Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza n. 7273 del 22 marzo 2013
Svolgimento del processo
S.M.C. convenne, davanti al tribunale di Crotone, l’avv. R.F. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità professionale, con riferimento ad una procedura esecutiva immobiliare dichiarata estinta a causa dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito vantato dall’attrice nei confronti degli eredi di F.F..
Il convenuto, costituitosi, contestò il fondamento della domanda ed estese il contraddittorio nei confronti della Italiana Assicurazioni spa al fine di essere garantito in forza di polizza per la responsabilità civile professionale.
Quest’ultima, costituitasi, eccepì l’inoperatività della garanzia assicurativa.
Il tribunale, con sentenza del 18.5.2005, condannò il convenuto al risarcimento dei danni, e la Italiana Assicurazioni spa a tenere indenne lo stesso per gli importi cui era stato condannato.
Proposero appelli, principale S.M.C. ed incidentale la Compagnia di assicurazioni.
Si costituì, ma tardivamente, anche il R. che contestò la propria responsabilità.
La Corte d’Appello, con sentenza del 24.1.2011, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò l’appellato alla corresponsione di maggiori somme in favore della S. e rigettò la domanda di manleva nei confronti della Italiana Assicurazioni spa.
L’avv. R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorsi la S. e la società Italiana Assicurazioni spa.
Il R. e l’Italiana Assicurazioni spa hanno anche presentato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 c.c. e omessa motivazione sull’appello incidentale proposto dalla Italiana Assicurazioni spa nella parte in cui è stata contestata la responsabilità professionale del convenuto (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Il motivo non è fondato.
In materia di procedimento civile, si ha garanzia propria quando la domanda principale e quella di garanzia hanno lo stesso titolo, o quando si verifica una connessione obiettiva tra i titoli delle due domande, o quando sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l’azione principale e con quella di regresso.
Si ha, invece, garanzia impropria quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del proprio inadempimento o, comunque, della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale (Cass. 29.7.2009 n. 17688; Cass. ord. 24.1.2007 n. 1515; Cass. 30.9.2005 n. 19208).
Ora, nel caso in esame, è evidente che il titolo delle domande proposte sia diverso.
La prima, quella di risarcimento dei danni proposta dalla S. nei confronti del R., attiene alla responsabilità professionale del legale, mentre quella in base alla quale quest’ultimo ha convenuto in giudizio la sua compagnia di assicurazione è fondata sul contratto di assicurazione.
Peraltro, a questa conclusione, che comporterebbe l’infondatezza del motivo, se ne deve anteporre un’altra di per sè logicamente pregiudiziale.
L’Italiana Assicurazioni, infatti, – che ha proposto appello incidentale in ordine alla contestata operatività della garanzia assicurativa, – non ha contestato l’accertamento della responsabilità effettuata dal primo giudice chiedendo, nella conclusioni rassegnate nel giudizio di appello, “confermare parzialmente la sentenza del Tribunale di Crotone nella parte in cui afferma la responsabilità dell’Avv. R. e lo condanna al risarcimento dei danni a favore di S.M.”.
Ora, l’appello incidentale sul punto della responsabilità proposto dal R., è stato dichiarato inammissibile, perchè tardivo, dalla Corte di merito; ed una tale statuizione non è stata oggetto di impugnazione da parte dell’attuale ricorrente.
Ne deriva che si è formato il giudicato sul rapporto principale e sulla responsabilità, riconosciuta, del professionista; ragion per cui è ininfluente – pur avendo visto ricorrere un’ipotesi di garanzia impropria ù discutere della natura della garanzia.
Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione rivolta alla decisione di primo grado in merito al criterio di valutazione del danno risarcibile (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e insufficiente e contraddittoria motivazione nella valutazione del danno risarcibile (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
I due motivi, per l’evidente connessione delle censure con gli stessi proposte, sono esaminati congiuntamente.
Essi non sono fondati.
L’inadempimento dell’odierno ricorrente – come riconosciuto correttamente dalla sentenza impugnata – riguarda, non solo l’estinzione della procedura esecutiva promossa, ma anche la perdita del diritto riconosciuto dalla sentenza – per la sua prescrizione – e quindi l’actio iudicati.
Con accurata motivazione, la Corte di merito ha sottolineato che “il diritto della S., accertato con una sentenza passata in giudicato, qualora non fosse stato soddisfatto completamente nell’esecuzione dichiarata estinta, avrebbe comunque continuato ad esistere per il residuo. Infatti, l’eventuale esecuzione non completamente satisfattiva costituisce, a sua volta, un’ipotesi di estinzione parziale del diritto stesso, che, per la parte restante, continua così ad esistere fino al pagamento integrale, qualora non si estingua per altre cause. Nel caso di specie, la condotta del professionista ha determinato la totale estinzione del diritto della S.; ed il danno che ne deriva come conseguenza immediata e diretta corrisponde ad una somma pari all’entità del credito estinto.
Ciò che si è estinto è il diritto riconosciuto dalla sentenza e la conseguente actio judicati”.
E, su tale base, ha provveduto alla liquidazione.
Trattasi di motivazione ineccepibile.
Non sussiste alcun vizio motivazionale.
Piuttosto, con la censura proposta, il ricorrente auspica una diversa – e non consentita – valutazione e liquidazione del danno in questa sede.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge ed errata determinazione degli interessi e della rivalutazione monetaria in contrasto con il costante orientamento della Suprema Corte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 361 bis c.p.c. (rectius art. 360 bis c.p.c.)).
Il motivo non è fondato.
A seguito dell’intervenuta prescrizione del diritto, produttivo in tale momento, di un danno risarcibile, il credito di valuta della S. nei confronti dei F. si è estinto ed, al suo posto, è intervenuto il diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’avv. R.; debito questo di valore (v. anche Cass. 3.8.2010 n. 18028; Cass. 3.3.2009 n. 5054); Cass. 10.3.2006 n. 5234).
Corretta, quindi, la liquidazione di interessi e rivalutazione della somma, come effettuata dalla Corte di merito. Con il quinto motivo si denuncia violazione di legge ed insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui è stato escluso l’obbligo di manleva della Compagnia Italiana di Assicurazioni spa (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Il ricorrente sottolinea che la polizza assicurativa dell’Italiana Assicurazioni prevedeva un regime di operatività c.d. claims made, in forza della quale ha rilevanza la data della richiesta risarcitoria indipendentemente dalla data dell’errore o della negligenza.
Il motivo non è fondato.
Sono principii affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola cosiddetto a richiesta fatta (claims made) – puntualmente riportati nella sentenza impugnata – i seguenti.
Tale contratto non rientra nella fattispecie tipica prevista dall’art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico, generalmente lecito ex art. 1322 c.c., poichè, del suindicato art. 1917, l’art. 1932 c.c. prevede l’inderogabilità – se non in senso più favorevole all’assicurato – del terzo e del quarto comma, ma non anche del primo, in base al quale l’assicuratore assume l’obbligo di tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare ad un terzo in conseguenza di tutti i fatti (o sinistri) accaduti durante il tempo dell’assicurazione, di cui il medesimo deve rispondere civilmente, per i quali la connessa richiesta di risarcimento del danno, da parte del danneggiato, sia fatta in un momento anche successivo al tempo di efficacia del contratto, e non solo nel periodo di efficacia cronologica del medesimo. Ciò che si desume da un’interpretazione sistematica che tenga conto anche del tenore degli artt. 1917, 1913 e 1914 c.c., i quali individuano l’insorgenza della responsabilità civile nel fatto accaduto.
Nè, al riguardo, assume rilievo l’art. 2952 c.c., relativo alla richiesta di risarcimento fatta dal danneggiato all’assicurato o alla circostanza che sia stata promossa l’azione, trattandosi di norma con differente oggetto e diversa ratio, volta solamente a stabilire la decorrenza del termine di prescrizione dei diritti dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore.
Infine, spetta al giudice di merito accertare, caso per caso, se la clausola “a richiesta fatta”, riducendo l’ambito oggettivo della responsabilità dell’assicuratore, fissato dall’art. 1917 c.c., configuri una clausola vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c. (così Cass. 15.3.2005 n. 5624).
Questi principii, però, relativi al regime di operatività della clausola c.d. claims made inserita nella polizza assicurativa, non rilevano, nel caso in esame, per le seguenti ragioni.
Tale clausola contrattuale (art. 4 delle condizioni generali di polizza) – come ha correttamente rilevato la Corte di merito – attiene ad un profilo diverso da quello per il quale è stata eccepita l’inoperatività della polizza e relativo, quest’ultimo, alle clausole contenute negli artt. 3 e 11 che pongono a carico dell’assicurato l’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento della sottoscrizione della polizza assicurativa.
Queste clausole (artt. 3 e 11) sono state ritenute, dal giudice del merito, compatibili con quella c.d. a richiesta fatta (pag. 17 della sentenza), ma l’inoperatività della garanzia è stata affermata per la violazione proprio di dette clausole, e non sulla base di una non corretta valutazione di quella claims made.
Ciò che conduce a ritenere ininfluenti le censure, sotto questo profilo, avanzate dal ricorrente.
Peraltro, la Corte di merito ha chiaramente affermato le ragioni per le quali, nello specifico, ha ritenuto l’inoperatività della polizza assicurativa e ne ha dato ampia e precisa motivazione.
Ha, infatti, affermato al riguardo che la polizza assicurativa stipulata dall’avv. R….. decorreva dal 1 giugno 1995 mentre i fatti e le circostanze che hanno cagionato un danno all’appellante si collocano temporaneamente alla data nella quale è stato stipulato il contratto. La procedura esecutiva promossa dalla S. era già stata dichiarata estinta il 27 settembre 1992 e risulta in atti che la S. aveva richiesto più volte all’assicurato avv. R. informazioni su tale procedura….; risulta, in particolare, che, nella nota 28.2.1994, la S. scriveva. Spero che nel frattempo il credito di cui sopra non sia caduto in prescrizione”.
Concludendo “Ciò prova che lo stipulante Avv. R. quando sottoscrisse la polizza con l’Italiana Assicurazioni e, cioè in data 1.6.1995, era ben conscio che i danni per cui oggi si discute si erano già verificati e che, con notevole probabilità, sarebbe stato chiamato a risponderne”.
Si tratta di accurata motivazione, totalmente condivisibile.
Non senza evidenziare, ulteriormente, che in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore.
Ed il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa (v. anche Cass. 30.11.2011 n. 25582); motivazione, invece, per le ragioni già dette, corretta e puntuale.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle resistenti, sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore di S.M.C. in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per compensi, ed in favore della Compagnia Italiana Assicurazioni spa in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 3.800,00 per compensi; il tutto oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 febbraio 2013.
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