SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 28 settembre 2012, n. 16581

Svolgimento del processo

Il geometra I.G. otteneva, nei confronti di Emme Promozione s.r.l. (poi incorporata da Krizia S.p.A.) decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali. Emme Promozione con citazione dell’11/10/1994 proponeva opposizione contestando che il professionista avesse svolto tutte le attività indicate e affermando che le attività effettivamente svolte erano già state retribuite con il pagamento di lire 68.000.000, a saldo.

Con sentenza del 12/3/2003 il Tribunale di Tempio Pausania accoglieva parzialmente l’opposizione accertando in lire 62.449.440 il credito residuo del professionista.

Krizia S.p.A., incorporante Emme Promozione s.r.l. proponeva appello deducendo, tra l’altro e per quanto qui interessa, che la parcella era stata emessa con riferimento alla tariffa professionale approvata il 6/12/1993, in epoca successiva al progetto esecutivo redatto nel 1987.

I.G. si costituiva e chiedeva il rigetto dell’appello.

La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 22/3/2005 in parziale riforma della sentenza appellata condannava Krizia S.p.A. a pagare a G.I. la minor somma di lire 23.732.263 risultante dall’importo riconosciuto come dovuto al professionista, pari lire 91.732.263 (senza le voci “assistenza al collaudo” e “liquidazione” per mancata prova dell’espletamento di tali attività), detratte lire 68.000.000 che risultavano già corrisposte. La Corte territoriale rilevava:

– che, la documentazione legittimamente prodotta in appello (trattando di processo instaurato prima dell’entrata in vigore della riforma del 1990) provava che il geometra aveva ininterrottamente svolto la sua attività fino al 3/9/1993 (in particolare valorizzava a tal fine una lettera inviata al professionista dalla cliente il 3/9/1993);

– che la parcella poteva essere redatta sulla base delle tariffe vigenti al momento del completamento dell’attività professionale che aveva avuto la sua conclusione nel 1993;

– che nella liquidazione della parcella, pertanto, non poteva applicarsi il D.M. 6/12/1993 n. 596, ma doveva applicarsi la L. n. 144/1949 e successivi adeguamenti;

– che, d’altra parte, la percentuale sull’importo delle opere non era variata rispetto alla tabella allegata alla Legge professionale;

– che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto come già corrisposto l’importo di lire 68.000.000. Krizia S.p.A. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

I.G. è rimasto intimato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato inserimento, tra le somme già corrisposte in pagamento al geometra, dell’importo di lire 8.100.000 per ritenuta di acconto asseritamente documentato in atti (allegati 11-a e 13 dell’atto di appello); deduce inoltre la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per l’omessa decisione su due capi di appello, nei quali si chiedeva darsi atto del pagamento di lire 8.100.000 per ritenuta di acconto.

1.1 Il motivo è manifestamente infondato in quanto la cliente del professionista ha pagato all’erario somme a titolo di ritenuta di acconto quale sostituto di imposta del professionista e per tali somme il sostituto aveva omesso di esercitare la rivalsa (obbligatoria) al momento del pagamento del compenso. L’art. 64, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 definisce il sostituto d’imposta come colui che “in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri… ed anche a titolo di acconto”.

L’obbligo del sostituto è infatti previsto per agevolare la riscossione e l’accertamento degli obblighi del percettore del reddito, pur rimanendo obbligato anche il sostituito, mentre il rapporto privatistico tra sostituto e sostituito è configurato in termini di rivalsa.

Ciò comporta che il sostituto ha corrisposto la ritenuta all’Erario in adempimento di una obbligazione propria e tale adempimento non costituisce “pagamento” del debito nei confronti del professionista, ma determina, se del caso, il semplice diritto alla rivalsa.

Ne discende che l’omessa motivazione è irrilevante in quanto non concerne un fatto decisivo per il giudizio (v. art. 360 n. 5 c.p.c.) e non sussiste omessa pronuncia in quanto la somma successivamente pagata, corrispondente all’importo dovuto per la ritenuta dapprima non effettuata, non era stata richiesta con domanda di restituzione, ma illegittimamente portata a deconto del credito del professionista quale (insussistente) pagamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la violazione e falsa applicazione della tabella H del D: 16/9/1982, della tabella H3 del D.M. 407/88; della tabella H4 del D.M. 596/1993 e la “mancata valutazione delle differenze di percentuale riportate in dette tabelle”.

La ricorrente assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la percentuale sull’importo delle opere non sia variata rispetto alla tabella allegata alla legge professionale, mentre le tabelle H dei tariffari dei Geometri per gli anni 1982, 1988 e 1993 erano variati.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la violazione dell’art. 112 c.p.c., l’erronea applicazione retroattiva del tariffario 596/1993 e la violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e assume che sarebbe stato applicato proprio il tariffario di cui al D.M. 596/1993 che si affermava non doversi applicare e che la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi in merito a quale tariffario dovesse essere applicato.

4. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto si risolvono nell’unitaria censura dell’entità della liquidazione calcolata sulla base della parcella tarata dall’ordine e che corrisponderebbe ai criteri stabiliti dal D.M. 596/1993, ma non a quelli stabiliti dal D.M. 16/9/1982 o dal D.M. 407/1988 che, per le voci riconosciute come dovute (progetto di massima, preventivo sommario, progetto esecutivo, direzione lavori), porterebbero a liquidazioni inferiori.

Il secondo motivo è in parte inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale, invece, si afferma che la liquidazione deve essere effettuata sulla base delle tariffe vigenti al momento del completamento dell’attività professionale (pag. 3 della sentenza), che si era svolta fino al 3/9/1993 (pag. 2 della sentenza) e che non potevano essere applicati gli adeguamenti disposti dal D.M. 6/12/1993 n. 596 in quanto intervenuto successivamente al completamento dell’attività.

Appare pertanto evidente che la Corte territoriale, rilevando che le attività erano state completate il 3/9/1993 ha ritenuto applicabile il D.M. 407/1988 e, quindi, è in discussione solo la corretta applicazione del suddetto D.M., mentre resta del tutto immotivata l’affermazione secondo la quale la Corte di Appello avrebbe applicato il D.M. del 1993.

In ordine alla violazione dei criteri stabiliti dal D.M. 407/1988 nel secondo motivo non sono state svolte specifiche censure; le censure sono svolte nel terzo motivo che, tuttavia, è inammissibile nella parte in cui deduce l’omessa pronuncia sulla tariffa applicabile e l’erronea applicazione retroattiva della tariffa di cui al D.M. 596/1993 essendo invece certo, come detto, che la Corte distrettuale ha inteso applicare quello del 1988 e, quindi, non la tariffa del 1993 retroattivamente.

Resta, quindi da esaminare il profilo dell’errata applicazione del D.M. 407/1988 in quanto la ricorrente deduce che la sua corretta applicazione avrebbe comportato la liquidazione di un onorario di lire 42.339.873, oltre maggiorazioni, mentre la Corte di Appello ha riconosciuto dovuto un onorario di lire 58.702.249 (previa deduzione delle voci assistenza al collaudo per lire 1.956.741 e liquidazione per lire 4.565.730, ritenute non dovute).

Sotto questo profilo, la censura è inammissibile per genericità in quanto la società ricorrente si limita ad esporre e sviluppare un proprio calcolo dell’importo dovuto in base alla tariffa del 1988 senza tuttavia riportare i diversi importi che sono stati liquidati nella notula approvata dal Collegio dei geometri che è stata utilizzata dal giudice di appello per la determinazione del dovuto, dopo avere apportato alcune correzioni in riduzione; manca pertanto il parametro di riferimento per stabilire la violazione dei limiti tariffari massimi.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la mancata valutazione delle prove prodotte in merito alla datazione della prestazione e la mancata applicazione del D.M. 16/9/1982; nel motivo si reitera la censura per la quale le prestazioni erano state svolte in data anteriore alla vigenza della tariffa del 1993 e si assume che alcune di esse (progetto di massima, progetto esecutivo, computo metrico, necessariamente antecedenti alla concessione edilizia del 1987) addirittura prima del 1988 con conseguente applicabilità della tariffa del 1982.

6. Il motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali l’attività, pur iniziata nella vigenza della tariffa del 1982, doveva essere retribuita secondo la tariffa del 1988; infatti, la Corte di Appello, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede in quanto, come detto, assistita da congrua motivazione, ha rilevato che dalla prodotta documentazione risultava una ininterrotta attività del professionista svolta fino al 3/9/1993, come documentato da una lettera della società indirizzata al professionista (v. pag. 2 della sentenza) e dal computo metrico estimativo relativo alla sistemazione degli esterni, che rifletteva un’attività svolta fino al 1993; la contestazione della ricorrente per la quale l’incarico per la sistemazione delle aree esterne non sarebbe stata ricompresa nell’incarico è meramente oppositiva e fa leva su un dato solo formale consistente nell’intestazione della parcella.

La motivazione della Corte territoriale è inoltre corretta perché in caso di successione di tariffe professionali, per stabilire in base a quale di essa deve essere liquidato il compenso occorre tenere conto della natura dell’attività professionale e, se per la complessa portata dell’opera il compenso deve essere liquidato con criterio unitario la tariffa applicabile è quella che vige alla data della liquidazione anche se l’esplicazione dell’attività ha avuto inizio quando era vigente altra tariffa (cfr. Cass. n. 3233/1955; Cass. n. 50/1957).

7. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della circolare del Ministro dei LLPP n. 13951, la violazione dell’art. 11 preleggi, del principio tempus regit actum e l’omessa motivazione; si sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere applicabile per tutta l’attività il tariffario del 1993 o del 1988 in quanto, in caso di successione delle tariffe nel corso di una prestazione professionale, devono essere applicate, per le singole attività, le tariffe vigenti al momento dell’espletamento di ogni singola attività.

8. Il motivo è infondato per le già evidenziate ragioni (v. supra punto 6) tenuto conto della natura unitaria dell’incarico (che non termina con l’esecuzione della singola prestazione) e della circostanza che la liquidazione deve essere effettuata al momento della conclusione dell’attività e, quindi, con riferimento alla normativa vigente a tale momento.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, ma senza condanna della ricorrente al pagamento delle spese in quanto l’intimato non si è costituito.

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