Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 9 aprile 2015, n. 7117

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13762/2011 proposto da:

FONDAZIONE (OMISSIS) ONLUS (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio e dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTARE (OMISSIS) S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 46/2011 del TRIBUNALE di LAMEZIA TERME, depositata il 01/02/2011, R.G.N. 2844/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza depositata il 1 febbraio 2011, il Tribunale di Lamezia Terme dichiarava inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla Fondazione (OMISSIS) Onlus contro l’ordinanza di assegnazione delle somme emessa dal giudice dell’esecuzione in data 3 dicembre 2009.

L’opponente, debitrice esecutata, aveva dedotto che l’ordinanza era in contrasto col provvedimento di sospensione dell’esecuzione adottato il 19 novembre 2011. Si era costituito dinanzi al giudice dell’esecuzione il Fallimento (OMISSIS) srl, svolgendo una serie di eccezioni in rito e, nel merito, deducendo l’assenza di vizi dell’atto impugnato. La fase dinanzi al giudice dell’esecuzione si era conclusa col rigetto dell’istanza di sospensione o di provvedimenti indilazionabili. L’opposizione era stata riassunta nel merito dal Fallimento opposto e la Fondazione, originaria opponente, nel costituirsi in sede di merito, aveva eccepito la nullita’ dell’atto introduttivo del giudizio a cognizione piena dinanzi al Tribunale, il difetto di procura ad litem in capo al difensore della curatela e l’assenza di autorizzazione a stare in giudizio da parte del giudice delegato, in quanto revocata.

1.1.- Il Tribunale ha disatteso le eccezioni sollevate dalla Fondazione avverso l’atto introduttivo del giudizio di merito del Fallimento osservando che era stato regolarmente notificato, nel termine assegnato dal giudice dell’esecuzione, un atto, composto dall’originaria comparsa di risposta e dal provvedimento del g.e., “equipollente ad una citazione” e che comunque aveva raggiunto lo scopo; che era valida la procura alle liti rilasciata al difensore del Fallimento per la fase dinanzi al giudice dell’esecuzione, dato che i giudizi di merito previsti dall’articolo 616 c.p.c. e articolo 618 c.p.c., comma 2, costituiscono le fasi a cognizione piena dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi, di talche’ non richiedono il rilascio di un nuovo mandato al difensore, essendo sufficiente quello rilasciato per proporre il ricorso introduttivo del procedimento incidentale o per costituirsi nel medesimo; che l’autorizzazione a resistere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi non era stata affatto revocata dal giudice delegato, dal momento che questo, col provvedimento del 25/30 marzo 2010 (indicato dall’opponente come provvedimento di revoca dell’autorizzazione), si era limitato a revocare soltanto l’ammissione al gratuito patrocinio, senza incidere in alcun modo sulla legittimazione processuale della curatela.

Nel merito, ha ritenuto inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi spiegata dalla Fondazione, perche’ volta esclusivamente ad ottenere la sospensione del processo esecutivo, del tutto priva di strumentante rispetto a quest’ultimo, in quanto nelle conclusioni dell’atto di opposizione l’opponente non aveva formulato una richiesta di “pronuncia diretta alla declaratoria di illegittimita’ o all’annullamento dell’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate”, ma si era limitata ad instare per la sospensione o, in via alternativa, per l’adozione di provvedimenti indilazionabili.

Ha infine condannato l’opponente al pagamento delle spese di lite in favore del Fallimento opposto, ma ha rigettato la domanda di quest’ultimo di condanna della controparte al risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 96 c.p.c..

2.- Avverso la sentenza la Fondazione (OMISSIS) Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, avanza ricorso straordinario con tre motivi, proponendo anche una questione di legittimita’ costituzionale.

Il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. non si difende.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 163 e 164 c.p.c. e articolo 618 c.p.c., comma 2, perche’ il Fallimento avrebbe introdotto il giudizio di merito sull’opposizione agli atti esecutivi con un atto non “riferibile” ne’ ad un ricorso ne’ ad un atto di citazione.

Si sarebbe trattato piuttosto della notifica di una mera copia conforme della comparsa di costituzione e risposta.

1.1.- Inoltre, secondo la ricorrente, la nullita’ dell’atto non si sarebbe potuta ritenere sanata, come invece sostenuto dal Tribunale, perche’ vi sarebbe stato un “difetto congenito dei requisiti minimi essenziali, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 163 e 164 c.p.c.”, in particolare del requisito di cui all’articolo 163 c.p.c., n. 7, come gia’ eccepito, senza esito, dinanzi al Tribunale.

2.- Il motivo e’ infondato quanto alla prima censura ed inammissibile quanto alla seconda.

In merito alla forma dell’atto introduttivo del giudizio di merito sull’opposizione agli atti esecutivi, va ribadito il principio, affermato da questa Corte, per il quale “a norma dell’articolo 618 c.p.c., comma 2 – nel testo sostituito dalla Legge 24 febbraio 2006, n. 52, articolo 15, l’introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, all’esito dell’esaurimento della fase sommaria di cui al comma 1 della indicata disposizione, deve avvenire, analogamente a quanto previsto dall’articolo 616 c.p.c., con la forma dell’atto introduttivo richiesta nel rito con cui l’opposizione deve essere trattata, quanto alla fase di cognizione piena; pertanto, se la causa e’ soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione, da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice” (Cass. ord. n. 19264/12).

Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato che la parte ha si’ riassunto il giudizio con la comparsa di risposta, ma che questa costituiva un atto equipollente alla citazione poiche’ – essendo stata notificata unitamente al provvedimento del giudice dell’esecuzione che fissava, oltre al termine per la notificazione, anche la data della prima udienza di merito ai sensi dell’articolo 183 c.p.c. – conteneva tutti gli elementi richiesti dall’articolo 163 c.p.c. (ad eccezione dell’invito e dell’avvertimento di cui al n. 7, su cui si tornera’). Ha percio’ ritenuto l’idoneita’ dell’atto ad introdurre il processo a cognizione piena.

L’affermazione e’ conforme ad un principio di diritto espresso da questa Corte a proposito del rito cautelare uniforme, secondo cui se la parte riassuma con comparsa (dopo) il procedimento cautelare, e la comparsa contenga gli elementi dell’atto di citazione, si’ da costituirne valido equipollente, e’ egualmente soddisfatta l’esigenza di dare inizio a un nuovo procedimento (cfr. Cass. n. 10822/04).

Ed invero, come pure nota il Tribunale, cio’ che rileva perche’ l’atto realizzi la funzione della citazione e’ che contenga l’editio actionis e la vocatio in ius. Il Tribunale ha ritenuto presenti entrambi questi elementi nell’atto in contestazione e la ricorrente non ha specificamente contestato la mancanza dei detti requisiti (fatto salvo quanto si dira’ a proposito dell’articolo 163 c.p.c., n. 7).

In conclusione, va affermato che, nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, l’introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 618 c.p.c., comma 2, deve avvenire con la forma dell’atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l’opposizione deve essere trattata. Tuttavia, nel caso di giudizio da introdursi con citazione, l’esigenza di dare inizio al processo di merito e’ egualmente soddisfatta dalla notificazione di un atto diverso nella forma, purche’ contenente tutti gli elementi previsti dall’articolo 163 c.p.c., comma 3 (nella specie, la comparsa di risposta integrata con. il provvedimento del giudice dell’esecuzione con cui si fissava il termine per notificare, ma anche la data dell’udienza di trattazione), si da costituire valido equipollente dell’atto di citazione.

2.1.- Quanto alla mancanza dell’invito e dell’avvertimento ai sensi dell’articolo 163 c.p.c., n. 7, il Tribunale ha rilevato che la parte originaria opponente, cui l’atto di riassunzione e’ stato notificato, si e’ costituita “entro il dies ad quem stabilito dall’articolo 166 c.p.c., ed ha pienamente esercitato il proprio diritto di difesa al punto da ritenere di non dover richiedere la concessione dei termini previsti dall’articolo 183 c.p.c., comma 6, e da sanare l’ipotetico vizio da cui era affetto l’atto di controparte”.

La censura della ricorrente secondo la quale, invece, in sede di merito, avrebbe “rilevato il difetto di cui all’articolo 163 c.p.c., n. 7”, senza sortire “alcun effetto utile ai fini di cui all’articolo 164 c.p.c., comma 3”, oltre ad essere smentita dal passo di motivazione sopra riportato, e’ inammissibile.

Sul punto, il ricorso manca di autosufficienza.

Infatti, la ricorrente non ha specificato la modalita’, il tempo ed il contenuto dell’eccezione (che, ai sensi dell’ultimo inciso del richiamato dell’articolo 164 c.p.c., comma 3, avrebbe dovuto contenere la richiesta di fissazione di “una nuova udienza nel rispetto del termine”), ne’ ha indicato l’atto del processo in cui detta eccezione sarebbe contenuta ed il relativo luogo di reperimento, nel fascicolo di parte e/o d’ufficio.

Resta pertanto ferma la constatazione del giudice a quo dell’avvenuta sanatoria dell’atto mancante dei requisiti dell’articolo 163 c.p.c., n. 7, con le conseguenze di cui si e’ detto sopra quanto alla valida instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi.

3.- Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 83 c.p.c., n. 4, perche’ la procura al difensore del Fallimento era stata rilasciata per lo svolgimento dell’attivita’ difensiva relativa al “presente giudizio … con ogni piu’ ampia facolta’ di legge ed espressamente quella di farsi sostituire da altro avvocato”. Quindi, secondo la ricorrente, sarebbe riferita soltanto alla fase cautelare dinanzi al giudice dell’esecuzione e non avrebbe consentito l’instaurazione del giudizio di merito, in quanto mancante di una non equivoca estensione del potere di rappresentanza e dell’elezione di domicilio a quest’ultimo giudizio.

In particolare, a detta della ricorrente, si dovrebbe considerare l’assoluta autonomia tra la fase cautelare e la fase di merito del giudizio di opposizione agli atti, che non consentirebbe di estendere a quest’ultima la validita’ della procura rilasciata per la prima fase se non quando questa si riferisca in modo certo ed inequivocabile anche al giudizio di merito, come da giurisprudenza di legittimita’ richiamata in ricorso.

3.1.- Il motivo e’ infondato.

Questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare che la procura apposta dal creditore sull’atto di precetto, con cui viene attribuito al difensore il potere di compiere tutte le attivita’ necessarie per far conseguire alla parte rappresentata la soddisfazione del credito, abilita lo stesso difensore a compiere, oltre che gli atti del processo esecutivo in senso stretto, anche quelli inerenti agli eventuali giudizi di opposizione che possono frapporsi tra la pretesa esecutiva e la soddisfazione del credito, non solo limitatamente al primo grado ma anche per l’appello, in tal caso restando superata la presunzione di cui all’articolo 83 c.p.c., comma 4, secondo cui la procura speciale si presume conferita per un determinato grado del processo se non e’ espressa una volonta’ diversa (cosi’ gia’ Cass. n. 3089/01, nonche’, tra le altre, Cass. n. 10569/02 e n. 26296/07).

Corollario di questo principio e’ quello per il quale, qualora la procura sia stata conferita espressamente per il giudizio di opposizione – nel caso di specie, a margine della comparsa di risposta per resistere all’opposizione agli atti esecutivi – essa conserva validita’ per tutto il corso del giudizio, dalla fase dinanzi al giudice dell’esecuzione fino alla successiva fase di merito e, qualora si tratti di opposizione all’esecuzione o di terzo all’esecuzione, anche per il grado di appello (essendo invece non impugnabile la sentenza di opposizione agli atti esecutivi e necessitando l’eventuale ricorso straordinario dinanzi a questa Corte di procura speciale ai sensi dell’articolo 365 c.p.c.; norma estesa anche all’eventuale controricorso).

3.2.- Quest’ultimo principio non sarebbe (piu’) applicabile, secondo la ricorrente, nell’assetto dei giudizi di opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, come risulta a seguito della sostituzione dell’articolo 616 c.p.c., comma 2 e articolo 618 c.p.c., comma 2, rispettivamente attuata della Legge 24 febbraio 2006, n. 52, articoli 14 e 15; l’attuale struttura bifasica del procedimento e la ritenuta natura cautelare della prima fase comporterebbero l’autonomia di questa rispetto alla fase di merito a cognizione piena, con conseguente applicabilita’ dell’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in tema di procura rilasciata per i procedimenti cautelari regolati dal rito cautelare uniforme introdotto dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 74.

Secondo quest’ultimo orientamento, il procedimento cautelare costituisce un procedimento distinto ed autonomo rispetto a quello di merito, ancorche’ legato ad esso da un nesso di strumentante, con la duplice conseguenza che, ottenuta la pronuncia sull’istanza cautelare, si deve iniziare un nuovo procedimento per il merito, e che, a tal uopo, va rilasciata altra procura, avendo quella precedentemente rilasciata ormai esaurito i suoi effetti (cosi’, tra le altre, Cass. n. 10822/04, richiamata in ricorso, fino alla recente Cass. n. 17221/14).

Come pure nota la ricorrente, l’affermazione di principio e’ spesso coniugata con l’altra per la quale la procura speciale rilasciata per il procedimento ante causam puo’, nonostante la piena autonomia di tale procedimento rispetto all’eventuale giudizio di merito, abilitare il procuratore ad introdurre il successivo giudizio a cognizione piena (ovvero a resistere ad esso) a condizione che la procura sia riferibile in modo certo e non equivoco anche al giudizio di merito, e che quest’ultimo giudizio verta sullo stesso oggetto del procedimento cautelare inizialmente introdotto (cfr., oltre a Cass. n. 10822/04 cit., anche Cass. n. 3794/02, n. 1236/03, n. 16094/03, citate in ricorso, ed ancora Cass. n. 14641/09).

Non manca peraltro, in senso difforme, altro precedente, con cui si e’ finito per affermare che la procura rilasciata per la fase cautelare e’ valida per le successive fasi di merito, atteso il collegamento funzionale esistente tra le due fasi, ponendosi quella cautelare come strumentale, sussidiaria e propedeutica a quella di merito, ed atteso che, anche in omaggio al principio di conservazione dell’atto, la presunzione di cui all’articolo 83 c.p.c., opera solo allorquando la procura venga rilasciata in modo assolutamente generico o si limiti a conferire la rappresentanza senza altra indicazione e non quando, come nella specie, essa sia conferita con riferimento al “presente giudizio”, alla “causa” o alla “controversia” (cosi’ Cass. n. 37/09).

3.3.- Il Collegio ritiene che l’orientamento giurisprudenziale relativo al procedimento cautelare sul quale e’ fondato il motivo di ricorso non sia pertinente rispetto al caso in esame, specificamente rispetto ai giudizi di opposizione agli atti esecutivi – a prescindere dalle oscillazioni sopra riscontrate a proposito del procedimento cautelare e dalla verifica dell’attivita’ interpretativa svolta dal giudice di merito per individuare, volta per volta, l’ambito del mandato conferito dalla parte al procuratore (cfr. Cass. n. 4864/07 ed altre).

La riforma attuata con la Legge n. 52 del 2006, innovando rispetto al passato, ha rimodulato il giudizio di opposizione agli atti esecutivi introdotto dopo l’inizio dell’esecuzione – quale e’ il presente – configurandone una struttura bifasica. Si prevede una fase dinanzi al giudice dell’esecuzione, che si svolge col rito camerale richiamato dall’articolo 185 disp. att. c.p.c. (anche questo sostituito dalla Legge n. 52 del 2006, articolo 13) e si conclude con l’ordinanza che, ai sensi del novellato articolo 618 c.p.c., comma 2, sospende la procedura o da i provvedimenti indilazionabili, comunque non idonea al giudicato. Si prevede quindi una fase di merito dinanzi al giudice competente ai sensi dell’articolo 27 c.p.c., comma 2, ma che non e’ condotta dal giudice dell’esecuzione in quanto tale, poiche’, svolgendosi secondo il rito di cognizione ordinario, fatte salve le deroghe di cui allo stesso articolo 618, comma 2 (ovvero secondo il rito speciale nei casi previsti dall’articolo 618 bis c.p.c.), e’ esterna al processo esecutivo e si conclude con una sentenza idonea al giudicato.

Tuttavia, la fase dinanzi al giudice dell’esecuzione e’ delineata dal legislatore della riforma del 2006 come fase necessaria, per quanto previsto dall’articolo 617 c.p.c., comma 2 e articolo 618 c.p.c., comma 1 e, comunque, e’ il giudice dell’esecuzione che, ai sensi del secondo comma di questo articolo 618 c.p.c., “in ogni caso fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito”, cosi’ realizzando un collegamento tra le due fasi.

Come sottolineato dalla sentenza impugnata, questa Corte ha gia’ avuto modo di soffermarsi sul collegamento tra le due fasi in cui si articola il processo di opposizione agli atti esecutivi (e di opposizione all’esecuzione), presupponendone un carattere tendenzialmente unitario, sia pure a fini diversi dal presente (cfr. Cass. n. 20532/09, n. 13928/10, n. 15630/10, n. 22767/10, n. 22033/11, n. 17860/11, n. 9984/12, tra le tante).

A maggior ragione detto carattere unitario rileva al fine di delibare le conseguenze dell’applicazione al giudizio di opposizione agli atti esecutivi dell’articolo 83 c.p.c. e specificamente dell’u.c., di questo, che prevede che “la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo quando nell’atto non e’ espressa una volonta’ diversa”.

In ragione di quanto detto sopra, nei rapporti tra la fase sommaria e la fase eventuale di merito, la presunzione di cui dell’articolo 83 c.p.c., u.c., non ha ragion d’essere e il mandato difensivo rilasciato per la proposizione del ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione (o per resistere al ricorso da altri proposto) e’ conferito anche per il giudizio di merito iniziato ai sensi dell’articolo 618 c.p.c., comma 2. Peraltro, il carattere eventuale di quest’ultimo giudizio consente che la procura venga espressamente limitata alla rappresentanza nella fase sommaria.

In conclusione, va affermato che il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, cosi come risultante dalle modifiche apportate all’articolo 618 c.p.c. e articolo 135 disp. att. c.p.c., dalla Legge 24 febbraio 2006, n. 52, pur essendo diviso in due fasi, conserva una struttura unitaria, nel senso che la fase eventuale di merito e’ in collegamento con la fase sommaria. Da cio’ consegue che la procura, rilasciata al difensore per l’opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice dell’esecuzione, e’ da intendersi conferita anche per il successivo eventuale giudizio di merito, in mancanza di una diversa ed esplicita volonta’ della parte che limiti il mandato alla fase sommaria.

A maggior ragione, il mandato difensivo conserva validita’ per entrambe le fasi dell’opposizione agli atti esecutivi, quando, come nel caso di specie, la procura sia stata attribuita al difensore “per il presente giudizio”, senza alcuna limitazione, dal momento che, secondo orientamento consolidato di questa Corte, il conferimento con tale ampiezza elide (anche) la presunzione di conferimento per il solo primo grado prevista dall’articolo 83 c.p.c., comma 4, norma ritenuta operante soltanto quando vengano utilizzati termini del tutto generici o il mandato attribuisca la rappresentanza processuale senza alcuna indicazione (cfr. Cass. n. 10813/10, n. 21696/10).

Il secondo motivo di ricorso va percio’ rigettato.

4.- Col terzo motivo si deduce abuso e/o eccesso di potere da parte del curatore, nonche’ nullita’ della procura rilasciata al procuratore antistatario e violazione e falsa applicazione del Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 25 e 32, perche’ l’autorizzazione del giudice delegato alla curatela fallimentare sarebbe stata rilasciata soltanto per esperire l’azione esecutiva, e quindi il mandato conferito ai fini del giudizio di opposizione agli atti esecutivi ne sarebbe stato carente.

4.1.- Il motivo e’ inammissibile perche’ pone una questione che non e’ stata affrontata dalla sentenza. Ed invero, risulta da questa che, nel grado di merito, l’attuale ricorrente aveva eccepito il difetto di autorizzazione a stare in giudizio perche’ revocata.

Col motivo in esame si deduce la diversa questione dell’ampiezza dell’autorizzazione rilasciata dal giudice delegato. Trattasi di questione nuova che, importando accertamenti di fatto non piu’ consentiti, e’ inammissibile in sede di legittimita’.

5.- La questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 648 c.p.c., sollevata infine dalla ricorrente, e’ irrilevante, ai sensi della Legge n. 87 del 1953, articolo 23, comma 2. Nel presente giudizio di opposizione agli atti esecutivi, come gia’ osservato dal Tribunale, non si applica ne’ si discute dell’applicazione della norma della quale e’ denunciato il contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost..

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Non vi e’ luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione poiche’ l’intimato non si e’ difeso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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