenute sussistenti, sia infine con riferimento all’entita’ dell’aumento per la continuazione.

7.2. Si ribadisce pertanto, in primo luogo, l’insindacabilita’, in sede di legittimita’, della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, avuto riguardo ai criteri generali di cui all’articolo 133 c.p..

Non puo’ affermarsi, ad avviso della Corte, che il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alle ragioni sottese alla determinazione della pena da parte del Tribunale fosse qualificabile come motivazione meramente apparente: le statuizioni sanzionatorie adottate in primo grado sono state condivise, dalla Corte di merito, con sufficiente vaglio critico, con specifica indicazione delle ragioni che hanno portato alla relativa quantificazione e, in definitiva, con un percorso argomentativo che, sulla base dei richiamati principi, si sottrae al sindacato di legittimita’.

A cio’ si aggiunga che la Corte distrettuale ha soppesato, nella motivazione concernente il trattamento sanzionatorio, da un lato la gravita’ degli addebiti e la posizione di preminenza gerarchica dello (OMISSIS) quale comandante della nave (posizione che indubbiamente accentua il disvalore della sua condotta), dall’altro la sussistenza di condotte colpose concorrenti da parte di altri imputati che hanno separatamente definito la loro posizione.

Ora, sebbene – come detto nella citata premessa generale – il giudice del merito non sia specificamente gravato dell’onere di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte, nella specie deve considerarsi che la cosiddetta graduazione delle colpe concorrenti e’ rilevante: 1) per la determinazione dell’apporto causale di ciascuna condotta colposa; 2) ai fini delle statuizioni sugli interessi civili; 3) per la determinazione della pena; 4) per la graduazione della pena in senso proprio, ovvero ai fini del giudizio in ordine alla rimproverabilita’ della condotta di ciascuno (Sez. 4, n. 22632 del 15/05/2008, Gilio, Rv. 239896).

7.3. Cio’ posto, va osservato che la determinazione delle statuizioni in punto di pena, in riferimento ai reati colposi, ha quale parametro rilevante il grado della colpa, in base a quanto disposto dall’articolo 133 c.p., comma 1, n. 3: tale parametro, ai fini della personalizzazione del rimprovero che puo’ essere mosso all’agente, e quindi della sua colpevolezza, va determinato considerando: 1) la gravita’ della violazione della regola cautelare; 2) la misura della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento; 3) la condizione personale dell’agente; 4) il possesso di qualita’ personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa; 5) le motivazioni della condotta. Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice dovra’ valutarli comparativamente (vds. la citata Sez. 4, n. 22632 del 15/05/2008, Gilio, Rv. 239895).

E correttamente la Corte di merito ha determinato le proprie statuizioni tenendo conto del grado della colpa che, riguardo alla posizione dello (OMISSIS), condivisibilmente e’ stata qualificata come colpa cosciente in riferimento al delitto di naufragio, e non invece (diversamente da quanto perorato dal P.G. ricorrente) con riguardo ai delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose: sul punto si rinvia alle considerazioni svolte ut supra in ordine al primo motivo del ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze.

MOTIVI DI RICORSO CONGIUNTO A FIRMA DEGLI AVVOCATI (OMISSIS) E (OMISSIS), NELL’INTERESSE DI (OMISSIS).

8. PRIMO MOTIVO.

(OMISSIS) e’ stato giudicato dalla Corte d’Appello di Firenze, Prima Sezione penale.

Con il primo motivo – di carattere processuale – il ricorrente chiede l’annullamento della impugnata sentenza con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della medesima Corte d’Appello, composta secondo l’osservanza dei criteri tabellari e delle norme dell’ordinamento giudiziario, atteso che per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose (costituenti i reati piu’ gravi tra quelli contestati) era tabellarmente competente la Terza Sezione penale.

A sostegno del motivo si deduce la violazione delle seguenti disposizioni di legge:

articolo 24 Cost.: “La difesa e’ diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo”;

articolo 25 Cost.: “Nessuno puo’ essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”;

articolo 111 Cost.: “Ogni processo si svolge…in condizioni di parita’, davanti a giudice terzo e imparziale…”;

articolo 6 CEDU: “Diritto a un equo processo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge….” e articolo 7 CEDU: “Nulla poena sine lege”.

articolo 33 c.p.p.: “Le condizioni di capacita’ del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi dell’ordinamento giudiziario”;

Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, articolo 110, comma 6 (Ordinamento giudiziario): “Non puo’ far parte di un collegio giudicante piu’ di un magistrato applicato”;

articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) “E’ sempre prescritta a pena di nullita’ l’osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacita’ del giudice e il numero dei giudici necessari per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario”, in relazione all’articolo 179 c.p.p.: “Sono insanabili e sono rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullita’ previste dall’articolo 178, comma 1, lettera a)…..”;

paragrafo 21 della Circolare del CSM per la redazione delle tabelle relative all’organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2014-2016, che cosi’ testualmente recita: “Nell’organizzazione degli uffici va favorito, oltre alla naturale ripartizione tra il settore civile e quello penale, l’affinamento di competenze specialistiche per materie omogenee e predeterminate anche all’interno delle singole sezioni. Tali competenze specialistiche sono funzionali alla corretta applicazione della disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 160 del 2006, articolo 19 e dal relativo Regolamento del CSM 13 marzo 2008 in materia di permanenza massima nel medesimo incarico…”(21.1); “Per il perseguimento dei fini indicati al par. 21.1, la costituzione di sezioni specializzate risulta essere il modello organizzativo piu’ adeguato per garantire piu’ qualificate professionalita’, tale da rendere piu’ efficace e celere la risposta all’istanza di giurisdizione” (21.2); “I Tribunali organizzati in piu’ sezioni civili e/o in piu’ sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base alle aree omogenee, secondo le indicazioni della presente circolare”(21.3); “Per i Tribunali nei quali il numero di sezioni presenti per ciascun settore non consente l’accorpamento in base ad aree omogenee deve essere comunque attuata la specializzazione per gruppi di materie”(21.4); “I criteri indicati nei precedenti par. 21.3 e 21.4 si applicano anche alle Corti di Appello”.

Conclusivamente, il ricorrente lamenta che il processo a suo carico e’ stato celebrato da una Sezione della Corte d’Appello di Firenze, diversa da quella tabellarmente competente, e da un Collegio costituito ad hoc, in spregio dei richiamati principi e senza che vi fossero ragioni eccezionali tali da giustificare la deroga.

L’arbitrio nella designazione del giudice – situazione dinanzi alla quale non poteva piu’ affermarsi che la decisione era stata assunta da un giudice precostituito per legge – trovava conferma nel fatto che non erano stati rilasciati ai difensori dell’imputato, nonostante loro reiterate richieste, le copie dei provvedimenti interni della Prima Sezione penale con la composizione dei Collegi nel periodo da gennaio a maggio 2016.

8.1. Sulla nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera a) i difensori si soffermano ulteriormente nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, allegando il parere pro veritate del prof. (OMISSIS), ordinario di Diritto Penale nell’Universita’ di (OMISSIS).

Anche l’imputato, nella memoria a sua firma del 4 aprile 2017, insiste sull’eccezione.

Per avvalorare la fondatezza della doglianza in esame il ricorrente riporta alcuni arresti di questa Corte di legittimita’, secondo cui “le irregolarita’ in tema di formazione dei collegi incidono sulla capacita’ del giudice, con conseguente nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera a), solo quando sono volte a eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge, attraverso assegnazioni “extra ordinem” perche’ del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare” (Sez. 6, n. 39239 del 4/7/2013, Rv.257087; n. 46244/2012, Rv.254284; n. 38112/2006, Rv.255030; n. 16214/2006, Rv. 234216; n.13445/2005, Rv.254284).

Richiama ancora, in particolare, la sentenza della Sez. 1, n.27055 del 7/5/2003, Rv.227213, di cui riporta testualmente alcuni passi: “In tema di nullita’, l’adozione di atti e provvedimenti tabellari “extra ordinem” incidenti sulla capacita’ del giudice, che stravolgono le regole dell’ordinamento giudiziario, nonche’ quelle processuali in tema di giusto processo, integrano una violazione dell’articolo 178 c.p.p., n. 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., disposizioni queste che devono essere lette alla luce dei principi costituzionali, tra loro strettamente correlati, della imparzialita’ e della precostituzione del giudice naturale, da inquadrare a loro volta nel contesto delle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un giusto processo (articolo 111 Cost.) non e’ possibile sostenere l’applicazione del disposto dell’articolo 33 c.p.p., comma 2 (non si considerano attinenti alla capacita’ del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, ndr) nel caso di violazioni alle quali deve riconoscersi peculiarita’, come nel caso della costituzione di un collegio ad hoc per decidere su di un determinato processo in tale ipotesi deve ritenersi verificata una vera e propria lesione delle condizioni di capacita’ del giudice, ravvisabile nella “imparzialita’” degli organi giudiziari, a presidio della quale e’ posto non soltanto l’articolo 101 Cost., ma anche il principio sancito dall’articolo 25 Cost., comma 1…..le conclusioni cui si perverrebbe nell’attribuire valore assorbente, in ogni caso, alla previsione di cui all’articolo 33 c.p.p., comma 2, si appalesano, pertanto, in contrasto con gli stessi principi costituzionali sopra richiamati che, seppur nei limiti di osservanza delle regole dettate dal citato “bilanciamento degli interessi in gioco”, restano sempre le linee direttrici fondamentali, alla luce delle quali tutte le altre norme vanno lette ed interpretate per dare compita attuazione al principio del “giusto processo”……..in definitiva, operando la cosiddetta “prova di resistenza”, si dovrebbe convenire che i principi enucleabili dalle norme costituzionali devono avere comunque la prevalenza ed in tale ottica, se del caso, l’articolo 178 c.p.p., n. 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., comma 1 vanno letti nel senso che, se e’ vero che le violazioni poste in essere in materia “tabellare” non possono essere ricondotte nell’alveo delle nullita’ assolute – giusta lo specifico dettato dell’articolo 33 c.p.p., comma 2 – e’ altrettanto vero che esistono e possono esistere atti e/o provvedimenti che solo formalmente sono riconducibili allo schema ora citato, ma che invece, proprio perche’ realizzati al di fuori dello stesso, vanno qualificati come posti in essere “extra ordinem” e, in quanto tali, rientranti nel novero di quelle nullita’ previste dall’articolo 178 c.p.p., n. 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., comma 1, siccome in irriducibile contrasto con i precetti costituzionali in argomento.

In definitiva il Collegio ritiene di poter affermare che i principi della “precostituzione del giudice naturale” e della sua “terzieta’ ed imparzialita’” sono tra di loro strettamente collegati e si integrano a vicenda nel quadro di quelle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un “giusto processo”. Li’ dove particolari situazioni e/o particolari provvedimenti vulnerano tali principi, stravolgendo le regole di ordinamento giudiziario e processuali (anch’esse preordinate a garantire l’accennata finalita’) si verifica una insanabile violazione delle norme costituzionali, che non puo’ non trovare una sua specifica sanzione di nullita’ assoluta, da inquadrarsi in un difetto di costituzione del giudice”. (fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza adottata da un collegio, appositamente costituito da una Presidente di Sezione, in assenza di qualsiasi delega da parte del Presidente del Tribunale o della Corte d’Appello, per la specifica trattazione, nell’ambito di un’udienza straordinaria all’uopo fissata, di diciotto richieste di riesame avverso un’ordinanza impositiva di misure cautelari personali, nonostante che nello stesso periodo di tempo i collegi del riesame precostituiti presso il medesimo Tribunale funzionassero regolarmente e non si fosse resa necessaria l’adozione di provvedimenti di sostituzione, supplenza o applicazione di qualcuno dei giudici ad esso addetti).

8.2. Il motivo non e’ fondato.

Lo sviluppo argomentativo del ricorrente prende le mosse dai principi costituzionali, ed in particolare, dall’articolo 25, comma 1, che vieta di distogliere chiunque dal suo giudice naturale, precostituito per legge, e assicura un aspetto particolare, ma essenziale, del giusto processo, quello della “certezza” del giudice, integrando cosi’ il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali, contenuto nell’articolo 102, comma 2, e facendo si’ che il cittadino sappia, prima del giudizio, quale sia l’organo giurisdizionale al quale il suo caso sara’ sottoposto ed al quale la cognizione di esso non potra’ essere sottratta.

La ragione dell’affermazione del principio di precostituzione del giudice naturale risiede allora nella necessita’ di garantire effettivita’ alla terzieta’, all’imparzialita’ e all’indipendenza del giudice da qualunque condizionamento che possa incidere sul suo libero convincimento, perche’ solo attraverso un giudice costituito prima ed a prescindere dal realizzarsi del conflitto di interessi particolari, cui e’ chiamato istituzionalmente a dare giuridica composizione, puo’ pervenirsi ad una decisione equilibrata, obiettiva e “neutrale”.

La concreta applicazione del principio di precostituzione del giudice nell’ordinamento processuale ordinario (civile e penale) e’ demandata al metodo “tabellare” previsto dagli articoli 7 bis e 7 ter dell’Ordinamento Giudiziario: si tratta di un meccanismo legale – con particolare riferimento alla formazione dei collegi giudicanti ed ai criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici – che rende attuale il rapporto di immedesimazione organica del magistrato persona fisica nell’ufficio giudiziario, prima ed a prescindere dal fatto che insorga una controversia, cosi’ da rendere effettiva la garanzia di precostituzione del giudice.

Cio’ posto, deve in primo luogo osservarsi che la questione di nullita’ prospettata dal ricorrente non tiene conto del testo, attualmente vigente, dell’articolo 7 bis dell’Ordinamento Giudiziario, intitolato “Tabelle degli uffici giudicanti”, che espressamente statuisce che “la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullita’ dei provvedimenti adottati” (introdotto dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, ultimo periodo articolo 7-bis, aggiunto L. 30 luglio 2007, n. 111, ex articolo 4, comma 19).

Del tutto univoca poi la giurisprudenza piu’ recente di questa Corte nel senso di ritenere l’inosservanza delle disposizioni tabellari sulla formazione dei collegi giudicanti non idonea ad integrare la nullita’ assoluta riguardante la capacita’ del giudice prevista dall’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a), costituendo essa una mera irregolarita’ amministrativa, a meno che la diversa composizione sia del tutto arbitraria e non sorretta da uno specifico provvedimento presidenziale (Sez. 3, n. 4841 del 18/7/2012, Rv.254406), principio che peraltro era stato affermato anche prima della richiamata (OMISSIS) legislativa che ha interessato l’articolo 7 bis citato, nel senso che l’assegnazione di un affare ad una sezione piuttosto che ad altra non attiene alla giurisdizione, ma piuttosto alla competenza interna, e, pertanto, non si considera afferente alla capacita’ del giudice, ai sensi dell’articolo 33 c.p.p., salva l’ipotesi di assegnazione effettuata al di fuori di ogni criterio tabellare e che possa essere definita extra ordinem (Sez. 3, n. 38112 del 3/10/2006, Rv.235030).

Si e’ gia’ detto che l’articolo 25 Cost., comma 1, attribuisce al cittadino il diritto di sapere, prima dell’inizio del processo, quale sia l’organo giurisdizionale chiamato a decidere del suo caso, nel rispetto delle norme sulla competenza ed anche dei criteri fissati dalle tabelle di organizzazione degli uffici, fermo restando che l’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio puo’ incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacita’ del giudice, determinando la nullita’ di cui all’articolo 33 c.p.p., comma 1, non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme come quelle riguardanti la titolarita’ del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti (Sez. 6, n. 13833 del 12/3/2015, Rv. 263079; Sez. F, n. 35729 del 1/8/2013, Rv. 256570; Sez. 2, n.6505 del 14/1/2011, Rv. 249450).

Le irregolarita’ in tema di formazione dei collegi incidono pertanto sulla capacita’ del giudice, con conseguente nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera a), solo quando siano rivolte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge attraverso assegnazioni extra ordinem, perche’ effettuate del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare (Sez.6, n.39239 del 4/7/2013, Rv.257087) proprio per costituire un giudice “ad hoc”, situazioni dinanzi alle quali non puo’ piu’ affermarsi che la decisione della regiudicanda sia stata emessa da un giudice precostituito per legge.

Le evenienze procedimentali quali quelle sin qui esaminate non sono emerse dalle allegazioni difensive, ne’ sono rilevabili dagli atti.

Non e’ in discussione la competenza di una delle tre Sezioni penali di cui si compone la Corte d’Appello di Firenze, e dunque sotto questo profilo non puo’ dubitarsi del rispetto del principio del “giudice naturale” inteso come organo giurisdizionale precostituito per legge.

Neppure contestano i difensori del ricorrente – ed anzi lo affermano a paragrafo 21 della premessa del loro ricorso congiunto – che il processo a carico di (OMISSIS) venne celebrato davanti alla Prima Sezione Penale a seguito di un provvedimento del Primo Presidente della Corte d’Appello, organo deputato alle assegnazioni ed alle eventuali deroghe.

La composizione di un Collegio formato dai magistrati della Sezione che trattasse unicamente questo processo appare poi espressione di un’esigenza organizzativa del tutto ragionevole e legittima, oltre che particolarmente attenta ai diritti della difesa, essendo stata assicurata in questo modo la definizione del giudizio in un tempo “ragionevole”, in ossequio ad altro e parimenti importante principio costituzionale, senza interferenze con l’ordinario svolgimento delle altre udienze della Sezione.

Nessuno stravolgimento quindi dei criteri tabellari, dovendosi a tal fine ulteriormente sottolineare due aspetti rilevanti e precisamente: che nelle tabelle della Corte d’Appello di Firenze per il triennio 2014-2016, al paragrafo “Collegi” della Prima Sezione Penale e’ detto espressamente che “Per garantire lo stesso collegio per procedimenti che presentano necessita’ di piu’ udienze sara’ prevista la reiterazione della stessa composizione dei collegi”; che alla Prima Sezione Penale compete la trattazione, tra gli altri, dei processi relativi ai delitti contro l’incolumita’ pubblica (articoli 422 e 452) e quindi anche del delitto di naufragio contestato all’imputato.

Non appare, infine, condivisibile la doglianza difensiva relativa al rigetto, da parte del Presidente della Corte d’Appello di Firenze, delle richieste volte ad ottenere i provvedimenti adottati sulla composizione dei collegi della prima Sezione Penale della Corte stessa nel periodo gennaio/maggio 2016 – richieste motivate dal fatto che l’assegnazione del processo alla prima Sezione Penale “potrebbe aver determinato la violazione della regola costituzionale del giudice naturale” (cosi’ l’istanza in data 22 settembre 2016, allegato 10 del ricorso) poiche’ le istanze non riguardavano atti di natura processuale e non erano inerenti alle questioni dibattute nel processo ormai conclusosi.

Gli istanti infatti non avevano dedotto, e neppure lo deducono nel motivo di ricorso in esame, il concreto pregiudizio che sarebbe stato loro arrecato dalla variazione tabellare, atto interno dell’Ufficio di cui non e’ prevista una comunicazione esterna.

La natura di atto amministrativo interno si trae proprio dall’esame di alcune disposizioni della Circolare del CSM sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2014/2016, la quale, dopo aver previsto che “I dirigenti degli uffici giudiziari, in casi eccezionali ed in via di urgenza, possono adottare provvedimenti di modifica tabellare con riguardo all’assegnazione degli affari alle singole sezioni, ai singoli collegi e ai giudici, indicando specificamente le ragioni e le esigenze di servizio che li giustificano” (par.14.3)”, aggiunge che “L’articolazione dei criteri di assegnazione spetta al dirigente dell’Ufficio” (par.52) e che “Sono ammissibili deroghe ai criteri di assegnazione degli affari in caso di comprovate esigenze di servizio. Tali deroghe devono essere adeguatamente e specificamente motivate e dovranno essere comunicate al magistrato che sarebbe stato competente sulla base dei criteri oggettivi e predeterminati. Trova applicazione la previsione di cui al par.14.3”.

In sintesi, l’assegnazione del processo alla Prima Sezione penale da parte del Presidente della Corte d’Appello di Firenze, la competenza tabellare di detta Sezione per i delitti contro l’incolumita’ pubblica, la necessita’ organizzativa di comporre un Collegio fisso per la trattazione (articolata attraverso piu’ udienze) del processo di notevole importanza, senza nocumento o ritardo nella celebrazione delle udienze ordinarie, la natura di atto interno del provvedimento derogatorio, da comunicarsi unicamente al magistrato che sarebbe stato competente (per eventuali rilievi in ordine alla variazione tabellare che lo riguarda), escludono che si sia in presenza di un provvedimento extra ordinem e, conseguentemente, che sia configurabile la eccepita nullita’.

Pertanto il motivo in esame deve considerarsi infondato.

9. SECONDO MOTIVO.

Con il secondo motivo di ricorso – relativo al delitto di naufragio – l’imputato lamenta violazioni di norme processuali stabilite a pena di nullita’ e inutilizzabilita’, con riferimento alla illegittima acquisizione di tre prove: l’interrogatorio di garanzia da egli stesso reso davanti al G.I.P., le dichiarazioni accusatorie del primo ufficiale (OMISSIS) e le dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale cartografo (OMISSIS).

Relativamente alle dichiarazioni rese dallo (OMISSIS) al G.I.P. in sede di interrogatorio di garanzia, la difesa fa anche riferimento alla totale omessa indicazione da parte della Corte d’Appello di Firenze delle ragioni per le quali le stesse sono state valutate come prova contro l’imputato, e preferite a quanto da questi a lungo dichiarato nel corso del diffuso esame dibattimentale.

Vengono di seguito analizzate le tre eccezioni oggetto del motivo.

9.1 Nell’eccepire la inutilizzabilita’ delle iniziali dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, la difesa ribadisce: che i presupposti per la loro acquisizione al fascicolo per il dibattimento sono il consenso esplicito dell’imputato e la concorde volonta’ delle parti, da esprimersi in modo espresso ed inequivoco; che l’interrogatorio di garanzia e’ un mero strumento, appunto, di garanzia e di difesa; che solamente l’esame dell’imputato disciplinato dagli articoli 495 e 503 c.p.p. ha natura e valore di prova; che il consenso puo’ anche essere espresso tacitamente attraverso l’assenza di opposizione, ma solo e se il complessivo comportamento processuale della parte interessata e’ incompatibile con una volonta’ contraria; che, infine, per superare l’assenza del personale consenso dell’imputato non puo’ soccorrere il principio generale di rappresentanza del difensore.

Nel caso di specie il consenso all’acquisizione dell’interrogatorio di garanzia era stato prestato solo dai difensori e non esplicitato personalmente anche dall’imputato e dunque l’acquisizione ne era risultata illegittima ed inutilizzabile.

La doglianza e’ infondata.

Nella sentenza di appello si parla di “interrogatorio al G.I.P. acquisito agli atti con il consenso delle parti” (pag.177), conformemente a quanto affermato gia’ nella sentenza del Tribunale di Grosseto, ove si legge di “interrogatorio acquisito agli atti alla udienza del 13 dicembre 2014 con il consenso di tutte le parti” (pag.137) e della sua utlilizzabilita’ “per l’espresso consenso della difesa” (pag.158).

Giova in proposito ricordare, secondo quanto statuito da questa Corte Suprema, che a norma dell’articolo 526 c.p.p. sono utilizzabili ai fini della decisione tutte le prove acquisite nel dibattimento, comprese quelle non assunte in udienza ma comunque acquisite al fascicolo per il dibattimento, in quanto la loro legittima acquisizione ne comporta la utilizzabilita’ ai fini probatori (Sez. 2, n. 2471 del 10/10/2014, Rv.261823).

Inoltre, in tema di lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato durante le indagini, il limite di utilizzabilita’ in caso di contumacia o di rifiuto di rispondere riguarda soltanto gli altri soggetti (ai sensi dell’articolo 513 c.p.p., comma 1, alle condizioni ivi previste), e non l’imputato medesimo, qualora questi, in sede di interrogatorio svoltosi con le garanzie previste dall’articolo 64 c.p.p., comma 3, abbia reso dichiarazioni “contra se'” (Sez.2, n.7029 dell’8/11/2013).

In particolare poi, in tema di formazione del fascicolo del dibattimento, il consenso delle parti all’acquisizione di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, previsto dall’articolo 493 c.p.p., comma 3 ovvero della documentazione relativa all’attivita’ di investigazione difensiva, puo’ essere validamente prestato anche dal difensore dell’imputato, sia esso di fiducia o d’ufficio, nell’ambito delle sue funzioni di partecipazione alla definizione delle prove da acquisire, allo stesso conferite. (Sez.5, n.13525 del 25/1/2011, Rv.250226; Sez.6, n.7061 del 11/2/2010, Rv.246090). Tale acquisizione infatti pur costituendo eccezione al principio dell’assunzione diretta dei mezzi di prova per il giudizio in dibattimento – innanzi tutto costituisce estrinsecazione del generale potere di indicazione dei fatti che si intendono provare e delle prove di cui si chiede l’ammissione (disciplinato dall’articolo 493 c.p.p., comma 1 e certamente appartenente anche al difensore dell’imputato, come espressamente previsto da tale comma); in secondo luogo, in assenza di una norma che riservi specificamente al solo imputato (o ad un procuratore speciale) l’esercizio di tale facolta’ (come invece avviene per il rito abbreviato), e’ congrua anche rispetto al principio generale di rappresentanza dell’imputato assente o contumace, previsto dall’articolo 484, comma 2 bis, in relazione all’articolo 420 quater c.p.p. e articolo 420 quinquies c.p.p., comma 1, u.p. e comma 2.

Ancora, il consenso puo’ formarsi tacitamente mediante una manifestazione di volonta’ espressa di chi propone e l’assenza di opposizione della controparte, qualora il complessivo comportamento processuale di quest’ultima sia incompatibile con una volonta’ contraria (Sez.5, n.15624 del 15/12/2014, Rv.263260; Sez.3, n.1727 dell’11/11/2014, Rv.261927).

I giudici di merito non sono allora incorsi in nessuna violazione di norme processuali, posto che il consenso e’ stato liberamente ed espressamente prestato senza riserva alcuna dal difensore di fiducia in udienza.

9.1.1. Posta la legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento dell’interrogatorio di garanzia, la difesa lamenta vizio di motivazione per essere stata, a suo dire, “preferita” la versione dei fatti resa dallo (OMISSIS) in quel momento, rispetto alle diffuse dichiarazioni con cui tale versione era stata rettificata nel corso del dibattimento.

Aveva sostenuto la difesa (e anche l’imputato personalmente), in sede di appello, che il Tribunale era incorso in un vero e proprio equivoco, perche’ lo (OMISSIS) pacificamente aveva deciso di cambiare rotta per avvicinare la nave all'(OMISSIS) ed aveva percio’ conferito incarico all’ufficiale cartografo (OMISSIS) di redigere una nota grafica della nuova rotta con lui concordata; tuttavia in sentenza era stato fatto riferimento ad una ulteriore “nuova rotta”, che avrebbe condotto al naufragio, in realta’ mai decisa dal Comandante.

Tra le emergenze processuali che il Tribunale aveva indicato a sostegno della tesi che l’imputato volesse condurre una navigazione oltre la rotta tracciata dal (OMISSIS), rimanendo non a mezzo miglio di distanza dalla costa ma andando talmente sotto da effettuare un passaggio radente davanti al porto del (OMISSIS), vi erano appunto le dichiarazioni rese dallo (OMISSIS) al G.I.P., in sede di convalida del fermo, allorquando aveva affermato che inizialmente era programmata una distanza di navigazione dalla costa di 05 e che poi erano passati a 028. Tutto questo – si legge in sentenza – perche’ voleva fare un favore ad (OMISSIS), che l’indomani sarebbe sbarcato e nel frattempo aveva avvisato i familiari dell’evento organizzato in suo onore, ed al comandante (OMISSIS), sotto la cui guida lo (OMISSIS) aveva mosso i primi passi da ufficiale, e che, da anni in pensione, abitava sull'(OMISSIS).

Tuttavia – sempre secondo l’appellante – nel corso del successivo esame dibattimentale l’imputato aveva chiarito di essersi sbagliato circa la reale distanza dalla costa, in quanto indotto in errore da (OMISSIS), con il quale aveva conversato il giorno dopo il naufragio mentre attendevano entrambi di essere ascoltati dagli inquirenti all’interno della caserma dei Carabinieri di (OMISSIS).

Durante tale colloquio, captato dalle intercettazioni ambientali, era emerso che l’imputato aveva chiesto al suo ufficiale della distanza e di che cosa avessero potuto toccare, donde la conclusione che la prima ricostruzione offerta dallo (OMISSIS) non corrispondeva a quanto realmente accaduto e la versione resa al G.I.P. era frutto di quanto rappresentatogli da (OMISSIS) nell’immediatezza del fatto. Quanto dichiarato dall’imputato in sede dibattimentale era stato invece riscontrato dai dati estrapolati dal VDR, che non avevano offerto alcun elemento da cui ricavare che la nave si fosse mai trovata ad una distanza di 0,28 o 0,26 o ancora 0,18 miglia marine della costa del (OMISSIS), quando il Comandante, avvedutosi della presenza di un basso fondale, aveva iniziato a porre in essere la manovra di emergenza per evitarlo.

Questa la doglianza dell’appellante, ribadita in questa sede come vizio attinente alla carenza di motivazione circa la valorizzazione, operata dai giudici distrettuali a fini probatori, delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia.

Esaminata limitatamente a tale aspetto in quanto sulla colpevolezza dell’imputato in relazione al delitto di naufragio si trattera’ piu’ diffusamente in seguito – la censura, peraltro appena accennata, e’ infondata.

Sulla rotta tenuta dalla nave la sera del naufragio la sentenza impugnata si sofferma in maniera diffusa (par.3.2.2.1. da pag. 169 e segg.), argomentando in ordine alla rotta ufficiale comunicata alle Autorita’ marittime al momento della partenza della nave dal porto di (OMISSIS), al passaggio a mezzo miglio dagli scogli de (OMISSIS) tracciato dall’ufficiale cartografo (OMISSIS), non comunicato e divergente dall’originario piano di viaggio, ed infine alla nuova rotta pianificata per un ulteriore avvicinamento alle coste dell’isola.

Analizza in proposito la Corte di Firenze i seguenti elementi: le dichiarazioni di (OMISSIS), che aveva deposto come testimone alla udienza dell’8.10.2013 dopo l’archiviazione per oblazione del procedimento a suo carico; il contenuto di due conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) aventi ad oggetto la rotta, registrate in modo intellegibile dal VDR e riscontrate anche quanto agli orari dalla perizia fonica trascrittiva; la telefonata delle ore 21:35:54 dello (OMISSIS) al comandante a riposo (OMISSIS) (nella quale lo (OMISSIS) si informava dell’altezza del fondale e della possibilita’ di passare a zero-tre, zero-quattro), telefonata della quale l’imputato riferisce anche al (OMISSIS) nella prima comunicazione successiva all’impatto con il basso fondale per addossare a (OMISSIS) la responsabilita’ dell’errata informazione fornitagli; la diversa dichiarazione testimoniale resa dal (OMISSIS) alla udienza del 29 ottobre 2013 circa l’ammonizione da questi rivolta al suo interlocutore di “girare al largo”; la registrazione di un colloquio con il (OMISSIS) delle 21:41:46 in cui lo (OMISSIS) chiedeva dove dovesse passare per effettuare uno spettacolare passaggio radente al porto; ancora, la telefonata intercorsa nella stessa notte con il Capitano di Vascello (OMISSIS), comandante della centrale Operativa di Roma, nel corso della quale l’imputato aveva ammesso di aver effettuato una “navigazione turistica” sotto costa, passando a 0,18 o 0,20.

In questo corposo contesto probatorio si inseriscono le dichiarazioni rese al G.I.P., davanti al quale lo (OMISSIS) aveva appunto fornito una versione precisa della rotta che intendeva seguire nel suo passaggio ravvicinato al (OMISSIS), affermando e ribadendo – a precisa domanda – che la rotta era inizialmente pianificata a 05 e poi l’aveva portata a 028, senza affatto menzionare l’ (OMISSIS) come sua fonte di conoscenza, come aveva poi tentato di fare in dibattimento, riferendo della conversazione presso la caserma di (OMISSIS) di cui si e’ gia’ detto.

L’indicazione quindi delle prove a carico e’ analitica, motivata e non frutto di una scelta preferenziale di quelle a contenuto confessorio.

9.2. Secondo il ricorrente sarebbero inutilizzabili anche le dichiarazioni accusatorie rese dal primo ufficiale (OMISSIS), imputato di reato connesso ex articolo 210 c.p.p., per inosservanza del principio di diritto che impone di trovare riscontri esterni, non solo riferibili al fatto ma anche all’individuo, di natura certa ed in diretto rapporto con la condotta del chiamato.

Questa Corte ha gia’ statuito nel senso che le dichiarazioni del teste assistito necessitano, per essere utilizzate come prova, di riscontri esterni autonomi, che non possono, quindi, consistere in elementi di prova provenienti dallo stesso dichiarante (Sez. 5, n.14991 del 12/1/2012, Rv.252325).

Inoltre, nella valutazione della chiamata in correita’ o in reita’, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (S.U., n.20804 del 29/11/2012, Rv.255145).

L’imputato in un procedimento connesso o collegato ha poi piena capacita’ di testimoniare, qualora nei suoi confronti sia stata nel frattempo pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena, anche se in precedenza ha reso dichiarazioni senza aver prima ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 64 c.p.p., comma 2, lettera c) in quanto l’esigenza di non ledere la sua posizione e’ recessiva una volta che il processo nei suoi confronti si sia gia’ concluso irreversibilmente (Sez.4, n.10346 del 18/2/2009, Rv.242981).

Nel motivo prospettato dal ricorrente, ripreso anche nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, la questione attiene piu’ che altro al tema della motivazione circa l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dal testimone assistito.

Va ricordato allora che l’articolo 192 c.p.p., rubricato come “valutazione della prova” ribadisce il principio del libero convincimento ed implica che il giudice ha ampia liberta’ di valutare tutti gli elementi di prova legittimamente acquisiti e di avallare, in relazione all’attendibilita’ degli stessi, alla credibilita’ delle fonti, alla idoneita’ di massime di esperienza o di leggi scientifiche, il discorso inferenziale sul quale si basano le ricostruzioni dell’accusa e della difesa.

Il significato delle prove acquisite sul tema dell’imputazione e la loro valenza in concreto possono cosi’ essere apprezzate solo dal giudice, costituendo l’essenza stessa della funzione giurisdizionale, ma sui dati probatori sussiste l’obbligo di motivazione.

Tale obbligo e’ stato adempiuto dalla Corte di Firenze.

Nei motivi di appello la difesa aveva dedotto che (OMISSIS), malevolmente e forse inconsapevolmente, “per alleggerire il proprio senso di colpa”, aveva sostenuto: che lo (OMISSIS), mentre parlava al telefono (il riferimento e’ alla telefonata con il (OMISSIS) iniziata alle 21:37:54), gli aveva fatto cenno con la mano di non procedere all’accostata; che il Tribunale aveva mostrato di credere a questa affermazione, sebbene nessun altro in plancia avesse riferito di aver visto quel gesto fatto con la mano; che pero’, ove mai il comandante avesse effettivamente mostrato ad (OMISSIS) la mano aperta, come per comunicargli di attendere, avrebbe inteso piuttosto comunicargli la sua momentanea indisponibilita’ a prendere il comando, essendo impegnato al telefono.

Ha osservato la Corte distrettuale a tale proposito che (OMISSIS), nel corso del suo esame come imputato di reato connesso ai sensi dell’articolo 210 c.p.p., aveva dichiarato che all’ordine 290 da lui ripetuto alle ore 21:36:58 con l’aggiunta stili o steady, lo (OMISSIS) gli aveva fatto cenno mostrandogli la mano con il palmo aperto, come a dire di aspettare.

Pur trattandosi di dichiarazione resa da un coimputato che aveva definito la sua posizione con sentenza irrevocabile ex articolo 444 c.p.p., essa si inseriva nel quadro di una serie di eventi coerentemente ricostruiti, atteso che (OMISSIS), solo pochi istanti prima, aveva chiesto ad (OMISSIS) di mettere un attimo “un CPA di zero, cinque” e di li’ a breve, anziche’ assumere anche formalmente il comando della manovra pronunciando la frase di rito, aveva iniziato la conversazione telefonica con il (OMISSIS).

La circostanza riferita dall’ (OMISSIS) era apparsa inoltre attendibile anche perche’ non aveva sminuito le responsabilita’ del dichiarante, peraltro gia’ definite irrevocabilmente, e quindi aveva contribuito a far comprendere la situazione creatasi in plancia all’arrivo del comandante ed in seguito al suo comportamento.

Anche se per mera ipotesi (OMISSIS) avesse mentito e (OMISSIS) non avesse fatto alcun gesto, era certo che l’imputato era non solo giunto in ritardo in plancia ma aveva ulteriormente procrastinato anche l’assunzione del comando della manovra, mentre la nave si stava avvicinando sempre piu’ all'(OMISSIS).

Oltre a cio’, la Corte territoriale non ha mancato di rilevare che la sentenza di patteggiamento – nella quale, secondo la difesa, era rimasto provato che (OMISSIS), finche’ non era stato rilevato dalla guardia, stava seguendo una rotta diversa da quella pianificata dall’ufficiale cartografo (OMISSIS), omettendo sino a che aveva avuto la titolarita’ della guardia, e soprattutto dopo che era stato dato l’ordine di “timone a mano”, anche di predisporre un appropriato servizio di vedetta – aveva evidenziato chiaramente il minor grado di colpa dell’ (OMISSIS), considerato che “la scelta di navigare in estrema vicinanza alla linea di costa era individuata negli atti di indagine come conseguenza della decisione assunta da altro soggetto (oggetto di separato processo) che aveva in quel dato momento la titolarita’ formale ed effettiva del comando della nave”, ovvero da (OMISSIS).

Dunque, anche la citata sentenza, allegata agli atti processuali, e valutata ai sensi dell’articolo 238 bis c.p.p. ai fini della prova del fatto in essa accertato, come richiesto proprio dalla difesa, forniva oggettivo e definitivo riscontro di quanto era avvenuto in plancia al momento dell’arrivo del comandante e subito dopo.

Di qui l’infondatezza anche di questa doglianza.

9.3. Come ulteriore profilo di censura agitato nel secondo motivo in esame, anch’esso ripreso nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, il ricorrente insiste sulla inutilizzabilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS), in quanto prova asseritamente acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge: l’ufficiale cartografo non poteva essere definito propriamente “terzo” rispetto alla regiudicanda oggetto del presente processo perche’ chiamato a rispondere, in concorso, di aver fornito notizie non fedeli alle autorita’ portuali; inoltre sull’attendibilita’ intrinseca ed estrinseca delle sue dichiarazioni la Corte di Firenze aveva omesso ogni motivazione.

Anche sotto tale aspetto il motivo non e’ fondato.

Il (OMISSIS) aveva deposto alla udienza dell’8.10.2013 come testimone e non quale imputato di reato connesso, in quanto, in precedenza imputato di contravvenzione, era stato gia’ destinatario di un provvedimento di archiviazione definitiva in conseguenza dell’estinzione del reato per intervenuta oblazione.

A riguardo, e’ orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di prova dichiarativa, allorche’ venga in rilievo la veste che puo’ assumere il dichiarante, spetta al giudice di verificare in termini sostanziali, e prescindendo da indici formali, come l’eventuale gia’ intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilita’ allo stesso della qualita’ di indagato nel momento in cui le dichiarazioni vengano rese, ed il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimita’ (Sez.6, n.20098 del 19/4/2016, Rv.267129).

Non sussiste poi alcuna incompatibilita’ ad assumere l’ufficio di testimone per la persona gia’ indagata in procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera c) o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacita’ a testimoniare prevista dall’articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera a) e b) e articoli 197 bis e 210 c.p.p. si applica solo all’imputato, al quale e’ equiparata la persona indagata nonche’ il soggetto gia’ imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto, nel qual caso non trovano applicazione dell’articolo 197 bis c.p.p., i commi 3 e 6 (S.U., n.12067 del 17/12/2009, Rv.246376; Sez. 2, n. 4123 del 9/1/2015, Rv.262367).

Inoltre, in tema di prova dichiarativa, allorche’ venga in rilievo la verifica della veste processuale del dichiarante, e’ onere della parte interessata ad opporsi all’assunzione della testimonianza di allegare, prima dell’assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilita’ a testimoniare (situazione nel caso in oggetto non verificatasi), sempre che la posizione del dichiarante non risulti gia’ dagli atti nella disponibilita’ del giudice e non sussistano i presupposti perche’ questi si attivi d’ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex articolo 493 c.p.p., ovvero in ragione dell’assoluta necessita’ di disporre l’escussione del dichiarante, ai sensi dell’articolo 507 c.p.p. (Sez. 6, n. 12379 del 26/2/2016, Rv.266422: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni assunte nella forma della testimonianza in relazione alle quali nulla era stato eccepito dalle parti, al momento della formazione della prova, in ordine alla esistenza di un procedimento penale per reati connessi a carico del dichiarante).

La Corte di Firenze ha fatto buon governo di tali principi di diritto, soffermandosi in maniera puntuale sul rilievo mosso dall’appellante ed esponendo le ragioni per le quali non vi era motivo di dubitare della attendibilita’ e veridicita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS).

Ha rilevato che il teste aveva riferito i fatti in modo preciso e coerente, conformemente a quanto registrato in maniera intellegibile dal VDR, ad eccezione delle parole incomprensibili.

Era risultato quindi provato che vi erano state due conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) riguardanti la rotta, una svoltasi prima della partenza da (OMISSIS) ed un’altra, dopo la partenza, alle ore 19:14, conversazioni di cui la perizia fonica trascrittiva aveva dato pieno riscontro per gli orari ed il contenuto delle interlocuzioni.

Il fatto che tale perizia non riportasse la frase “mo’ vado io”, che il (OMISSIS) aveva ricordato nella sua deposizione in dibattimento, logicamente non e’ stato considerato dalla Corte territoriale elemento di valenza decisiva, poiche’ dal tenore complessivo delle conversazioni era evidente che (OMISSIS), dopo aver comunicato l’intenzione di effettuare “l’inchino” e di aver fatto tracciare una rotta modificata da (OMISSIS), era tornato sull’argomento dopo la partenza della nave.

Degli altri elementi che confermavano che (OMISSIS) volesse seguire una rotta diversa rispetto a quella tracciata dall’ufficiale cartografo si e’ gia’ detto allorquando si e’ esaminato il primo profilo del motivo di ricorso in esame (telefonata a (OMISSIS), colloquio con il (OMISSIS), telefonate al (OMISSIS) e al (OMISSIS), dichiarazioni dello (OMISSIS) al G.I.P.): ai detti elementi vanno ancora aggiunti sempre in tema di attendibilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS) – gli ordini dei gradi di rotta dati dall’imputato, che dimostravano che (OMISSIS), dopo l’assunzione formale del comando della manovra di accostata verso l’isola, non seguiva le indicazioni di rotta tracciate dal (OMISSIS) con cerchi rossi sulla carta nautica.

La Corte territoriale ha ancora tratteggiato la personalita’ del teste, rimarcando la professionalita’ ed il senso del dovere dimostrati per essere stato l’ultimo ufficiale a scendere dalla nave, essendo rimasto a bordo fino alle ore 05:45 del (OMISSIS), ovvero fino alle conclusioni delle operazioni di soccorso, ben oltre l’abbandono della nave da parte del comandante alle ore 00:17.

Dunque una testimonianza assunta senza violazione di regole procedurali e ritenuta attendibile con motivate argomentazioni.

Ne deriva l’infondatezza del motivo.

10. TERZO MOTIVO.

Il motivo in esame e’ infondato, al limite della manifesta infondatezza, specie nella parte (pervero ampia) in cui esso contesta le valutazioni espresse nella sentenza impugnata sotto il profilo della persuasivita’ e dell’interpretazione delle fonti di prova.

Ci si riferisce in particolare: alle doglianze concernenti i dedotti travisamenti sui profili di colpa specifica, relativi alla credibilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS); all’errore di (OMISSIS) quando ordino’ al timoniere di procedere con rotta 300, mentre la nave era fuori rotta (cioe’ non procedeva a 334); all’asserzione che lo (OMISSIS) avesse chiesto all’ (OMISSIS) a quale velocita’ si stesse procedendo, mentre cio’ era desumibile dal radar.

Ci si riferisce, inoltre, alle lagnanze riguardanti: la posizione della nave prima del way point e la rotta effettiva, non comunicata al comandante; la pretesa sottovalutazione delle responsabilita’ degli altri ufficiali e del timoniere; l’asserita sottovalutazione degli ordini di (OMISSIS) che avrebbero impedito l’evento; il fatto che a (OMISSIS) fosse stata consegnata una nave gia’ irrimediabilmente fuori rotta.

In relazione a tali censure – riferite nell’essenziale a questioni di mero fatto e conducente percorso argomentativo seguito sia dal Tribunale di Grosseto, sia dalla Corte d’appello di Firenze – si e’ gia’ fatto richiamo, in apposita premessa alle presenti considerazioni in diritto (v. supra), alla giurisprudenza di questa Corte che esclude dal novero delle doglianze proponibili in sede di legittimita’ quelle tese ad attaccare la persuasivita’ delle argomentazioni rese dai giudici di merito, o a prospettare un’interpretazione alternativa del materiale probatorio.

Al riguardo, quindi, si fa rinvio alle suddette considerazioni dianzi formulate e, in aggiunta, ci si limita a svolgere le osservazioni che seguono.

10.1. In ordine alle dichiarazioni dell’ufficiale cartografo (OMISSIS), la Corte di merito indica i riscontri provenienti dalle conversazioni registrate in VDR alle pagine 174 e ss. della sentenza; al riguardo e’ possibile rinviare a quanto osservato nel trattare il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS) (v. supra). Del resto, a smentire la tesi sostenuta dal ricorrente stanno le stesse, circostanziate dichiarazioni rese dallo (OMISSIS) durante l’interrogatorio avanti il GIP, in cui l’imputato sostanzialmente ammette di avere consapevolmente azzardato l’avvicinamento alla costa fino a 0,28 miglia (vds., sul punto, quanto riportato alle pp. 179-180 della sentenza impugnata).

Quanto alla pretesa inconsapevolezza di (OMISSIS) del fatto che la nave fosse fuori rotta allorche’ imparti’ l’ordine di procedere con rotta 300, la Corte di merito, alle pagine 176 e ss., ha congruamente motivato in ordine al significato degli ordini impartiti in successione da (OMISSIS) in quella fase, dai quali e’ agevole ricavare la certezza che egli fosse perfettamente consapevole che la rotta seguita dalla nave era ben diversa da quella – programmata – di 334, che in quel momento la (OMISSIS) avrebbe dovuto tenere; del resto, oltre alle gia’ richiamate ammissioni dell’imputato in sede d’interrogatorio di garanzia, e’ la stessa conversazione telefonica con il Comandante (OMISSIS) (confermata, nel suo significato, da quest’ultimo) che dimostra come (OMISSIS) intendesse in realta’ puntare verso l’isola ed avvicinarsi sottocosta per il “saluto” programmato. La circostanza che nessuno in plancia segnalo’ a (OMISSIS) che la rotta era in realta’ ben diversa da quella di 334 e’ platealmente smentita dalle stesse disposizioni (veri e propri ordini, peraltro prontamente eseguiti, nonostante quanto asserito dalla difesa) che (OMISSIS) diede appena giunto in plancia, prima ancora di assumere formalmente il comando e di ordinare di procedere con rotta 300: egli, subito dopo avere disposto al suo arrivo di procedere “timone alla mano”, aveva ordinato al timoniere di procedere con rotta 278; immediatamente (OMISSIS) aveva modificato l’ordine disponendo di procedere prima con rotta 285, poi con rotta 290; e il timoniere, alle ore 21:37:47, aveva informato dell’avvenuto raggiungimento della rotta 290 (il way point non era stato, in quel momento, ancora raggiunto); informazione poi ribadita dall’ (OMISSIS) e ripresa dallo stesso (OMISSIS) un attimo prima di assumere il comando della manovra anche formalmente (“Alla via due, nove, zero”).

Dunque, e’ stato correttamente ritenuto comprovato dai giudici di merito che lo (OMISSIS) fosse, da un lato, fin da subito perfettamente consapevole della rotta assunta dalla nave; e che, dall’altro, egli impartisse ordini e si ingerisse nella manovra ancor prima di assumere a tutti gli effetti il comando della manovra stessa.

A proposito della richiesta dello (OMISSIS) all’ (OMISSIS) di quale fosse la velocita’, pur potendo egli verificarla dal radar, l’obiezione difensiva non tiene conto che, quando cio’ avveniva (alle 21:35:52), lo (OMISSIS) era appena arrivato in plancia; e il fatto che egli avesse rinnovato la richiesta all’ (OMISSIS) dopo avere assunto il comando, pur potendo egli verificare la velocita’ sulla base della strumentazione di bordo, e’ unicamente prova del fatto che egli ritenne di chiedere tale informazione al primo ufficiale che fino ad allora aveva formalmente la titolarita’ della manovra, anziche’ consultare personalmente il radar.

Quanto alle questioni, prospettate dal ricorrente – in ordine alla posizione della nave prima del way point, al fatto che la rotta effettiva non fosse stata comunicata al comandante, alla sottovalutazione delle responsabilita’ degli altri ufficiali e del timoniere, alla sottovalutazione degli ordini di (OMISSIS) che avrebbero impedito l’evento e all’asserzione secondo la quale a (OMISSIS) fosse stata consegnata una nave gia’ irrimediabilmente fuori rotta – oltre a quanto ampiamente osservato in ordine ai limiti della sindacabilita’ di dette questioni in sede di giudizio di legittimita’, e’ sufficiente considerare che la sentenza impugnata (pp. 194 – 198) chiarisce perfettamente: che lo (OMISSIS) era tutt’altro che ignaro della rotta tenuta dalla nave; che il superamento del c.d. w.o.p. (ossia del punto ottimale per iniziare la progressiva manovra di accostata) era bensi’ avvenuto quando l’ (OMISSIS) comandava formalmente la manovra, ma in una condizione in cui (OMISSIS) si ingeriva gia’ ripetutamente nel comando della stessa; che comunque, nel momento in cui quest’ultimo assunse anche formalmente il comando, egli poteva ancora portarsi senza particolari problemi sulla rotta programmata di 334, anche perche’ in quel momento il way point (ossia il punto di completamento dell’accostata e di assunzione della rotta) non era ancora stato raggiunto, pur essendo ormai prossimo. Dunque, la Corte di merito fornisce adeguata e convincente motivazione del fatto che diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – la nave non era affatto irrimediabilmente fuori rotta; che gli errori e le omissioni attribuiti ad altri ufficiali (l’ (OMISSIS), ma anche l’ (OMISSIS) e la (OMISSIS)) non furono in alcun modo decisivi, ne’ tanto meno tali da ingannare il comandante sullo stato della navigazione; che la condotta posta in essere dallo (OMISSIS) fu attuata in violazione di numerose e precise regole di corretta navigazione, analiticamente riportate nel capo di imputazione ed esaminate accuratamente nel percorso argomentativo della sentenza, di tal che “non si comprende come (OMISSIS), che era al vertice della catena di comando ed era il titolare della posizione di garanzia, possa fondatamente chiedere di andare esente da responsabilita’ per le sue numerose condotte colpose, commissive ed omissive, che portavano la nave al naufragio, solo perche’ profili di colpa (di minore gravita’) potevano essere ravvisati anche nelle condotte dei suoi sottoposti presenti in plancia” (vds. paragrafo 3.2.7.4. sentenza impugnata, pp. 233 e ss.); che gli errori del timoniere (OMISSIS) furono in larga parte indotti dallo stesso (OMISSIS) e dalle sue concitate modalita’ di impartire gli ordini in rapida sequenza (la Corte di merito ricorda i “6 ordini dati a raffica dal comandante al timoniere nel giro dei soli 32 secondi precedenti il fatale impatto con il basso fondale”: pag. 206 sentenza impugnata), a fronte di una scarsa conoscenza sia della lingua italiana che di quella inglese da parte del timoniere, circostanza della quale lo (OMISSIS) era (e non poteva non essere) necessariamente edotto, quanto meno sulla base delle evidenti incertezze mostrate dal timoniere fin dai primi ordini che il comandante gli aveva impartito; e che lo stesso (OMISSIS) (il quale in concreto, si ribadisce, aveva gia’ assunto il controllo della conduzione della nave pochi istanti dopo il suo arrivo in plancia) ben poteva, anche dopo la formale assunzione del comando della manovra, correggere la rotta ed evitare di accostarsi in modo pericoloso alla costa del (OMISSIS).

Tanto piu’ che, tra un eventuale pregiudizio alla stabilita’ e al comfort dei passeggeri (correlabile a una manovra di repentina correzione di rotta) e un rischio di collisione con gli scogli, di naufragio e di rischi per le vite umane, la scelta doveva essere comunque obbligata per il comandante della nave, quale garante della vita e dell’incolumita’ delle persone a bordo (ed in specie “per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero”, come recita testualmente l’articolo 409 c.n.; a proposito del contenuto della posizione di garanzia del comandante di nave, in riferimento all’incolumita’ delle persone presenti a bordo, vds. la recentissima Sez. 4, n. 6376 del 20/01/2017, Cabrerizo Morillas, Rv. 269063).

Lo (OMISSIS) invece decise coscientemente di avvicinarsi ulteriormente all’isola e di ritardare la modifica della rotta rispetto al punto in cui tale modifica era stata convenuta con il (OMISSIS), attivandosi poi troppo tardi per correggerla, con gli esiti fatali ben noti.

A tutto voler concedere, posto che nel momento della piena assunzione del comando della manovra lo (OMISSIS) era ancora nelle condizioni di rimettere la nave in rotta, deve considerarsi che egli da tale momento era pienamente succeduto, anche sotto il profilo formale, nella specifica posizione di garanzia riferita alla gestione della manovra della nave. In siffatta ipotesi, giammai potrebbe risultare scriminato il comportamento dello (OMISSIS), subentrato come garante anche sotto tale profilo, restando per lui esclusa la possibilita’ di far valere il principio di affidamento sul garante precedente (sulla questione, piu’ diffusamente, v. infra), sulla base dei consolidati principi in tema di successione nelle posizioni di garanzia, atteso che, in siffatte ipotesi, il principio dell’equivalenza causale implica che la condotta del singolo soggetto che ha concorso a determinare l’evento ha efficienza causale pur quando difetti del coefficiente psicologico necessario all’attribuzione di responsabilita’ (Sez. 4, n. 4675 del 05/12/2008 – dep. 03/02/2009, Cacioppo e altri, Rv. 243648).

Ma, come si e’ visto, lo (OMISSIS), gia’ prima di assumere formalmente il comando (e di fatto fin dal suo arrivo in plancia), impartiva ordini sulla manovra, ordinando di procedere con timone alla mano (ossia facendo disattivare il pilota automatico), disponendo che si proseguisse ancora con rotta 278 (subito corretto da (OMISSIS), che ordino’ di portare la rotta fino a 290: una correzione rivelatasi comunque insufficiente) e contribuendo cosi’ fin da quel momento all’esecuzione della manovra errata. Sul punto, si soggiunge che la Corte di merito ben argomenta circa la pretestuosita’ dell’assunto sostenuto dal ricorrente nel qualificare non gia’ come “ordini”, ma come meri suggerimenti quelli da lui esternati in tale fase: bastera’ osservare al riguardo che tali “suggerimenti” (provenienti dal comandante dell’unita’) venivano prontamente raccolti sia dall’ufficiale di guardia (OMISSIS) che, a cascata, dal timoniere (OMISSIS).

10.2. Qualche considerazione a parte meritano le ulteriori doglianze, che concernono la dedotta assenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla causalita’ della colpa; l’omessa applicazione dei principi in tema di responsabilita’ omissiva; l’omessa considerazione del c.d. principio di affidamento (giusta considerazioni integrative contenute nei “motivi nuovi” a firma dell’imputato, depositati il 4.4.2017, paragr. 3.9, pp. da 27 a 39).

Tali doglianze – che, con riguardo al motivo in esame, vanno riportate alla fase che condusse al naufragio dell’unita’ – si appalesano tutte infondate.

In proposito, e’ opportuno premettere che, dalla lettura congiunta delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado (richiamati qui i principi secondo i quali dette motivazioni, trattandosi di “doppia conforme”, si saldano in un unicum motivazionale), si evince che i giudici di merito hanno fornito ampia e conducente argomentazione sia con riguardo alla rilevanza causale dei dedotti profili di violazione di plurime regole cautelari, codificate e non codificate, sia con riguardo all’esame controfattuale delle condotte (non solo omissive, ma anche commissive) ascritte allo (OMISSIS), sia infine con riguardo alla non operativita’, nel caso di specie, del principio di affidamento.

Appare opportuno un esame di ciascuna delle singole questioni di che trattasi alla luce degli indirizzi giurisprudenziali in materia.

10.3. La “causalita’ della colpa” -. In tema di causalita’ della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio), quando la ricostruzione del comportamento alternativo lecito idoneo ad impedire l’evento deve essere compiuta nella prospettiva dell’interazione tra piu’ soggetti, sui quali incombe l’obbligo di adempiere allo stesso “dovere” o a “doveri” tra loro collegati, la valutazione della condotta di colui che e’ tenuto ad attivare altri va effettuata assumendo che il soggetto che da esso sarebbe stato attivato avrebbe agito correttamente, in conformita’ al parametro dell’agente “modello” (Sez. 4, n. 31244 del 02/07/2015 – dep. 17/07/2015, Meschiari, Rv. 264358): con la doverosa precisazione che la valutazione in ordine alla prevedibilita’ dell’evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacita’ dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualita’ personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia e altro, Rv. 263283).

Nella specie la disamina, che ha formato oggetto di ampio e conducente sviluppo sia da parte del Tribunale di Grosseto, sia da parte della Corte d’appello di Firenze, verte su due aspetti, distinti ancorche’ fra loro interconnessi: ossia quello del verificarsi dell’evento quale conseguenza della violazione delle regole cautelari finalizzate ad evitarlo; e quello della pluralita’ di soggetti tenuti ad osservare tali regole, e che le avrebbero disattese.

Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata, in molteplici passaggi (cfr. ad es. pp. 229 e ss.), da’ conto sia della lunga serie di regole cautelari specifiche dallo (OMISSIS) disattese, sia dell’inosservanza, da parte dello stesso, del livello di diligenza, prudenza e perizia oggettivamente dovuto ed esigibile: cio’ a partire dalla sommaria (e peraltro da lui disattesa) pianificazione della rotta assieme al (OMISSIS), proseguendo poi con l’utilizzo di una manovra spericolata, tenendo una rotta e una velocita’ del tutto inadeguate, per finalita’ essenzialmente legate al c.d. “saluto” ravvicinato al (OMISSIS), che egli si proponeva di effettuare; vengono inoltre ampiamente illustrate dalla Corte distrettuale (come gia’ dal Collegio di primo grado) le ragioni in base alle quali, da tali inosservanze ascrivibili in primo luogo al comandante, derivava la condizione di ingovernabilita’ della nave, tale che il tardivo tentativo di correggerne la rotta per evitare l’impatto con i fondali rocciosi non veniva condotto a buon fine.

In tal senso, puo’ senz’altro affermarsi (in perfetta coerenza con la teoria generale della causalita’ della colpa) che l’evento-naufragio ha trovato specifico presupposto nella violazione di plurime regole cautelari che rendevano colposa la condotta causalmente rilevante, nel senso che esso si e’ verificato proprio a causa di quell’inosservanza.

In questo senso, ai fini dell’accertamento circa la rimproverabilita’ della condotta a titolo di colpa, la sentenza impugnata (come gia’ quella di primo grado: vds. pagine da 185 a 198 della sentenza del Tribunale di Grosseto) ha fatto ampio riferimento al comportamento alternativo diligente che, se posto in essere, avrebbe evitato l’evento, proprio richiamandosi, nei singoli passaggi, alle regole cautelari (sia codificate, sia generiche) che, se osservate, avrebbero avuto efficacia impeditiva dell’evento-naufragio: regole richiamate dalla Corte gigliata alle pagine 76 e ss. della pronunzia oggetto di ricorso ed esaminate analiticamente nelle successive pagine dell’ampia motivazione, non solo in relazione alla loro violazione da parte dell’imputato, ma anche in relazione alla portata salvifica che dette regole avrebbero avuto qualora fossero state rispettate (si vedano, ad es., le diffuse argomentazioni illustrate alle pagine 169 e ss., 185 e ss., 221 e ss. della sentenza impugnata).

Il riferimento alla ricostruzione, operata dai giudici di merito, del comportamento alternativo diligente, che nell’occorso lo (OMISSIS) avrebbe dovuto tenere nella sua qualita’, evoca direttamente la figura del c.d. agente modello, che la dottrina e la giurisprudenza tradizionalmente indicano come parametro di valutazione della condotta doverosa.

Va detto, in proposito, che la dottrina prima, la giurisprudenza poi, sono approdate a una piu’ approfondita riflessione a proposito della figura del c.d. agente modello, precisando che esso non puo’ e non deve costituire un modello ideale astratto, ma va caratterizzato in rapporto alle specificita’ del caso, ossia tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale.

Il che pero’, si badi, non implica lo smantellamento della nozione di “agente modello” o la rinuncia ad essa (a tanto non e’ arrivata neppure la dottrina germanica, la quale, nell’elaborare la teoria della c.d. doppia misura della colpa, muove pur sempre dall’individuazione di una figura astratta rapportabile a quella dell’agente modello).

La nozione in esame resta, invero, affatto valida, e continua a rappresentare un punto di riferimento deontologico, allorquando il soggetto che agisce in concreto sia nelle condizioni non solo di dovere, ma anche di poter osservare le regole dell’homo eiusdem condicionis ac professionis: ossia quando sono realmente da lui conoscibili ed esigibili tali regole di cautela. Il che in generale avviene nei casi in cui egli opera effettivamente nelle condizioni dell’agente modello, con la conoscenza/conoscibilita’ completa delle regole di cautela e del rischio tipico che esse sono tese a prevenire, e con la qualificazione personale e/o professionale propria (appunto) dell’agente modello.

E’ di tutta evidenza che cio’ vale soprattutto allorquando, come nel caso di specie, le regole cautelari cui l’imputato, provvisto della qualificazione professionale del comandante di una grossa nave passeggeri, doveva attenersi, erano, per lo piu’, codificate ed enunciate in specifici disciplinari riguardanti la navigazione e la condotta in mare dei natanti, specie se adibiti al trasporto di persone.

10.3.1. Sotto l’ulteriore e diverso profilo della pluralita’ di soggetti tenuti al rispetto delle regole cautelari che nella specie furono violate, va detto innanzitutto che correttamente i giudici di merito hanno attribuito allo (OMISSIS) la decisione di imprimere alla nave una rotta e una velocita’ che si ponevano al di fuori di quelle regole, disattendendo oltretutto la rotta convenuta con l’ufficiale cartografo (che, se rispettata, non avrebbe cagionato alcun pericolo per la nave); ed hanno ampiamente chiarito come tale decisione abbia avuto un peso preponderante sul corso degli eventi che condussero al naufragio, rispetto a quello degli errori attribuiti agli altri ufficiali presenti in plancia e al timoniere (al riguardo, ci si riporta alle considerazioni gia’ formulate poc’anzi).

In proposito, a tutto concedere, occorre tenere presente che, quando come nella specie – fra i diversi garanti intercorre un rapporto gerarchico, il titolare della posizione di garanzia gerarchicamente sovraordinato non deve fare quanto e’ tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato e’ stato effettivamente garante, ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento (Sez. 4, n. 38810 del 19/04/2005, Di Dio, Rv. 232415; Sez. 4, n. 45369 del 25/11/2010, Osella e altro, Rv. 249072).

Con piu’ specifico riguardo alla posizione di sovraordinazione del comandante di nave rispetto agli altri soggetti (lato sensu indicabili come garanti) a lui subordinati, una recente sentenza di questa Sezione ha, in motivazione, precisato che “l’ordinamento della navigazione marittima delineato dal Codice della navigazione attribuisce icasticamente al comandante un ruolo di autorita’ egemone, oltre a varie funzioni di carattere giuridico ed amministrativo che in vario modo coinvolgono la vita delle persone nel corso della navigazione. Tale ruolo e’ espresso con forza, riassuntivamente, dall’articolo 186 che attribuisce a tale figura autorita’ nei confronti di tutte le persone presenti a bordo. La norma va coordinata con il successivo articolo 190 che obbliga tutti i componenti dell’equipaggio a cooperare alla salvezza della nave, delle persone e del carico, fino a quando il comandante non ordini l’abbandono dell’imbarcazione. E’ dunque chiaro che il comandante sovraintende a tutte le funzioni che attengano alla “salvezza” delle persone e delle cose. Naturalmente tale potere “alto” non puo’ certo conculcare le sfere di competenza di figure, anche subordinate, che tuttavia abbiano competenze tecnico-scientifiche peculiari. Esso, pero’, potra’ ben trovarsi ad interagire, in determinate contingenze, con le valutazioni e le iniziative di tali diverse figure professionali” (Sez. 4, Sentenza n. 9897 del 05/12/2014, dep. 2015, Pennisi).

Non puo’ del resto dubitarsi, nella specie, non solo della posizione sovraordinata dello (OMISSIS) rispetto agli altri soggetti indicati come responsabili ai fini della manovra, ma anche dell’assommarsi, direttamente in capo al medesimo, di condotte colpose non solo omissive, ma anche commissive, tutte puntualmente indicate nell’editto imputativo ed altrettanto puntualmente illustrate nella sentenza impugnata, dalle quali dipese il verificarsi del naufragio.

10.4. La causalita’ omissiva -. Il tema della causalita’ omissiva e’ uno di quelli proposti dal ricorrente con il motivo in esame, e viene ripreso e ulteriormente argomentato nei “motivi nuovi” personalmente sottoscritti dall’imputato il 4 aprile 2017 (vds. paragrafo 3, pp. 14 e ss.).

Com’e’ noto, secondo la giurisprudenza di legittimita’ anche a Sezioni Unite (ci si riferisce in particolare alla sentenza (OMISSIS)), nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita’ del caso concreto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103).

La sentenza appena citata recupera – sviluppandone poi la collocazione – la nozione di “probabilita’ logica” articolata dalla precedente sentenza a Sezioni Unite, Franzese (n. 30328/2002). In quest’ultima pronunzia, come noto, si affermava che la probabilita’ scientifico-statistica (ossia il parametro attraverso il quale, fino ad allora, si risaliva al fattore causale) dev’essere assoggettata a una verifica, a una conferma basata sul ragionamento probatorio. Anzi, affermavano in allora le Sezioni Unite, e’ proprio la “probabilita’ logica” che – seguendo l’incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell’ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare – contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilita’ dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilita’ dell’accertamento giudiziale: si tratta dunque di un riscontro alle leggi scientifiche e statistiche, basato su un “procedimento logico, invero non dissimile dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall’articolo 192 c.p.p., comma 2”.

Sviluppando il tema, la sentenza (OMISSIS) muove dalla considerazione che, accanto ai “ragionamenti esplicativi, che guardano il passato, tentano di spiegare le ragioni di un accadimento, di individuare i fattori che lo hanno generato”, la ricostruzione del fatto e delle relative cause implica anche il ricorso a ragionamenti predittivi che riguardano la verificazione di eventi futuri, ma che il giudice impiega retrospettivamente “quando si trova a chiedersi cosa sarebbe accaduto se un’azione fosse stata omessa o se, al contrario, fosse stato tenuto il comportamento richiesto dall’ordinamento”. Percio’, nel procedere all’indagine causale (specie laddove si ponga il problema della pluralita’ di cause possibili) “ciascuna ipotesi causale viene messa a confronto, in chiave critica, con le particolarita’ del caso concreto che potranno corroborarla o falsificarla”.

Quindi, sebbene i contenuti ipotetici del giudizio controfattuale siano comunque diversificati a seconda che si proceda per reati omissivi ovvero commissivi (se non altro perche’, nel primo caso, l’accertamento ipotetico verte sull’evitabilita’ dell’evento se l’agente si fosse attivato secondo le regole di cautela, e dunque individuando tale condotta e immaginandone gli effetti; mentre nel secondo caso esso verte sull’evitabilita’ dell’evento astenendosi dal tenere la condotta vietata da quelle norme), i criteri di accertamento della responsabilita’ colposa riposano, in termini concettuali, sullo scostamento fra il modello comportamentale adottato dall’agente concreto e quello (causalmente idoneo a evitare, ritardare o attenuare l’evento) che sarebbe stato doveroso – e che ci si sarebbe dovuti attendere – da parte dell’agente modello.

Ma cio’, secondo la sentenza (OMISSIS), non consente di pretermettere, dal ragionamento svolto a posteriori sulla base degli elementi disponibili in esito all’accertamento del fatto, la rilevanza della capacita’ dell’agente concreto di uniformarsi alla regola di condotta e di prevedere che gli sviluppi conseguenti alla sua azione/omissione difforme dal comportamento dovuto potessero determinare eventi appartenenti alla categoria di quello in concreto verificatosi. Di tanto si e’ fatto cenno, del resto, a proposito della disamina del comportamento alternativo diligente in rapporto alla figura dell’agente modello, di cui s’e’ detto in precedenza.

Venendo al caso di specie, e con riguardo all’esame della rilevanza causale delle condotte ascritte all’imputato, limitando l’esame per ora alle questioni riguardanti la fase che condusse al naufragio oggetto del motivo di doglianza in esame, sarebbe bastevole richiamare le ampie e puntuali considerazioni dedicate ai suddetti profili gia’ nella sentenza di primo grado, in riferimento alle singole condotte colpose (che, pervero, risultano essere sia omissive che commissive) contestate nella fase che porto’ al naufragio e al relativo nesso causale (pp. 175205; v. in particolo pp. 177 e ss. sentenza Tribunale di Grosseto). Considerazioni richiamate dalla Corte di merito ed ivi pienamente condivise, con ampio tessuto argomentativo, segnatamente alle pagine da 169 a 228.

In proposito, deve ribadirsi quanto si e’ gia’ avuto modo di osservare supra a proposito dell’individuazione della c.d. causalita’ della colpa da parte dei giudici di merito, con precipuo riguardo al fatto che la sentenza impugnata ha adeguatamente illustrato sia le violazioni delle numerose regole cautelari, anche di natura specifica, che imponevano allo (OMISSIS) di porre in essere comportamenti attivi, e che l’imputato ha disatteso; sia la portata salvifica che l’osservanza di tali regole avrebbe avuto nell’occorso.

Tale disamina (che di seguito viene illustrata limitatamente ai principali profili di condotta omissiva contestati all’imputato nella fase antecedente il naufragio, ferme restando le ulteriori censure riferite a condotte attive) e’ stata fatta in piena armonia con i richiamati principi affermati dalla giurisprudenza apicale, ossia in sostanziale aderenza al criterio della c.d. alta probabilita’ logica (nei termini che si sono dianzi illustrati) e considerando, altresi’, le peculiarita’ che caratterizzavano il caso concreto.

E’ stato, ad esempio, ampiamente chiarito che il passaggio a mezzo miglio di distanza dal (OMISSIS), che lo (OMISSIS) aveva inizialmente concordato con il (OMISSIS) a modifica della rotta programmata (accordo che lo (OMISSIS) omise poi di rispettare, con i noti esiti), sarebbe avvenuto in tutta sicurezza per la nave, essendovi in quel punto un fondale di circa 100 metri (pag. 170 sentenza impugnata). Del pari e’ stato chiarito che l’uso di una carta nautica adeguata, diversa da quella in concreto utilizzata (la n. 6 dell’Istituto Idrografico della Marina Militare), avrebbe consentito in condizioni diverse e piu’ favorevoli un transito piu’ ravvicinato (p. 172); ancora, si e’ messa in evidenza la rilevanza che avrebbero avuto le disposizioni scritte, chiamate ordini permanenti o standing orders, che lo (OMISSIS) avrebbe dovuto impartire agli ufficiali che dovevano assumere la guardia in plancia e che avrebbero dovuto prevedere, fra l’altro, le indicazioni sulla velocita’ di avvicinamento da tenere, nonche’ i tempi e le modalita’ secondo i quali effettuare i cambiamenti di rotta (pagg. 186-187). Ulteriormente rilevanti sono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine alle conseguenze del ritardo con cui lo (OMISSIS) si presentava in plancia e assumeva il comando (pp. 187-190): al riguardo la Corte di merito evidenzia che, “se (OMISSIS) avesse rispettato i tempi previsti, raggiungendo la plancia quando (OMISSIS) lo aveva chiamato per avvisarlo che si trovavano a sole 6 miglia dall'(OMISSIS), avrebbe assunto la conduzione della manovra molto prima, perche’ in quel quarto d’ora la nave percorreva altre 4 miglia e si portava a 2,54 miglia dalla costa” (p. 189).

A tale condotta, sempre seguendo l’argomentare della Corte fiorentina, si aggiungevano poi ulteriori comportamenti omissivi, a loro volta dotati di efficienza causale nel prodursi dell’evento-naufragio: e’ stato sottolineato ad esempio il mancato adeguamento dell’occhio alla visione notturna, causato anch’esso dal ritardo nell’arrivo in plancia e che ebbe come conseguenza il fatto che lo (OMISSIS) diede solo fugaci occhiate allo schermo radar, cosi’ pregiudicando la sua immediata conoscenza di dati rilevanti ai fini della navigazione (p. 191); subito dopo la Corte ha sottolineato che il ritardo dell’arrivo in plancia di (OMISSIS) avvenne in un momento in cui la nave poteva agevolmente rientrare sulla rotta tracciata da (OMISSIS); e, se e’ vero che (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano fornito all’imputato eventuali informazioni utili, e’ pero’ altresi’ vero che (OMISSIS) non le richiese, pur avendo il dovere, oltre che la possibilita’, di acquisire la conoscenza di qualsiasi dato necessario, anche in considerazione del fatto che egli guardava lo schermo radar soltanto di “sfuggita” (pag. 191). Ulteriormente decisivo e’ il rilievo in base al quale, una volta assunto anche formalmente il comando, (OMISSIS) non considero’ che il way point, pur essendo ormai vicino, non era ancora stato superato e che quindi, secondo gli apporti peritali condivisi dai giudici di merito, egli era “ampiamente in tempo per portarsi sulla rotta tracciata da (OMISSIS), ancorche’ con una accostata non proprio morbida ed inavvertibile ma un po’ piu’ decisa” (p. 198). Ancora, e’ stata adeguatamente evidenziata (p. 203) la negligenza dello (OMISSIS), il quale, pur rendendosi sicuramente conto della scarsa dimestichezza del timoniere (OMISSIS) con la lingua inglese (oltreche’ con quella italiana), si avventurava in una manovra rischiosa senza procedere alla sua sostituzione: la quale, per come si evince anche nel prosieguo del percorso argomentativo, avrebbe avuto un effetto sicuramente tutt’altro che pregiudizievole, specie se tempestivamente disposta. Proseguendo nel percorso motivazionale, la Corte di merito (pag. 206) osserva che a un certo punto (OMISSIS), “per controllare “de visu” la situazione, lasciava il radar e si posizionava di fronte alla vetrata (dove, si noti, non aveva sostituito l’uomo di vedetta, da lui trasferito al timone a mano), accorgendosi della presenza degli scogli a brevissima distanza”, con cio’ rendendo evidente che l’omessa sostituzione del (OMISSIS) nelle sue funzioni di vedetta ebbe a sua volta rilevanza nella situazione, puntualmente descritta nelle pagine successive, che determino’ il prodursi dell’evento.

Appare quindi evidente che, pur senza un esplicito richiamo agli approdi giurisprudenziali sopra richiamati in materia di causalita’ omissiva, la Corte di merito ha effettuato una disamina del materiale probatorio e dei motivi d’appello perfettamente aderente ai principi ivi enunciati, esaminando accuratamente lo sviluppo causale dell’evento nella sua interezza e nelle sue concrete caratterizzazioni, e cosi’ pervenendo a un giudizio di sicura probabilita’ logica della dipendenza causale di detto evento (anche) dai comportamenti omissivi dell’imputato: un giudizio nel quale si e’ tenuto conto del diverso e piu’ favorevole decorso causale che si sarebbe concretato ove fossero state rispettate le regole cautelari che imponevano allo (OMISSIS) di adottare i comportamenti attivi da lui in concreto omessi; si e’ considerata l’incidenza degli ulteriori e diversi fattori eziologicamente rilevanti (ivi compresi quelli umani, riferibili agli altri ufficiali in plancia e al timoniere); e si e’ tratto da tale disamina, con argomenti logicamente inoppugnabili e comunque non sindacabili in questa sede, il fondato convincimento che le condotte omissive (e quelle commissive) attribuibili allo (OMISSIS) ebbero rilevanza causale preponderante nel verificarsi del naufragio.

10.5. Il principio di affidamento. – Al problema del principio di affidamento dell’agente sull’altrui condotta diligente (strettamente collegato alla prevedibilita’ del comportamento colposo del terzo e all’astratta idoneita’ interruttiva che tale comportamento puo’ rivestire nella serie causale che conduce all’evento), il ricorrente dedica, come si e’ detto, un ampio paragrafo dei motivi nuovi da lui personalmente sottoscritti il 4 aprile 2017 (paragr. 3.9, pp. 27 e ss.).

Per un inquadramento generale del problema, va premesso che esso si pone nelle attivita’ che vengono compiute collettivamente, o da piu’ persone indipendentemente tra loro (ma con la reciproca consapevolezza di cio’), allorche’ la condotta del singolo e’ influenzata dalla convinzione che gli altri individui coinvolti nella stessa attivita’ agiranno in modo conforme a regole di cautela. In pratica l’agente fa “affidamento” sulla condotta degli altri, confidando cioe’ sul fatto che essa sia idonea a evitare (o a non introdurre) rischi in quanto aderente alle prescrizioni cautelari di settore.

La questione si pone unicamente con riguardo alle attivita’ rischiose giuridicamente consentite; e si comprende, perche’ solo per queste attivita’ si puo’ parlare di un rischio lecito e non di un obbligo di astenersi tout court.

E’ chiaro che, qui come altrove, occorre muovere dal principio costituzionale di personalita’ della responsabilita’ penale, in base alla quale ciascuno dei consociati risponde, in linea generale, della propria condotta e dei pericoli e degli eventi di danno da essa creati; ma, nello specifico, il problema fondamentale si pone in relazione a determinate situazioni e a determinate attivita’, laddove sia possibile prevedere che altre persone non si attengano alle regole cautelari che disciplinano l’attivita’ comune o convergente.

In tal caso viene fatto carico al singolo agente di adottare le cautele necessarie a evitare i rischi introdotti dalla condotta altrui; ed e’ in queste circostanze che occorre stabilire fino a che limite il singolo agente possa invocare il principio di affidamento, ossia (appunto) il suo affidamento nella correttezza dell’attivita’ di altri, e da quale momento in poi egli debba assumere su di se’ l’onere di ovviare ai rischi della scorrettezza o della negligenza, imprudenza o imperizia altrui.

Al riguardo, e’ ius receptum che il principio in esame trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale il soggetto garante del rischio e’ responsabile anche del comportamento imprudente altrui purche’ questo rientri nel limite della prevedibilita’: si afferma cioe’ la necessita’ che il comportamento imprudente altrui debba essere valutato nella sua “ragionevole” prevedibilita’ in base alle circostanze del caso concreto (tra i molti precedenti, con particolare riferimento al tema della circolazione stradale, vds. Sez. 4, Sentenza n. 46741 del 08/10/2009, Minunno, Rv. 245663; e la recente Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016 – dep. 11/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981).

La questione rileva anche nell’ambito della responsabilita’ colposa plurisoggettiva, in quanto l’evento dannoso cagionato dalla convergenza di piu’ condotte pone il problema della riferibilita’, a ciascuno dei soggetti coinvolti, della connessa responsabilita’, e quello di stabilire le possibili interazioni fra le diverse condotte.

Nelle fattispecie plurisoggettive colpose, la questione puo’ porsi sia nei casi in cui i diversi soggetti coinvolti agiscano in rapporto di collaborazione diacronica, sia nei casi in cui essi agiscano in rapporto di collaborazione sincronica.

Si parla di collaborazione diacronica quando piu’ soggetti intervengono nel tempo (ossia in successione) e pongono in essere condotte sulla cui correttezza e cautela gli altri devono, di regola, poter confidare.

Si parla invece di collaborazione sincronica nel caso di attivita’ poste in essere nello stesso contesto spazio-temporale e per la medesima finalita’, sia in assetto gerarchico, sia collettivamente (come accade ad esempio nel lavoro d’equipe).

In tutti i casi di collaborazione (sia essa diacronica o sincronica), secondo autorevole dottrina, al singolo agente deve farsi carico di prevedere la possibile condotta incauta degli altri operatori a condizione che siano ravvisabili: a) la concreta prevedibilita’ dell’altrui imprudenza, ossia la possibilita’ che, in relazione alla situazione concreta, il singolo agente possa ragionevolmente prevedere che altri agenti pongano in essere condotte imprudenti e potenzialmente dannose; b) l’evitabilita’ delle conseguenze dell’altrui comportamento imprudente, ossia la concreta possibilita’ di agire efficacemente per impedire gli effetti dell’altrui condotta colposa; c) gli eventuali obblighi di sorveglianza, coordinamento e controllo affidati al singolo operatore nei confronti degli altri.

Va detto che, in base alla giurisprudenza di legittimita’ formatasi in epoca successiva alla sentenza (OMISSIS) (vds. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103), la responsabilita’ del primo garante nel prodursi dell’evento puo’ essere affermata sempreche’ non intervenga, nel decorso causale che conduce all’evento medesimo, una causa sopravvenuta (eventualmente indotta da altro soggetto subentrato nella veste di garante) che inneschi un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (cfr. in tema di responsabilita’ medica Sez. 4, n. 3312 del 02/12/2016 – dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001; Sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016, Pietramala e altri, Rv. 266786).

Nel caso che ne occupa, la doglianza muove dal presupposto che lo (OMISSIS) avesse assunto il comando senza avere contezza, dagli altri ufficiali in plancia (e in primo luogo dall’ (OMISSIS)), del cambio di rotta rispetto a quella concordata con l’ufficiale cartografo (OMISSIS): evenienza, questa, che viene di fatto presentata come idonea a integrare un rischio nuovo, imprevedibile ed eccezionale, nonche’ insuscettibile di essere evitato, per essere ormai la nave gia’ fuori rotta nel momento dell’assunzione del comando da parte dell’imputato.

Ma sul punto deve ribadirsi, sulla scorta della motivazione offerta dalla Corte di merito, che tale presupposto e’ smentito dagli atti: in realta’, fin dal suo arrivo in plancia lo (OMISSIS) ben conosceva la rotta (avendola addirittura ripetuta ad alta voce) e la velocita’ della nave; e del resto, quand’anche cio’ non si fosse verificato, egli possedeva tutti gli elementi non solo per conoscere la rotta, ma altresi’ per vedere esattamente in quale posizione di trovava la nave, dallo schermo radar (vds. pp. 234-235 sentenza impugnata).

Non si vede allora come si possa qualificare come “causa sopravvenuta imprevedibile ed eccezionale” (o, per attenerci alla piu’ recente giurisprudenza, come “rischio nuovo e incommensurabile”) il cambio di rotta intervenuto rispetto a quella concordata con il (OMISSIS), cambio di rotta che in realta’ era lo stesso (OMISSIS) ad aver voluto e, per di piu’, ad aver portato avanti, tentando solo tardivamente di correggerlo.

Nel prosieguo delle doglianze articolate sulla questione, il ricorrente richiama, per cercare di adattarli al caso concreto, alcuni principi mutuati dalla giurisprudenza in tema di responsabilita’ medica in equipe, con particolare riguardo a quello concernente l’esigenza della verifica del ruolo svolto da ciascun componente dell’equipe, non essendo consentito derogare al principio di personalita’ della responsabilita’ penale.

Si tratta di assunto privo di pertinenza rispetto al caso di specie.

Deve in primo luogo evidenziarsi che la stessa, piu’ recente giurisprudenza in tema di responsabilita’ del capo equipe, fornisce solidi argomenti a una soluzione opposta a quella prospettata dal ricorrente.

In particolare, si e’ recentemente affermato che il capo dell’equipe operatoria e’ titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale e’ tenuto a dirigere e a coordinare l’attivita’ svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllandone la correttezza e ponendo rimedio, ove necessario, ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza e, come tali, siano emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264366).

Nel caso in esame, si versa in una fattispecie nella quale lo (OMISSIS) si collocava in una posizione gerarchicamente sovraordinata (in un assetto gerarchico, fra l’altro, particolarmente spiccato, come quello del comando di una nave) rispetto agli altri ufficiali e, piu’ in generale, al personale di bordo. Al riguardo, tale posizione non puo’ ritenersi indifferente o irrilevante, giacche’ altra e’ la posizione del responsabile della struttura gerarchica rispetto ai sottoposti, e altra e’ la posizione dei soggetti subordinati rispetto alla condotta colposa del superiore, avuto anche riguardo alle responsabilita’ attribuite al singolo operatore.

Deve soggiungersi che, oltre a cio’, lo (OMISSIS) rivestiva sia l’obbligo, sia il potere di impedire l’evento: l’obbligo, quale comandante di nave e (come si e’ detto) titolare della correlativa posizione di garanzia sulla vita e sull’incolumita’ delle persone a bordo; il potere, quale soggetto che, nel momento in cui sopraggiunse in plancia (peraltro in colpevole ritardo), e anche quando assunse formalmente il comando della manovra, egli era sicuramente nelle condizioni di imprimere alla nave una rotta salvifica, come a piu’ riprese e’ stato affermato dalla Corte di merito nella sentenza impugnata. Egli in definitiva disponeva sia degli strumenti per prevedere eventuali negligenze o imprudenze altrui nel mantenere la rotta e la velocita’ della nave; sia degli strumenti per evitare che tali negligenze o imprudenze fossero produttive di effetti dannosi sul corso della navigazione e sull’incolumita’ dei passeggeri; sia, infine, di poteri (oltre che di obblighi) di sorveglianza, coordinamento e controllo nei confronti dei sottoposti: poteri che egli era sicuramente in condizione di esercitare durante l’intero arco della navigazione e, a maggior motivo, dal momento in cui egli raggiunse la plancia.

A fronte di cio’, quand’anche volesse accedersi (contro le gia’ esaminate evidenze) alla tesi sostenuta dal ricorrente, in base alla quale egli non sarebbe stato messo a conoscenza della rotta della nave dagli altri ufficiali in plancia, lo (OMISSIS) omise comunque di controllare la correttezza dell’operato dei suoi subalterni e di cercare di porre rimedio agli errori altrui, come pure avrebbe potuto fare: ne discende che i principi giurisprudenziali in materia di lavoro di equipe, invocati dal ricorrente a sostegno della tesi da lui sostenuta, non fanno altro che ulteriormente destituirla di fondamento.

11. QUARTO MOTIVO.

Il quarto motivo di ricorso degli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ anch’esso infondato.

Sotto il profilo piu’ squisitamente processuale va ribadita la pacifica e qui pienamente condivisa giurisprudenza di legittimita’ in base alla quale, in tema di giudizio d’appello, l’omessa pronuncia dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento non comporta alcuna menomazione dei diritti della difesa e, comunque, non integra alcuna nullita’ di ordine generale (articoli 178 e 180 c.p.p.) sotto il profilo della mancata assistenza o rappresentanza dell’imputato preordinata ad assicurare il giusto processo di cui all’articolo 111 Cost., posto che le ragioni della difesa sono salvaguardate ex ante dalla facolta’ di articolare e illustrare le richieste di prova, nonche’ ex post dalla possibilita’ di impugnare la sentenza (solo per menzionare alcune pronunzie, vds. Sez. 2, n. 47695 del 16/10/2014, Costanzo e altri, Rv. 260790; in senso conforme Sez. 4, Sentenza n. 46193 del 05/07/2013, Pellizzon, Rv. 258088; Sez. 5, Sentenza n. 12443 del 20/01/2005, Unis, Rv. 231682).

Del resto, a fronte del regime di tassativita’ delle nullita’ di cui all’articolo 177 c.p.p., che informa l’intero sistema processualpenalistico, alcuna sanzione processuale risulta espressamente collegata dal Codice di rito all’omessa pronunzia dell’ordinanza di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 5.

11.1. Non e’ poi ravvisabile, nella fattispecie de qua, alcuna distonia rispetto ai principi di cui all’articolo 6 della Convenzione E.D.U..

E’ noto che, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, la Corte di Strasburgo ha a piu’ riprese affermato che vi e’ violazione del comma 1 del detto articolo 6 quando il Giudice d’appello pervenga a ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado senza avere sentito i testimoni e valutato la loro attendibilita’ in prima persona, salvi i casi d’impossibilita’ di ripetizione dell’atto o per altre gravi ragioni. Il principio, affermato da molteplici pronunzie (a partire dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011; principio ulteriormente ribadito, fra le altre, dalle sentenze Manolachi c. Romania del 5 marzo 2013, Hanu c. Romania del 4 giugno 2013, Mischie c. Romania del 16 settembre 2014), e’ stato recepito anche dalla giurisprudenza nazionale di legittimita’, la quale ha in varie pronunzie affermato, anche a Sezioni Unite, che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non puo’ riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilita’ penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (ci si limita qui a richiamare le recenti Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487; Sez. U, Sentenza n. 18620 del 19/01/2017, Patalano; e, di questa Sezione, con specifico riferimento al riascolto di periti e consulenti, Sez. 4, Sentenza n. 6366 del 06/12/2016, dep. 2017, Maggi e altro, Rv. 269035).

Il predetto principio non puo’, invece, essere esteso fino a ricomprendere l’ipotesi in cui, come nel caso di specie, non vi sia reformatio in peius della sentenza di primo grado da parte del giudice dell’appello.

Va sul punto premesso che la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, a proposito del principio generale dell’equo processo di cui all’articolo 6 p. 1 della Convenzione, ha precisato che le modalita’ di applicazione di detto principio da parte delle Corti d’appello nazionali devono pur sempre misurarsi con le caratteristiche specifiche della tipologia procedimentale del giudizio di impugnazione disegnato dai singoli Stati, nel senso che detto giudizio non deve necessariamente replicare le regole procedimentali del primo grado; di tal che la Corte d’appello nazionale deve “tener conto dell’insieme del procedimento nell’ordinamento giuridico interno e del ruolo svolto dalla Corte d’appello” (Cedu, Botten c/ Norvegia, 19 febbraio 1996).

Il fatto stesso che la Corte di Strasburgo sia intervenuta, con le sentenze Dan c. Moldavia e altre citate, per ravvisare la violazione dei principi di fair trial con riguardo alla specifica ipotesi del ribaltamento in appello di sentenza assolutoria di primo grado, induce a ritenere evidente che, al di fuori di siffatta ipotesi, il principio di necessaria rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (e di emissione dei conseguenti provvedimenti da parte della Corte di merito) non debba automaticamente operare. Al piu’, in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio (ipotesi, anch’essa, del tutto differente da quella che qui interessa), il giudice d’appello e’ tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte, ma non e’ obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale (cfr. la recente Sez. 4, Sentenza n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, (OMISSIS), Rv. 268948).

Non vi e’, comunque, alcuna lesione dei principi del giusto processo laddove la Corte d’appello non provveda in senso conforme alla richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale laddove la decisione dalla stessa adottata non si sostanzia in un ribaltamento, ne’ in melius, ne’ in peius, della pronunzia di primo grado. In tale ipotesi, valgono quindi i sopra richiamati e qui condivisi arresti della giurisprudenza di legittimita’, che escludono qualsiasi laesio delle ragioni della difesa e del principio dell’equo processo nel caso in cui la Corte non emetta un’ordinanza con la quale motivi il rigetto dell’istanza di rinnovazione.

Del resto, le ragioni sottese a tale rigetto sono ampiamente illustrate ai paragrafi 3.2.8 e 3.2.9 della sentenza impugnata.

11.2. Per quanto invece attiene al contenuto della detta richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, va innanzitutto considerato che non puo’ in alcun modo parlarsi, nel caso di specie, di una richiesta riferita a “prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado” (articolo 603 c.p.p., comma 2), nozione che, com’e’ noto, riguarda la prova che sopraggiunge autonomamente, senza alcuno svolgimento di attivita’ d’indagine, o che viene reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successivo alla decisione (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 – dep. 14/11/2016, F, Rv. 268656); in ogni caso sarebbe inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante assunzione di prove sopravvenute dopo il giudizio di primo grado qualora non vengano indicati o forniti elementi concreti per consentire al giudice di valutare l’effettiva sopravvenienza della prova (da ultimo vds. Sez. 3, n. 37233 del 15/06/2016 – dep. 08/09/2016, Barone e altri, Rv. 268053).

Si versa invece, come ricavabile sulla scorta della stessa prospettazione del ricorrente, nell’ordinaria ipotesi di rinnovazione di prove ex articolo 603 c.p.p., comma 1, (trattandosi, in parte, di prove gia’ assunte in primo grado, dall’altro di prove c.d. “nuove”, nel senso che rientrano nella nozione di prova nuova quelle prove che, pur provenendo dalla medesima fonte gia’ assunta in primo grado, abbiano contenuto nuovo rispetto al precedente bagaglio valutativo: cfr. Sez. 1, n. 43473 del 14/10/2010 – dep. 09/12/2010, Arshad e altri, Rv. 248980).

Rispetto a tale fattispecie trova la sua massima espansione il principio, ribadito recentemente dalle Sezioni Unite, in base al quale la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, e’ un istituto di carattere eccezionale al quale puo’ farsi ricorso esclusivamente allorche’ il giudice ritenga, nella sua discrezionalita’, di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 – dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; in tema di rinnovazione di prove peritali, vds. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062).

Cio’ posto, il predetto carattere eccezionale della rinnovazione del dibattimento comporta che, mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione puo’ essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilita’, con la conseguente mancanza di necessita’ di rinnovare il dibattimento (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 – dep. 21/04/2010, Pacini, Rv. 246859; Sez. 4, Sentenza n. 47095 del 02/12/2009 Ud. – dep. 11/12/2009 -, Sergio e altri, Rv. 245996).

Nella specie, sulla scorta degli atti e di quanto riversato nello stesso motivo di ricorso, alcuna violazione di legge o vizio di motivazione da parte della Corte distrettuale puo’ dunque prospettarsi, a fronte di un quadro probatorio la cui ampia estensione copriva tutti gli aspetti della vicenda ed escludeva la necessita’ di sviluppare temi di prova ulteriori in carenza dei quali il giudice dell’appello non potesse decidere allo stato degli atti.

11.3. Le questioni prospettate dal ricorrente sul punto si appalesano, per il resto, riferite ad aspetti di ordine fattuale, sottratti come tali a sindacato di legittimita’.

Tanto piu’ che nella specie appare del tutto pertinente l’indirizzo ulteriormente espresso dalla Corte di legittimita’ (da ultimo in Sez. 3, Sentenza n. 42711 del 23/06/2016, Rv. 267974) in base al quale la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio gia’ raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicche’ non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attivita’ “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente.

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