SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
IIII sezione
sentenza n. 3427 DEL 14 FEBBRAIO 2014
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 2366-2008 proposto da:
M. F. elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
-ricorrente –
Contro
G.C. elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE XXI APRILE 11 ST.ROMANO-PANN, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS),, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 609/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 03/07/2007 R.G.N. 1273/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/12/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS),;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. G.C. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Crotone, il notaio M.F, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla levata, da parte del professionista, di un protesto cambiario relativo ad una cambiale tratta di lire 190.000, nonché alla trasmissione di tale atto alla Camera di commercio di Catanzaro, vicenda che gli aveva provocato un danno ingiusto per lesione della sua reputazione. Costituitosi in giudizio, il M.F. ammetteva l’erroneità dell’avvenuta pubblicazione, sostenendo di avere provveduto alla tempestiva cancellazione e rettifica dell’atto di protesto, e chiedeva il rigetto della domanda.
Il Tribunale, con sentenza del 22 ottobre 2001, rigettava la domanda, compensando le spese di giudizio.
2. Il G.C. proponeva impugnazione e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 3 luglio 2007, in riforma di quella di primo grado, accoglieva la domanda dell’appellante e condannava il notaio M F.al pagamento della somma – liquidata in via equitativa – di euro 10.000 a titolo di risarcimento dei danni, nonché al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
Osservava la Corte territoriale che il giudice di primo grado, pur avendo ritenuto sussistenti tutte le condizioni per il riconoscimento del diritto del G.C. al risarcimento dei danni e pur avendo correttamente precisato trattarsi di danno non esattamente determinabile, aveva poi rigettato la domanda per non avere l’attore fornito alcun elemento “idoneo a orientare la liquidazione”.
Nella specie, al contrario, l’erronea pubblicazione del protesto, ammessa dal notaio convenuto in giudizio, non aveva soltanto leso l’immagine del GC da un punto di vista commerciale, ma si era tradotta in una “più complessa vicenda, di indubitabile discredito personale che ha determinato una lesione della reputazione del protestato e pertanto un danno da ritenere in re ipsa”. Sicché non appariva corretta la decisione di non liquet assunta dal Tribunale, dovendosi procedere ad una liquidazione del danno in via equitativa; la quale, in considerazione della limitata durata della pubblicazione del protesto, poteva essere contenuta nella somma sopra indicata.
3. Avverso la sentenza della Corte calabrese propone ricorso M.F, con atto affidato a quattro motivi con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Per ragioni di economia processuale si ritiene opportuno procedere alla trattazione unitaria del primo e del terzo motivo di ricorso, che pongono problemi fra loro connessi.
2.Con il PRIMO MOTIVO di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 cod. civ., oltre a insufficienza della motivazione circa un fatto decisivo.
Rileva il ricorrente che la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto in più occasioni che, in tema di protesti cambiari, l’illegittimità della levata del protesto non costituisce, di per sé, prova del danno conseguente alla lesione della reputazione commerciale del soggetto protestato. Nel caso in esame risultava dagli atti di causa, tra i quali le deposizioni testimoniali, che il GC non aveva fornito prova adeguata dell’esistenza del danno, sicché veniva a mancare il presupposto stesso della risarcibilità. Il danno, infatti, potrebbe ritenersi in re ipsa solo in presenza di un’accertata dimostrazione della lesione della reputazione personale.
3. Con il TERZO MOTIVO di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo coma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 cod. civ., oltre a omessa, contraddittoria e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Rileva il M F che è pacifico che la liquidazione del danno possa avvenire in via equitativa, ove sia impossibile la prova del medesimo nel suo preciso ammontare. Ciò non toglie, però, che il giudice di merito sia tenuto a dare conto del processo logico che ha seguito per giungere ad una certa determinazione; la Corte d’appello, invece, si sarebbe limitata a fare riferimento alla breve durata del protesto, senza dare conto delle ragioni della sussistenza di un danno alla reputazione commerciale del GC e senza specificare i fattori costitutivi del risarcimento così come liquidato.
4. I motivi sono privi di fondamento.
Osserva la Corte che nella presente vicenda sono pacifiche alcune circostanze, ossia che il notaio M F elevò il protesto cambiario e che ammise, fin dal giudizio di primo grado, di aver commesso un errore, tanto da provvedere poi alla cancellazione del protesto, con conseguente pubblicazione dell’atto di rettifica. Allo stesso modo è fuori discussione – per espressa indicazione contenuta nella sentenza impugnata – che la pronuncia di primo grado, dopo aver riconosciuto la sussistenza dei requisiti e delle condizioni per affermare il diritto del G C. al risarcimento del danno, è pervenuta, invece, al rigetto della domanda sul rilievo per cui il danno non era “esattamente quantificabile nel suo ammontare e quindi risarcibile in via equitativa”.
La sentenza di primo grado non era stata impugnata dal notaio, vincitore in quella sede, neppure in via incidentale o condizionata, il che rendeva ormai non più discutibile, siccome sostanzialmente coperta dal giudicato, la questione circa l’esistenza delle condizioni astratte per il risarcimento del danno; sicché l’unico problema che si poneva era quello di procedere alla liquidazione dello stesso.
Sulla base di tali premesse, è evidente che in questa sede non si tratta di stabilire se l’illegittima levata del protesto determini un danno di per sé – come hanno stabilito alcune pronunce (sentenze 5 novembre 1998, n. 11103, 28 giugno 2006, n. 14977) ovvero se il protestato sia tenuto a dimostrare in concreto la sussistenza di una lesione patrimoniale risarcibile (sentenze 3 aprile 2001, n. 4881, 25 marzo 2009, n. 7211, e 16 febbraio 2012, n. 2226). È invece necessario stabilire se, dando per pacifico che sussistevano le condizioni per il risarcimento, sia conforme a diritto la sentenza di merito che, in assenza di un preciso elemento idoneo ad orientare la liquidazione, abbia utilizzato lo strumento della liquidazione in via equitativa.
Ritiene questa Corte che, nella specie, la Corte territoriale abbia fatto buon uso dell’art. 1226 cod. civ. proprio perché, dovendosi considerare pacifica l’esistenza del diritto al risarcimento, il rigetto della domanda si sarebbe tradotto, come ha osservato la sentenza in esame, in una sorta di inaccettabile non liquet. Come è stato più volte affermato da questa Corte, infatti, il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza. In tali casi, non è, invero, consentita al giudice del merito una decisione di non liquet, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (così, da ultimo, la sentenza 12 ottobre 2011, n. 20990).
Non può essere trascurato, del resto, che nell’attuale regime di mercato che si fonda, in via principale, sul credito, la levata di un protesto crea un’inevitabile lesione dell’immagine del soggetto protestato, proprio perché è del tutto lecito attendersi, in un caso del genere, una maggiore difficoltà di accesso al credito; il che si traduce o in una negazione o riduzione di futuri prestiti o, specularmente, nella richiesta immediata di esazione di crediti magari neppure scaduti. Calcolando che, nel caso di specie, si trattava di una realtà economica di non particolare grandezza ed importanza – cioè quella della Provincia di Catanzaro – è conforme a diritto la scelta della Corte territoriale di accedere ad una liquidazione equitativa limitata entro una soglia risarcitoria contenuta.
Il PRIMO ED IL TERZO MOTIVO di ricorso, pertanto, sono rigettati.
5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omessa, contraddittoria e illogica motivazione.
Si rileva, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, che la levata del protesto cambiario, ove sia stata seguita da una pronta ed efficace rettifica, esclude l’esistenza del danno; nella specie, quindi, la sentenza impugnata sarebbe viziata perché la Corte d’appello non avrebbe dato conto delle ragioni per le quali ha pronunciato la condanna pur in presenza di una rettifica della pubblicazione.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, oltre a non contenere la formulazione del necessario momento di sintesi nel quale esplicitare la censura di vizio di motivazione – trattandosi di ricorso soggetto, ratione temporis, al regime dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – si risolve, comunque, in una sollecitazione di questa Corte ad una diversa valutazione delle prove esistenti.
6. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2056 e 2697 cod. civ., oltre a insufficienza della motivazione circa un fatto decisivo della controversia.
La Corte d’appello, infatti, sarebbe incorsa nelle lamentate violazioni perché non avrebbe dato conto in alcun modo dell’esistenza del nesso di causalità tra il fatto (levata del protesto) e le asserite conseguenze dannose a carico dell’originario attore. Nel comportamento del GC invece, sarebbero ravvisabili ragioni di concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., non essendosi il medesimo prontamente attivato per recuperare la stima di cui era circondato nel proprio ambiente professionale.
6.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.
Da un lato, infatti, esso prospetta una censura di vizio di motivazione in ordine al nesso di causalità riguardo alla quale valgono le considerazioni già fatte a proposito del primo e del terzo motivo. Quanto alla violazione di legge, la censura pone, in sostanza, una questione nuova a questa Corte, addirittura osservando che il G. C. sarebbe colposamente responsabile, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., per non essersi attivato per recuperare la stima di cui godeva nel suo ambiente commerciale prima della levata del protesto. Il che, fra l’altro, è anche in contraddizione con quanto posto a fondamento dei motivi precedenti di ricorso, volti a dimostrare la completa assenza di un danno risarcibile.
7. In conclusione, il ricorso è rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, attesa la tardività della notifica del controricorso da parte del G C
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 dicembre 2013.
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