guida in stato di ebrezza

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

ordinanza 4 agosto 2014, n. 34253

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHI Luisa – Presidente
Dott. MARINELLI Felicett – Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco – Consigliere
Dott. VITELLI CASELLA Luca – Consigliere
Dott. SERRAO E. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 691/2012 TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, del 02/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio in accoglimento di entrambi i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. Il 2/04/2012 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, all’esito del dibattimento svoltosi a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 186, comma 2, lettera b) e lo ha condannato alla pena di euro 5.000,00 di ammenda, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore, censurando la sentenza impugnata per avere il Tribunale irrogato una pena pecuniaria superiore al massimo edittale.
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli aveva proposto appello avverso la sentenza, lamentando l’omessa applicazione della pena detentiva congiuntamente a quella pecuniaria, nonche’ l’omessa applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
3.1. Con ordinanza del 31/03/2014 la Corte di Appello di Napoli, sul presupposto dell’inappellabilita’ della sentenza di primo grado, ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione per la trattazione dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. A norma dell’articolo 569 c.p.p., la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado puo’ ricorrere direttamente per cassazione; ma il comma 2 del medesimo articolo prevede che, se la sentenza sia appellata da una delle altre parti, si applica la disposizione dell’articolo 580 c.p.p., che dispone la conversione del ricorso per cassazione in appello.
2. E’, tuttavia, logicamente preliminare stabilire se la sentenza qui impugnata, dall’imputato con ricorso per cassazione e dal Procuratore Generale con appello, sia ascrivibile al novero delle sentenze appellabili.
2.1. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha, infatti, irrogato la soia pena pecuniaria in relazione ad una contravvenzione per la quale l’articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera b) dispone che la pena pecuniaria sia applicata congiuntamente alla pena detentiva dell’arresto.
2.2. In merito all’interpretazione del disposto dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, a norma del quale “Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali e’ stata applicata la sola pena dell’ammenda” sussistono due distinti orientamenti interpretativi nella giurisprudenza di questa Corte: un primo orientamento considera non appellabili le sole sentenze relative ad ipotesi di reato punite con la sola pena dell’ammenda, ritenendo che l’inappellabilita’ riguardi le sole sentenze con le quali sia stata legalmente applicata la sola pena dell’ammenda, con cio’ escludendosi il limite all’impugnazione per i casi in cui la sola pena dell’ammenda sia stata illegalmente applicata (Sez. 2, n. 10252 del 21/02/2013, P.M. in proc. Siciliano, Rv. 255546; Sez. 3, n. 12673 del 07/03/2006, Caserta, Rv. 234594); in una recente pronuncia di questa Sezione si e’, invece, ritenuto che il limite dell’inappellabilita’ si riferisca ad ogni pronuncia in cui il giudice abbia irrogato, anche se illegalmente, la sola pena dell’ammenda, sia in considerazione del tenore letterale della norma, sia in relazione al caso concreto esaminato, “in forza della decisiva considerazione secondo cui la mancata impugnazione del pubblico ministero avverso l’illegale determinazione della pena, rende irretrattabile la valutazione giudiziaria in ordine alla gravita’ del reato, compiuta attraverso la comminazione (sia pur erronea) della sola pena dell’ammenda” (Sez. 4, n. 18654 del 21/03/2013, Carapella, Rv. 255936).
2.3. Il Collegio ritiene che entrambi gli indirizzi sopra indicati possano essere ulteriormente sviluppati posto che, sebbene il testo letterale dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, non esprima alcuna distinzione tra sentenze che abbiano irrogato legalmente o illegalmente la sola pena dell’ammenda, la lettura della norma che si ricava dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 85 del 4 aprile 2008 (che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 1 – Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita’ delle sentenze di proscioglimento – nella parte in cui, sostituendo l’articolo 593 c.p.p., esclude che l’imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’articolo 603 c.p.p., comma 2, se la nuova prova e’ decisiva), non consenti di negare al Pubblico Ministero la possibilita’ di censurare nel grado di appello la pronuncia che abbia applicato la sola pena dell’ammenda in relazione ad un’ipotesi di reato non inclusa nel novero delle “contravvenzioni di minore gravita’ alle quali e’ legato il limite dell’inappellabilita’”.
2.4. Occorre, infatti, rimarcare che, nonostante il legislatore della Legge n. 46 del 2006 avesse omesso di reintrodurre la previsione di cui al previgente articolo 593 c.p.p., comma 3, seconda parte, che dichiarava inappellabili le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa, la Consulta ha negato che il legislatore intendesse innovare il regime anteriore, quanto alla sottrazione all’appello delle sentenze relative alle contravvenzioni di minore gravita’, da tanto potendosi desumere anche la conferma che la disposizione in esame si riferisca esclusivamente alle contravvenzioni di minore gravita’, punite con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
2.5. Richiamando, dunque, la giurisprudenza di questa Corte sopra citata, si puo’ ribadire che l’impiego del participio “applicata” anziche’ “prevista” (si confrontino, a tale proposito, l’articolo 16 c.p.p., in materia di competenza, o gli articoli 274 e 280 c.p.p., in materia di misure cautelari o l’articolo 464 quater c.p.p. di recente introduzione in materia di sospensione del processo, ove si fa riferimento alla pena edittale con l’impiego del termine “prevista”, rinvenendosi l’impiego del termine “applicata” in particolar modo nella materia delle misure cautelari negli articoli 273, 298, 299, 409 c.p.p., ma, sempre per intendere la sanzione determinata nel caso concreto, anche nell’articolo 445 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 2) sia indicativo della sanzione in concreto irrogata dal giudice in quanto riferibile, tuttavia, oltre che alle contravvenzioni per le quali sia comminata la sola pena pecuniaria, alle sole contravvenzioni per le quali, pur essendo comminata alternativamente la sanzione detentiva o la sanzione pecuniaria, sia stata in concreto applicata l’ammenda.
2.6. Puo’, conseguentemente, affermarsi il seguente principio di diritto: il limite all’appellabilita’ delle sentenze di condanna previsto dall’articolo 593 c.p.p., comma 3, deve intendersi riferito alle sentenze emesse in relazione alle contravvenzioni di minore gravita’, punite con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, in quest’ultimo caso qualora sia stata in concreto applicata la sola pena dell’ammenda.
3. Tanto premesso, considerato che la pena irrogata in concreto dal Tribunale fa riferimento ad un reato per il quale e’ prevista la pena detentiva congiunta alla pena pecuniaria, nel caso concreto l’appello proposto dal Procuratore Generale deve ritenersi ammissibile, con conseguente conversione in appello del ricorso per cassazione proposto dall’imputato, in base al combinato disposto dell’articolo 569 c.p.p., comma 2, e articolo 580 c.p.p..
3.1. Il ricorso va pertanto convertito in appello, con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Napoli per il giudizio.
P.Q.M.
Converte il ricorso dell’imputato in appello e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Napoli per il giudizio.

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